Lettori fissi

sabato 15 settembre 2018

Malga Oberberg Alm St. Magdalena im Gsies-Santa Maddalena di Casies






Il fondo della Gsiesertal-Valle di Casies, offre all’ escursionista sentieri boschivi diversi, per grado e difficoltà, che gli permettono di entrare in contatto con questa meravigliosa area la cui natura è rimasta intatta nei secoli. Infatti, non vi è che un impianto di risalita per lo sci alpino, giusto al termine della valle, nei pressi del Talschlusshütte, in quanto la zona è legata fondamentalmente allo sci di fondo. Da ben più di tre decenni, ogni anno, nel mese di febbraio una maratona internazionale richiama atleti di trenta nazioni: la Gsiesertal Lauf-Gran Fondo Val Casies.


Rimangono così inalterate le peculiarità naturali e selvagge di questa che è anche chiamata la Valle delle Malghe, in quanto se la malga come punto di ritrovo e ristoro tipico del Sudtirolo è un must per tutte le vallate alpine locali, qui se ne trovano una numero superiore alla norma, talvolta anche a poca distanza l’una dall’altra, offrendo così non solo itinerari diversi, ma anche le certezza che qualunque strada si imbocchi porterà ad un contatto autentico con la cucina e tradizioni più tipiche. Oggi nel mio percorso vi condurrò attraverso una delle due più lontane, dal punto di partenza, la Malga Oberberg Alm.




Imboccando la strada, dal Talschlusshütte (1465 m.) ci si avvia lungo un tracciato inizialmente asfaltato e di facile percorrenza, intorno solo prati, fino a che è sulla destra ci imbatteremo in una struttura che è la Malga Moos Alm (1477 m. possibilità di ristoro). 
Camminando ancora, sulla sinistra si incontra un punto di sosta e la partenza del sentiero 49, lì si trovano anche le indicazioni per le tre malghe, tutte con possibilità di ristoro, che si incontreranno lungo il tracciato: la Malga Messner Hütte (1659 m.), la Malga Kradorfer Alm (1704 m.) ed infine la Malga Oberberg Alm (1975 m.). Lungo il percorso si è accompagnati dalle acque del Pidigbach-Rio Pudio detto anche Gsieserbach-Rio Casies, un affluente della Rienz-Rienza lungo 22,3 km. Ad un certo punto sulla destra vi sarà l'opportunità di imboccare un sentiero boschivo non asfaltato accessibile da un ponticello, l’Eichhörnchenweg-il Sentiero dello Scoiattolo. In questo caso si mantiene invece la propria sinistra e si procede abbracciati da un’abetaia che strada facendo si apre sulla sinistra su una Malga con ombrelloni viola che è la Malga Messner Hütte. 


Continuando a camminare sulla sinistra sì incontrerà un casolare nei pressi di una fontana dalla quale sgorga un'acqua limpida e gelida anche nei primi giorni di settembre. 
Andando avanti, il tracciato poco più su sulla destra e dopo aver incrociato un altro capanno di nuova costruzione, si intravede oltre un ponte che attraversa il Pidig–Pudio la Malga Kradorfer Alm a questo punto saremo giunti a metà del percorso che da quì  in poi diventerà sterrato è più scosceso.








Cambia il panorama, cambia  il tracciato. Tanti tornanti costeggiati da prati aperti diventano i compagni della salita. Le pareti delle montagne si manifestano in tutta la loro imponenza, solenni guardiane sempre più vicine, vigili dei passi di chi si avvicenda su quella strada. In un settembre particolarmente caldo per queste altitudini, radi contadini si apprestano a tagliare l'ultimo fieno, laddove la vegetazione si fa mano a mano che si sale più rada, mentre vacche da latte pascolano serenamente spesso seguite dai loro vitelli nati poche settimane prima. Tutto intorno un silenzio che sa di infinito e che viene interrotto solo dal rumore dei passi sulla ghiaia e dai saluti che gli escursionisti si rivolgono nel loro incrociarsi. 






Alcuni preferiscono accorciare le distanze tagliando le serpentine ghiaiose con passaggi attraverso i ripidi pendii erbosi fino a che sulla propria sinistra un maso inganna l'occhio e forse anche l'appetito del viandante, in quanto non è un punto di ristoro. 








A questo punto ci si sta avvicinando ai 2000 metri, poco più avanti sempre sulla sinistra ci si imbatte nella Malga Oberberg Alm, una struttura che vista l'altitudine viene aperta solo dagli inizi di luglio e tendenzialmente fino alla fine di agosto. A quella quota del resto le precipitazioni di fine agosto possono già portare significativi quantitativi di neve che non ne permettono più l’utilizzo, ci viene poi spiegato dai gestori. La Malga non è segnalata da nessun cartello o indicazione, lasciati quelli più a valle. Si presenta estremamente minimale nella sua struttura in muro grezzo e bianca, con una consumata scala in legno che porta al primo piano. 






Lontana da qualsiasi altro locale che io abbia finora incontrato, per offerta e servizio, estremamente essenziale è praticamente una baita di alta montagna con una cucina privata che si apre al pubblico, facendo sentire a casa





Sul prato, poche panche ai piedi della gradinata, sono disposte intorno ai pochi tavoli per chi desidera mangiare fuori uno dei pochi piatti disponibili, ma genuini. 





L'ospitalità dei due gestori Maria e Franz rimane indimenticabile. Dopo la passeggiata che mi ha portata in cima sotto il sole, ho deciso che volevo mangiare dentro, ma non pensavo che il dentro mi portasse direttamente negli ambienti privati di questa anziana coppia. La stanza, semplice, con un lavatoio, una cucina elettrica (probabilmente alimentata da un generatore) una credenza e di fronte due lunghi tavoli intorno ai quali corre una panca smaltata di bianco avorio sulla quale si aprono piccole finestre, all’angolo un gatto ancora cucciolo dormiva su un cuscino. 





Sul tavolo la tipica tovaglia tirolese con cuori questa volta nella variante blu e ad accogliermi oltre quella porta Maria, che con i suoi grossi occhi azzurri mi ha subito detto in un’ Italiano stentato “Se vuole può mangiare fuori oppure qui!” Come si farebbe con una persona che si conosce da sempre, e devo dire la verità per la prima volta andando per malghe mi sono sentita in famiglia. Franz il marito, gioviale ultraottantenne si è subito premurato di chiedere che cosa volessimo da bere servendoci birra come nella migliore delle tradizioni, mentre Maria era indaffarata a preparare uova e speck o polenta al formaggio o ancora omelette con mirtilli rossi ed a far bollire tazze di caffè accompagnate da torta di mele rigorosamente fatta da lei. Ho avuto modo di intrattenermi a parlare con Franz, che fra un servizio al tavolo e l’altro si è seduto a chiacchierare della sua gioventù, della sua vita lavorativa passata e presente la cui principale caratteristica è il silenzio e la fatica, del militare come artigliere di montagna fatto nel veronese e per un tempo lungo, diciassette mesi e due giorni, ha riferito in modo molto preciso. Ha raccontato della sua permanenza, quando più giovane, in Val Visdende nel Comelico bellunese, della necessità per chi abita a certe altitudini di avere una moglie non tanto per amore, quanto per necessità ed organizzazione lavorativa, un maso lo si può portare avanti solo se in coppia ed anche i figli una volta erano visti come braccia utili a governare il bestiame o nella stagione estiva a fare fieno, del resto non c’erano i trattori di oggi, e qui molto raramente l’erba è su campi in piano, la maggior parte è su ripidi versanti. Il tutto mentre mangiavo un pezzo di polenta con formaggio fuso precedentemente scaldata nel forno, una delle tre opzioni possibili che avevo a disposizione per rifocillarmi con un pranzo semplice. Eppure mi ha arricchito molto più di altre malghe molto ben fornite e molto più ricercate. Quell'attimo di rapporto umano per me rimane indelebile, ho chiesto a Franz e Maria dove abitassero durante l'inverno e mi hanno detto più a valle a St. Magdalena-Santa Maddalena. Per un attimo ho guardato il viavai di varie persone che entravano e uscivano da quella cucina, vuoi per portare il piatto vuoto dando una mano a sparecchiare a questi due amabili anziani gestori, per pagare il conto, per salutare, o alcuni anche solo per chiedere come stessero a riprova di ritorni negli anni, ed ho capito che nonostante l’estrema sobrietà del tutto, quella sensazione di profonda autenticità era sentita anche da altri, e molti non era certo la prima volta che nel loro periodo di ferie passassero per un saluto. Al momento del dolce, mi sono vista passare sotto gli occhi le ultime due fette di torta di mele, proprio come quando in una casa pensi di mangiare qualcosa che invece qualcun’altro ha fatto sparire perché ghiotta. 






Le ultime chiacchiere le abbiamo scambiate fuori seduti sulla panca di legno consumata dal tempo, dal sole, dalle intemperie; il ballatoio stretto ospitava due vasi di gerani rossi, quasi a voler dare vita a quella casa i cui muri esterni non lasciavano certo pensare ad un punto di ristoro aperto al pubblico, poco più in là il Gsieser Törl-la Forcella di Casies a 2205 m. La Malga Oberberg Alm una struttura che nei decenni ha accumulato parole e storie, vicende di vita e che è l’ultimo baluardo lungo uno dei tre Sentieri dei Contrabbandieri che in tempi passati percorrevano queste vie per scambiare merci fra le Gsiesertal-Valle di Casies e la Defereggental-Valle di Defereggen. Pochi metri più su infatti c'è oggi quello che è il confine tra Italia e Austria con un cippo a segnare la divisione delle due valli confinanti e poco dopo dalla sorgente del torrente Pidigbach- Rio Pudio che scorre lungo tutto il percorso e che vicino alla sua fonte è poco più di un rivolo d’acqua. Qui la chiara dolomia delle Dolomiti pusteresi incontra il granito ed il ghiaccio delle Westliche Tauernalpen- Alpi dei Tauri Occidentali. “Lei parla molto bene l’Italiano!” Ho detto a Franz, lui mi ha risposto che in estate fa pratica con i turisti, mentre in inverno percorre un’ora di strada per arrivare sino a Bruneck-Brunico, dove almeno può parlare con qualcuno madrelingua italiano per mantenere il livello. Scesa la vecchia scala di legno, salutati i due nonni tirolesi, un ultimo sguardo alla malga custode di segreti e voci antiche di pastori, contrabbandieri, margari. Oltre, il Törl come viene comunemente chiamata la vetta di confine.Le nuvole incombenti ci ricordano che la montagna è repentina, dal sole scintillante di poco prima, pochi lembi di cielo sono ancora sereni. Arrivederci Maria e Franz! Grazie per quello che ho respirato e che è stato prezioso, perchè mi ha parlato anche se brevemente della vostra vita.




La Oberberg Alm è gestita dalla Famiglia Taschler, non ha giorno di chiusura. Il dislivello dal punto di partenza Talschlusshütte è di m. 510. Il tempo di percorrenza lungo il sentiero 49 è di 1 ora e 30 minuti/2 ore per tratta (se non vi fermate a fare foto come me). Il percorso per chi è abituato a camminare in montagna è di grado facile-medio.





domenica 2 settembre 2018

In viaggio nella Terra dei Bardi. L'arpa celtica nella magica cornice di Schloß-Castel Welsperg






Il Clan Ui Briain che fu tradotto in Inglese come O’Brien originò da Brian Boru, la cui Marcia, la Brian Boru’s March suonata al suo funerale e per suo volere, riecheggia delle sue imprese che intorno all’anno 1000 lo videro spendere tutta la sua vita in azioni guerresche volte ad unificare l’Irlanda. Ed è proprio con questa melodia suonata con arpa celtica, che riporta il pensiero all’Isola di Smeraldo, come viene definita l’Irlanda proprio per il paesaggio dal verde scintillante, che venerdì 3 agosto Elisa Manzutto ha iniziato il suo concerto solista presso la Sala dei Cavalieri di Schloß-Castel Welsperg, accolta da un pubblico interessato ed entusiasta.
Non avrebbe potuto scegliere brano migliore per onorare la cornice che la accoglieva in quella che viene definita la Valle Verde, la Pustertal-Val Pusteria, per le tonalità e screziature del colore principe della natura.
E mentre le note dell’arpa iniziavano a riempire la sala, lei era ignara di aver realizzato un mio desiderio espresso tre anni fa…



Quando a luglio 2013 incontrai nelle mie ricerche sul territorio la Pietra dei Solstizi nella frazione di Wielenberg-Montevila presso il Comune di Percha-Perca, non sapevo ancora di questa giovane musicista che incontrai solo attraverso un video del Kräuterhaus-Maso delle Erbe, sul cui terreno sorge l’area rituale che ospita questa singolare pietra a forma di calotta cranica, che fungeva anche da calendario oltre che da zona cerimoniale. 
In quel video l’accompagnamento alla spiegazione sia nella versione italiana che tedesca è costituito da un sottofondo musicale che è proprio la Brian Boru’s March, e quindi ogni volta che mi reco in visita a Wielenberg nella mia testa il motivo ritorna ad accompagnare la salita all’area, alternandosi al Silenzio compagno di passeggiata. 



Così, quando scoprì dell’esistenza di Elisa Manzutto era l’estate del 2015 proprio attraverso quel video, e mi domandai come una giovane arpista triestina era arrivata a suonare al Kräuterhaus-Maso delle Erbe e quale passione l’aveva spinta sino a quel luogo, così speciale ma anche posto in una frazione nascosta ed isolata. Fu proprio durante quelle passeggiate negli anni che tornando in quel luogo del Sacro che sorsero in me due desideri, il primo dei quali fu potere ascoltare dal vivo quella ragazza dai lineamenti dolci e armoniosi. Certo, dentro di me pensavo pure che il luogo migliore dove poter ascoltare la sua Arte sarebbe stato Schloß Welsperg, la sua sala preposta ogni anno ad incontri di tipo musicale, grazie alla preziosa tutela del Kuratorium Schloß Welsperg che nella persona della Signora Brunhilde Rossi, egregia padrona di casa, che si occupa con eleganza, ogni anno di accogliere ed introdurre i vari artisti che si susseguono sul palco. 





E così a luglio ho scoperto che quel desiderio sarebbe diventato realtà grazie ad una serata dedicata all’Arte Bardica che portava proprio su quel palco poco lontano da casa, colei che avevo chiesto di poter ascoltare dal vivo. Elisa si è presentata a noi con classe, vestita in una tonalità di blu il colore tipico dei cantastorie-musicisti della Tradizione Druidica e fin dal suo entrare sul palco ci ha portato nel Mondo dei Bardi di un tempo che fu e che è grazie a coloro che si impegnano a mantenere viva una Cultura. Ogni brano è stato introdotto da una breve descrizione riguardo l’origine ed il contenuto del suo testo, spaziando da brani più conosciuti come Greensleeves a meno famosi al grande pubblico, portando la platea attraverso il tempo, quello cronologico più antico come nel caso di Brian Boru sino a colui che fu definito l’utimo Bardo Turlough O’ Carolan (1670–1738). Elisa ci ha portati fra castelli e nebbie, su strapiombi sul mare e fra canti d’amore. Non avrebbe potuto trovare uno sfondo migliore la sua Arte, i dipinti della stirpe dei Welsperg che attorniano il palco sembravano sorridere guardandola esibirsi. Elisa nel suonare il suo repertorio ha unito luoghi fisicamente lontani ma vicini per Tradizione, visto che la Pustertal-Val Pusteria fece parte del Regno celtico del Norico, ma ancor molto prima fu culla di quel proto celtismo che affonda le sue radici nella Cultura di Hallstatt a cui lo stesso Comune di Welsberg-Taisten Monguelfo-Tesido appartenne. Ci ha parlato anche di Donne Elisa, di cui si occupa da anni e per le quali ha anche frequentato e concluso un percorso nel 2013, un sentiero formativo per la diffusione della cultura di genere all’interno di istituzioni culturali, sociali e politiche. Lei che accanto alla sua formazione musicale sta anche continuando i suoi studi di giurisprudenza. Al termine del concerto ci ha poi condotti mentalmente nella sua casa di Sexsten-Sesto Pusteria che sorge di fronte alla più grande Meridiana di roccia del mondo, e di fronte alla quale spesso suona ispirata ed ispiratrice per chi magari proprio nei pressi si ritrova a passare in quel momento.
Ci hai rapiti Elisa ed hai lasciato qualcosa dentro che non è solo un bel ricordo, qualcosa di te parla e richiama il tuo legame antico anche con questa valle. Ti ringrazio e penso di poterlo fare a nome di tutti coloro che insieme a me non sono stati paghi del tuo concerto e del tuo bis, ma ti avrebbero voluta su quel palco per ascoltarti ore e ore e che dalla platea ti hanno abbracciata con un lungo, interminabile applauso. Hai realizzato un mio grande sogno!
Giusto! All’inizio ho parlato di due desideri legati ad Elisa, ma i desideri vanno custoditi e del secondo vi parlerò laddove si verificasse, statene certi.
Il mio ultimo pensiero è l’auspicio da appassionata di cultura e musica, che il Castello ogni anno offra serate dedicate alla Cultura celtica, una sorta di filo conduttore musicale, che offra all’ascoltatore turista o locale, appassionato o semplicemente interessato il modo per riscoprire qualcosa che visceralmente appartiene alla storia di questo territorio e che è vivificabile attraverso la vibrazione del suono che appartiene a quella Tradizione.


















sabato 1 settembre 2018

Le fondamenta incantate di Burg-Castel Stetteneck






Un tempo la Troi Pajan – la Via Pagana si snodava non lontana dal monte Balèst nei pressi della località che veniva denominata Pincana. Le rocce che segnano la strada sono friabili e poco sicure, spesso cedendo e rilasciando massi sulla stessa via. Ma esse parlano di un antico maniero che proprio su quelle rocce fu costruito. E’ grazie agli scambi fra Venezia e l’attuale Sud Tirolo ed ai racconti che i commercianti si scambiarono, che sappiamo che su quelle rocce poco sicure sorgeva un castello, la cui costruzione non fu certo priva di ostacoli, per via di quella pietra difficile da livellare, instabile e su cui posare un edificio di tale imponenza era davvero un’impresa ai limiti dell’incredibile. Ma il proprietario del castello, colui che ne volle l’edificazione, non intendeva arretrare di un passo rispetto alla sua volontà. Lui non era di quella zona, era un ricco forestiero, la cui nomea che lo precedeva parlava di delitti impuniti a suo carico ed altre situazioni poco chiare della sua vita. Il cavaliere straniero che aveva messo gli occhi su quella terra e soprattutto su quella roccia, picco e sperone a guardia della via sottostante, con la costruzione del castello aveva manifestato la chiara intenzione non di mettere dazi ed oneri per chiunque passasse da quella strada, ma direttamente di aggredire chi la percorresse, di depredare di averi e merci i commercianti che si trovavano a passare di lì, ed il tempo avrebbe solo confermato i suoi biechi propositi, la sua palese sfida. La costruzione di quel castello però si mostrò sin da subito estremamente difficoltosa, sul quel picco roccioso, precipizio a guardia di Pincana gli operai si ritrovarono ad avere enormi difficoltà nel livellare il terreno e la roccia mostrava spaccature e crolli ovunque si cercasse di mettere mano con strutture che dovevano permettere la costruzione, sicuramente sarebbe stato più saggio costruire altrove, ma il cavaliere esigeva che lì in quel luogo fosse edificato il suo castello e lì a qualsiasi costo lo voleva vedere costruito. Chiamò a tal proposito un famoso architetto che arrivò da molto lontano e che si premurò di spiegare ai muratori che il segreto per fare reggere tutta la struttura fortificata, sarebbe stato conficcare bene la prima pietra nel terreno, se quella fosse stata ben messa, qualunque struttura di qualunque peso avrebbe potuto essere costruita senza far sgretolare il suolo. Gli operai guardandosi intorno, decisero di porre come prima pietra una lastra litica di colore nero che poggiava su un cumulo di argilla poco distante da quel cantiere che faticava a partire. La lastra era decisamente pesante e ci vollero molti uomini per spostarla sino al punto preposto per la sua posa. Ma come gli operai la misero in terra il suolo iniziò a scricchiolare mostrando cedimenti vari con distacchi di roccia. “Inutile!”, pensarono, nemmeno l’idea dell’illustre architetto era riuscita, l’unica rimaneva proprio demordere da quell’intento. Ma il cavaliere non volle sentire ragione, li congedò tutti, dicendo loro di tornare alle loro tende poste poco distanti e di riposare perché presto avrebbero avuto da lavorare, in quanto ci avrebbe pensato lui a porre la prima pietra. Gli uomini sbalorditi, non capivano né cosa intendesse visto che lui era uomo d’armi e nulla conosceva di tecniche costruttive, né come avrebbe fatto a combinare qualcosa tanto più da solo. Con sguardi increduli si accomiatarono dal loro signore, ritornando al loro accampamento, tutto sommato avevano tempo per riposare e la cosa non dispiaceva loro, anche se onestamente in cuor loro pensavano che quella sarebbe stata l’ultima notte nei pressi di quel cantiere così particolare e difficile, non sarebbe certo riuscito il cavaliere da solo dove non erano riusciti in gruppo e con esperienza. Giunse l’oscurità, al rintocco della mezzanotte gli uomini si risvegliarono improvvisamente, una strana sensazione li accomunava e stringeva loro il cuore. Mentre assonnati si interrogavano sul perché si fossero svegliati così e quale sensazione angosciante li stesse attanagliando udirono uno strano rumore, più che altro un lamento, come fosse quello di un bambino che stava per morire, una voce che metteva i brividi e che proveniva dall’area del lavoro. In men che meno balzarono tutti fuori dalle tende e sotto una luna luminosissima e piena scorsero la grossa lastra di pietra nera piantata fermamente nel terreno e sopra di essa il cavaliere che aveva commissionato i lavori, ma non era solo, dritta accanto a lui la figura di una donna, in paese tutti la chiamavano la Strega, che velocemente si dileguò nel bosco. Il Signore visti i suoi operai guardarlo senza parole, estrasse la spada dal suolo e rimasto da solo in piedi sul grosso masso urlò a loro che la prima pietra era stata posta e che dal giorno seguente avrebbero potuto riprendere i lavori, esattamente come fecero. Il castello fu completamente costruito e pronto entro due anni da quel giorno e durante quel tempo non c’era mai stato il minimo inconveniente a rallentarne i lavori, che agli inizi sembravano così tanto improbabili dato che la prima pietra era stata posta proprio sul precipizio che guardava a Pincana. Da lì il Signore iniziò le sue opere di assalto e depredazione a danno di chiunque osasse passare lì sotto. Il passaggio era però obbligato per chi volesse vivere di commerci e fu a quel punto che i paesi limitrofi iniziarono a coalizzarsi per porre sotto assedio il castello, ma per quanto tentassero di prenderlo e di catturarne il suo proprietario, non riuscirono mai nell’intento, e così iniziarono a diffondersi fra i valligiani voci di una stregoneria fatta per edificare il castello, di un mistero legato alle sue fondamenta che lo rendeva inespugnabile.
Passarono gli anni il signore durante un viaggio incontrò una giovane ragazza, ne fece presto la sua sposa e la condusse al suo palazzo. Tutto andava bene, ma una notte di luna piena intorno alla mezzanotte la giovane signora fu svegliata da un incubo, il marito che nel frattempo si era svegliato dai sussulti nel letto, le chiese cosa stava succedendo, lei rispose che sentiva salire una parola dalle cantine del maniero, e questo le creava ansia e malessere. L’uomo non comprendeva, ma lei continuava ad asserire di avere visto una parola spaventosa passarle davanti. Il marito pensò che fosse diventata matta e purtroppo non ebbe modo di indagare cosa opprimesse la sua sposa, poiché a seguito di quelle notti la donna iniziò a manifestare febbre alta, preludio di una grave malattia che la portò via in pochi giorni.
Dopo circa un anno il cavaliere si risposò. Spiegò alla nuova moglie cosa era successo alla prima, ma narrando della cosa come di una stranezza, di una fantasia ai limiti del ridicolo. Dopo poco tempo anche la seconda moglie iniziò a sentire dei lamenti che venivano dalle profondità sulle quali il maniero poggiava, e questo succedeva nelle notti di luna piena, intorno allo scoccare della mezzanotte. Il marito si premurò di tranquillizzarla, di spiegarle che ciò che sentiva erano solo dei gufi, non convincendo però con questi discorsi la donna che si sentiva per nulla rassicurata. I lamenti si ripeterono e ricordavano un bambino che stava per morire. Decise così di indagare, nonostante il divieto del marito, presso la servitù, qualcuno doveva sapere e lei intendeva scoprirlo. Ma le sue condizioni di salute divennero cagionevoli, una forte debolezza la attanagliava e peggiorò dopo il parto di una bella bambina, che non poté crescere. La morte portò via anche lei ed il cavaliere si ritrovò vedovo per la seconda volta.
Ma il signore del castello di Pincana era consapevole di non potere educare e crescere da solo una bambina piccola così la affidò ad alcuni parenti, sino a che la ragazza raggiunti i vent’anni di età si sposò, ma ben presto rimase vedova; il marito un baldo cavaliere era morto durante le Crociate e lei si ritrovò vedova e con una bambina piccola il cui nome era Gardis. Il nonno sentita questa notizia ordinò di portare al castello la figlia e la nipote, il maniero era abbastanza grande per ospitare anche loro, poi erano la sua famiglia, non le avrebbe lasciate di certo sole. L’arrivo di Gardis al castello di Pincana portò una ventata di freschezza nella vita di tutti, dalla servitù ai cavalieri che supportavano il signore nelle sue scorribande atte a bloccare il passaggio di chiunque osasse avventurarsi lungo la strada che correva sotto il maniero, ed anche per lo stesso nonno dal volto sempre accigliato ed i cui tratti arcigni erano stati ammorbiditi proprio dalla presenza della piccola che sempre sorridente correva da una parte all’altra del castello. Arrivò un freddo inverno e Gardis si ammalò, le cure non sortivano nessun effetto e la bambina era sempre in preda ad una febbre alta. Dopo sette giorni di tormenta finalmente un potente vento scacciò le nubi ed il panorama intorno al castello divenne di bianco ghiaccio. Su quel manto candido la luna rifletteva la sua luce e fu durante una notte di luna piena che la vita della bambina sembrava arrivata al termine. A vegliarla quella notte c’erano il nonno e la serva più anziana del palazzo. Il cavaliere dopo alcuni tentennamenti ordinò alla serva di far aprire le porte del castello e di abbassare il ponte levatoio. La donna si allontanò per eseguire l’ordine e svegliare gli altri servi, per aiutarla a fare quanto le era stato ordinato. Il signore del castello intanto prese una coperta, avvolse il corpo della febbricitante Gardis e fece per uscire dalla stanza, ma si imbatté nella figlia che era stata svegliata dal trambusto e da un lamento. La figlia incontrò lo sguardo del padre con la bambina in braccio ed esordì “Padre, ho udito un lamento tremendo, come sta Gardis? “il padre le rispose “Non sta peggio di qualche ora fa, ma devo portarla fuori dal castello”. La figlia non capiva, vide solo il padre imboccare la grande scalinata e dirigersi verso l’uscita del maniero, lei dietro cercava di fermarlo implorando di non uccidere la piccola esponendola al gelo invernale. Arrivati entrambi di fronte al ponte, si innescò una vera e propria lotta per appropriarsi del fagottino di quella povera bambina. Il castellano urlava ai servi di tenere la figlia, la figlia invocava aiuto per poter riportare dentro la bambina gravemente malata. Ma il padre ebbe la meglio iniziò a correre fuori dal castello verso il bosco, fra alberi carichi di neve e su un sentiero illuminato solo dalla luce della luna, la figlia dietro mentre continuava ad invocare che le restituisse la bambina. Arrivarono ad una casa la più vicina al castello, entrarono ed i contadini che vi abitavano offrirono loro le possibili cure che la loro modesta situazione permetteva. Passarono le ore e Gardis sembrava migliorare nonostante la folle corsa notturna nel bosco. Passarono i giorni e la bambina si ristabilì completamente e fu riportata al castello, la madre tentò invano di chiedere al padre il perché, la motivazione di quel gesto folle in piena di alcune settimane prima ma non ebbe mai risposta. Lui la liquidò sempre con un “Dovevo fare così !”, lasciando domande aperte su quell’evento e sulla guarigione inaspettata di Gardis. Ma una nuova ombra di morte gravava sul castello. Da lì a poco la figlia del signore si ammalò e morì lasciando la piccola bambina con il nonno, che la affidò alle cure di familiari esterni che potessero prendersi cura di lei come molti anni prima avevano fatto con la figlia. Intanto la vecchia domestica incominciò a domandarsi come mai tutte le donne del castello di Pincana legate al cavaliere si ammalassero sino a morire. Passarono dieci anni e Gardis fu richiamata al castello, era bella e spensierata, ed il suo carattere gioviale e allegro aveva un effetto anche su quell’uomo burbero e scontroso con il mondo che con lei acquisiva toni di accondiscendenza e benevolenza inattesi. Gardis era giunta in età da marito per quel tempo ed il nonno pensava di farle sposare un giovane e valoroso cavaliere che però era senza famiglia, a loro alla sua morte avrebbe lasciato il castello in eredità. Ma i piani del vecchio castellano subirono una battuta di arresto a causa di un incidente.
Una mattina a colazione Gardis esordì con una domanda che lasciò di stucco il nonno: “Nonno per caso stanotte hai sentito gli strani rumori? Si sentiva una voce che sembrava uscisse da una tomba e poi le urla disperate di più persone “Il nonno celò con difficoltà la preoccupazione, anche le altre donne che entrate a vivere nel castello erano poi morte avevano iniziato così, eppure non tradendo emozioni rispose “ No Gardis, non ho sentito nulla, probabilmente saranno stati degli uccelli o il vento che spira dal Sassolungo, creano rumori che spesso possono sembrare voci”.
La risposta fu esaustiva per Gardis e passò oltre quel senso di disagio che la notte precedente le aveva lasciato. Ma la prima notte di luna piena il cavaliere intorno alla mezzanotte sentì bussare fragorosamente alla sua porta, era Gardis Nonno, nonno! Ho sentito di nuovo l’urlo ed ho pure sentito salire qualche parola verso l’alto che ho distinto perfettamente!” Tutta trafelata gli aveva riferito quel pensiero, d’ un sol fiato riprese “Deve per forza esserci qualcuno nel sotterraneo, fai chiamare gli uomini di guardia!” Il nonno impiegò tutte le sue forze per calmare la nipote e per farla demordere dal volere scendere lei a vedere cosa ci fosse giù sotto le cantine del castello. Le assegnò anche una nuova camera, non più sullo strapiombo che guardava alla strada sottostante di Pincana ma dal lato del bosco, vicina alla stanza da letto della domestica, alla quale affidò la cura della nipote se avesse ancora sentito qualcosa. Passò di nuovo del tempo ed alla successiva prima notte di luna piena, intorno alla mezzanotte Gardis iniziò di nuovo a sentire, lamenti, grida, e poi parole salire dai sotterranei. Si diresse immediatamente verso la camera della vecchia serva che cercò di calmarla in tutti i modi, ma nelle risposte che dava Gardis vide incertezza e titubanza, capì subito che la donna sapeva più di quello che diceva. Iniziò a tormentarla con domande senza fine, fino a che la domestica ammise che il castello aveva un segreto. Le urla che si sentivano provenire ogni tanto, avevano origine sotto la base del mastio, dove una botola dava accesso ad una prigione senza porte né finestre. Gardis era raccapricciata da quel racconto, soprattutto non osava pensare che suo nonno fosse la persona crudele di cui aveva sentito narrare da voci di paese, alle quali non aveva mai voluto dare credito, perché per lei e con lei l’uomo era il migliore nonno del mondo. Tradì presto il giuramento fatto alla domestica e decise di mettersi a cercare quel luogo dimenticato da tutti alla base del castello, il cui pavimento si trovava a quaranta piedi di altezza dalla botola, e nella quale erano richiusi ladri ma anche semplici viaggiatori e mercanti che avevano avuto la sfortuna di finire sulla strada di Pincana. Da essi il vecchio signore sperava di trarre il massimo dai cospicui riscatti che richiedeva alle famiglie di appartenenza. Nel frattempo la vecchia domestica si sentiva perduta, e sapeva che presto il suo padrone l’avrebbe giustiziata per quel segreto tradito. Il maniero celava un mistero che nessuno del resto in tanti anni aveva mai compreso. Se i prigionieri urlavano, lo facevano solo nelle notti di luna piena, e per di più solo a mezzanotte quando da ancora più nelle profondità della montagna, fondamenta del castello, si levava una parola che arrivava sino ai merli della torre più alta, ed in quel momento il lamento si alzava forte. La cosa più terrificante era però il perché i prigionieri iniziassero ad urlare; lo facevano per coprire quelli che sembravano i gemiti di un bambino che stava per morire. Ma poco dopo, esattamente come tutte le altre volte calava il silenzio più assoluto, ma Gardis non intendeva venire meno all’impegno preso con sé stessa ed era quello di scoprire una volta per tutto quelle grida, quei lamenti da dove e da chi venissero. Raggiunse la base del castello, scese negli scantinati e trovata la botola iniziò ad urlare con tutte le sue forze “Sono venuta in vostro aiuto, ho una scala di corda!”La tirò in quella voragine nera e sentì tendere la scala da chi l’aveva presa per un’estremità, sentì rispondere di tirare ma non aveva forze sufficienti. I prigionieri allora la sollecitarono: “Trova un uncino, qualcosa che spunti dal muro e a cui possa essere attaccata un capo della scala”. Gardis iniziò ad andare a tastoni lungo il muro cercando un appiglio che permettesse agli uomini di risalire da quell’oscura gola in cui erano isolati dal mondo, ma nel buio della cantina perse l’equilibrio e scivolò lei dentro la botola aperta, cadendo sul mucchio di paglia che posto al centro esattamente sotto l’apertura attutiva le cadute dei prigionieri, al fine di non ucciderli, altrimenti il signore del castello non avrebbe potuto trarre i riscatti a cui mirava per aumentare il suo patrimonio e le sue ricchezze. Gardis cadde ma nessuno se ne accorse poiché era svenuta e non si muoveva, gli uomini nel buio della notte continuarono a chiamarla ma senza esito e pensarono che forse sarebbe tornata la notte successiva. Il mattino seguente invece con qualche rado raggio di luce che illuminava debolmente la profonda prigione, i detenuti si resero conto del corpo della ragazza sulla paglia, con stupore iniziarono a domandarsi chi fosse, intanto la giovane si era svegliata e nonostante la paura iniziale di trovarsi in mezzo a molti ladri e furfanti, rinnovò la sua volontà di aiutarli. A quel punto uno dei prigionieri chiese chi fosse e lei candidamente rispose: “Sono la nipote del Signore del Castello” ricevendo le battute di scherno e le risatine dei prigionieri che non si capacitavano che un signore così arcigno e insensibile avesse una nipote così disponibile e pronta al sacrificio. Intanto Gardis si era guardata intorno scorgendo sagome di uomini immobili e realizzando che erano morti in decomposizione abbandonati fra vivi sepolti là sotto nel buio di quella prigione, scoprendo tutto d’un tratto di quali azioni era capace l’uomo che fino a poche ore prima per lei era il caro nonno. Intanto era sorto un nuovo giorno e Gardis non si trovava, uno scudiero fu mandato alla stanza del cavaliere ad avvertirlo della sparizione della nipote. Su tutte le furie l’uomo iniziò ad informarsi se il ponte levatoio fosse stato abbassato ma la risposta fu negativa, lo scudiero aggiunse che Gardis era stata cercata ovunque anche nella fontana e nei fossati ma nulla, la ragazza sembrava proprio scomparsa a meno che esordì lo scudiero: “Non sia finita nelle segrete! Del resto già da qualche giorno diceva di voler scendere fin là sotto” il cavaliere rispose in un sussulto “Cosa mi stai dicendo? Che sapevi una cosa del genere e non mi hai avvertito?”. Indossò in fretta i suoi abiti e chiamò a sé quattro uomini armati ai quali chiese di munirsi anche di scale di corda. Si diressero tutti verso il cammino di ronda a cui era già appesa una scala di corda e dalla quale la giovane Gardis aveva perso l’equilibrio cadendo di sotto. Tutti però fecero finta di averla messa già lì per la discesa, nessuno avrebbe osato dire al vecchio signore la verità, solo all’idea sentivano la sua ira addosso ed il cappio intorno al collo. Raggiunsero la base del castello da cui si apriva l’apertura alla prigione sotterranea, lì si sentì la voce di Gardis provenire dabbasso. “Gardis, sei tu?” con la voce rotta dall’emozione chiese il nonno. “Si nonno sono io, sto bene stai tranquillo butta solo una scala di corda”. L’uomo si affrettò a fare come richiesto dalla nipote e quando tirò su la scala c’erano due dei reclusi. La ragazza li stava incitando a salire tutti quanti, lei sarebbe salita dopo, suo nonno non l’avrebbe certo lasciata lì. Saliti i primi tredici uomini dalle profondità del castello emerse anche Gardis, ma tutti gli occhi erano su di lei e nella distrazione più completa, i detenuti disarmarono le guardie, il castellano tentò di intervenire ma uno spintone gli fece perdere l’equilibrio, Gardis nell’intento di non farlo cadere di sotto, lo afferrò per un braccio, ma la sua esile figura fu trascinata dove da poco era riemersa e questa volta con suo nonno. L’uomo si trasse subito in piedi, estrasse il pugnale che portava sempre con sé pronto a difendersi in quella oscurità da chi là sotto era rimasto; ma le intenzioni dei prigionieri rimasti non erano certo violente ed anzi erano rivolte a Gardis che invece non si era alzata dal mucchio di paglia, aveva riportato evidentemente ferite interne, non parlava, non emetteva suoni, sbatteva solo le palpebre. Gli uomini, in quella flebile luce le dedicarono uno sguardo ed il loro pensiero preoccupato era dedito a lei che si era presa cura di loro, lì sotto isolati dal mondo, dalle loro famiglie, dalle loro vite, lasciati in condizioni disumane, a lei che in quell’abisso di tristezza era scesa a cercare di aiutarli.
Intanto sopra, le guardie erano state legate e rese inoffensive. Le scale di corda che avevano permesso la liberazione di molti uomini erano state utilizzate proprio per renderle inoffensive. I prigionieri liberati iniziarono a scorazzare per il castello, si sentivano grida e risate a scherno del signore che da aguzzino era divenuto prigioniero. Tornarono a recuperare anche gli ultimi reclusi e non poterono fare a meno di beffeggiare e prendersi gioco di quell’uomo per il quale avevano provato così tanto odio. “Come si trova lì sotto? Belle le stanze che ha creato per noi vero? E l’appetito? Per saziarsi avrà paglia e volontà e forse qualche osso dei nostri precedenti succulenti pasti”. La schermaglia andò ancora avanti, alcuni uomini si erano sdraiati a terra con la testa che guardava giù dall’apertura come si potrebbe fare con un buco aperto nel ghiaccio, essi continuavano a fare battute e a mostrare che conoscevano i segreti del castello. “Cavaliere!”. Continuarono “Deve ringraziare che sua nipote non sia caduta nella botola già la scorsa notte altrimenti avreste fatto un lungo balletto con il castello sin giù al burrone…” Le parole sospese lasciavano comunque capire che essi conoscevano molti segreti del maniero e lo confermarono quando dissero “E come mai molti anni fa portaste via la vostra nipote in fasce? Il vostro castello non vi sembrava così sicuro?” E giù a ridere ed a fare battute. “Maledizione!”. Pensò il vecchio, loro sapevano e si capiva perfettamente. Si alzarono dritti in piedi tutti intorno all’apertura buia e cominciarono ad urlare saltando: “Signor Cavaliere noi conosciamo il segreto! ”. La libertà li aveva ubriacati, resi scatenati. Il cavaliere si domandò come facessero a conoscere il segreto del castello, ma ben presto furono proprio loro a dargli risposta:“Signor cavaliere, la notte che voi riusciste a conficcare la prima pietra con la strega, foste molto furbo. Il vostro castello sarebbe rimasto vergine ed inattaccabile, inespugnabile. Quando invece costruiste il carcere vicino alle fondamenta lo foste molto meno perché nelle notti di luna piena, come quella in cui fu posta la prima pietra, le fondamenta gemono come un bambino che sta per morire, parlano con la voce della giovane vergine che avete offerto alla profondità della terra e dicono una parola alla volta che formano una frase spettrale che mai vorremmo più sentire e quella frase la portiamo dentro e la ricorderemo fino alla fine dei nostri giorni, tanto che la sappiamo a memoria: “Sotto le fondamenta una vergine è murata e se un’altra vergine morirà il castello precipiterà”. Il cavaliere spinto dalla rabbia più cieca prese ad insultarli ancora di più nonostante la sua non fosse di certo una posizione privilegiata, aspettava coloro che credeva i suoi fedeli servi, ma nessuno accorse a trarlo in salvo, pensò quindi di chiedere a quei furfanti una scala per poter salire con Gardis e soprattutto portarle aiuto, ma la reazione degli uomini fu inaspettata e violenta ed invece di portare aiuto, iniziarono a tirare pietre, prese dai muri intorno, in quel buco nero che li aveva inghiottiti per così tanto tempo, cercando di colpire il signore del castello. Il vecchio preso da una rabbia e da una voglia di vendetta esasperate sfilò il pugnale che portava sempre con sé, tirò su Gardis che non emetteva un suono, le puntò la lama alla gola e disse: “Se non volete che la uccida, visto che tutti conoscete il segreto, buttate giù una maledetta scala, se no fra poco finiremo tutti giù dal precipizio!. Era perentorio il suo tono e la scena si sarebbe evoluta al peggio quando dopo una breve consultazione i ladri si  rivolsero all’uomo dicendogli “Va bene! Un attimo solo e caliamo la scala”. Il signore pensando di essere riuscito nei suoi intenti ripose di nuovo il coltello nel suo fodero, adagiò nuovamente la nipote sul mucchio di paglia ed attese qualche minuto ma nulla, non si vedeva nessuna scala e soprattutto era calato un silenzio che non faceva pensare a nulla di buono. Chiamò a gran voce gli imbroglioni che invece se l’erano data a gambe levate. Solo Tom una delle guardie del castello rispose: “Mio Signore, non c’è più nessuno e noi, in quattro siamo stati legati saldamente”. Il cavaliere li incitò a urlare più forte che potessero, per richiamare l’attenzione dei loro compagni d’armi e così furono liberati e finalmente l’anziano castellano e la nipote furono riportati alla libertà.
Passarono dei giorni ma Gardis non si riprendeva, il castellano furente un giorno mandò a chiamare una Cristanna, donna che conosceva le erbe salutifere e rimedi antichissimi contro qualunque male. La donna venne condotta la sera stessa nella stanza di Gardis, ma presto sentenziò che per la giovane non c’era più nulla da fare, poco prima di andare via si rivolse al vecchio signore, gli disse che doveva dirgli qualcosa che non doveva udire nessuno. Così si avvicinò all’orecchio e bisbigliò : “Un solo consiglio ho da dare, andate via tutti prima che sia troppo tardi!”. Il vecchio con un sobbalzo indietreggiò, la allontanò con un gesto repentino”Brutta strega, anche tu allora sai del segreto! Vattene!”. La Cristanna senza farselo dire due volte se ne andò mentre la porta della stanza dove era in punto di morte Gardis sbatté dietro di lei. Il signore, sentì mentre si allontanava, che si intratteneva con la servitù con bisbigli e mezze parole, ma decise che non avrebbe riaperto la porta. Intanto in cielo la luna si levava luminosa quasi al massimo del suo splendore. Era la notte di luna piena ed era quasi mezzanotte, e Gardis stava per morire, il nonno sentì una stretta, uno scoraggiamento improvviso, nuovo per un uomo come lui, ricordò la notte che riuscì a posare la prima pietra su quello sperone roccioso, ricordò la Strega. Aprì la porta della camera, ma il castello oramai deserto attendeva solo la sua rovina. Tutti si erano messi in salvo, lo avevano abbandonato al destino, a quell’epilogo che mai aveva pensato sarebbe giunto. Rientrò nella stanza, la ragazza nel letto, abbigliata di broccati giaceva immobile in un pallore marmoreo, rischiarato dalla luna che la illuminava. Si sentì un rumore di catene; il castellano si sporse da una finestra del maniero, il ponte levatoio si stava alzando, da solo, senza che nessuno azionasse gli argani a ruota che ne gestivano il movimento. Il castello prima di vedere la sua fine era come avesse deciso di isolarsi dal resto del mondo, unico attore della sua caduta mentre una parola, l’ultima percorreva vibrando le pareti spesse fino ad arrivare alla camera di Gardis, dove il cavaliere la udì nitidamente ’precipiterà’diceva. Attendeva il gemito, a quel punto, il gemito di bambino morente che ogni volta seguiva le parole che dalle fondamenta si levavano verso il cielo. Invece il gemito non ci fu, si udì un verso raccapricciante, animalesco, selvaggio e violento, sembrava un animale pronto all’attacco. Il cavaliere provò per la prima volta la paura della morte, pensò alla fuga, ma poi dove? Gardis oramai spirata giaceva fredda ed immobile, lui uscì dalla stanza, ma esattamente come per un attimo aveva pensato a scappare, il pensiero successivo, fu che non poteva. Un uomo d’armi non abbandona il campo, mai! Indossò il suo elmo, impugnò la sua spada, rientrò nella camera, e vicino al corpo della nipote attese l’ineluttabile destino. I muri iniziarono a vibrare, le cime turrite cominciarono a cedere sotto i potenti colpi di quel verso terrigno e sotterraneo che sconquassava la montagna ed il palazzo crollò, inghiottito dall’orrido sottostante. Il destino del castello di Pincana si era compiuto.



Note

“Chi percorre oggi l’antica Via pagana, in alto verso il monte Balèst, vede ancora le rocce solcate da spaccature profonde e il precipizio di Pincana. Ma del castello, che un tempo dominava la strada , non vede più alcuna traccia.”


Così scriveva per terminare la lunga narrazione della leggenda de ‘Le fondamenta incantate” Kark Felix Wolff nel 1932 quando redasse il racconto del signore del maniero e della leggenda legata al suo basamento. Chissà da quale narrazione orale raccolta quà e là, nella sua ricerca alla scoperta delle figure leggendarie e mitologiche dei Monti Pallidi, aveva sentito parlare di questo castello, che si diceva fosse crollato rovinosamente giù verso il Pinkenbach – Rio Pincan, e di cui mai nessuno però aveva trovato tracce. La storia peraltro come riporta una stessa nota dell’edizione più recente della Mursia, era sconosciuta nella sua valle e veniva narrata nelle valli orientali delle Dolomiti, portata insieme ai commerci di cavalli e di beni. Chissà in quali scorci di un tempo risalente a molti secoli prima quella storia nacque; ma lui la rinarrò ridandole corpo e vita, nonostante come scriveva del castello in quel momento non vi fosse nessuna evidenza. Si narrava quindi di un palazzo dalle velate tracce storiche, di una costruzione che sembrava prendere forma solo grazie alla fantasia di qualcuno che in una buia sera si era messo a raccontarne per ingannare il tempo prima del riposo. Karl Felix Wolff non poteva sapere, come molti prima di lui che avevano raccontato ed avevano tramandato quella storia, che invece il castello dalle fondamenta incantate esisteva davvero anche se più in basso di dove narra la sua versione della leggenda.  






Grazie anche alle scarne indicazioni scritte da Marx Sittich von Wolkenstein che lasciò comunque segnalazioni precise sull’ubicazione del castello in documenti del XVII secolo, ed incrociando versioni differenti della leggenda, nell’estate del 2000 l’archeologo Dott. Herwig Prinoth del Museum Ladin di St. Martin in Thurn-San Martino in Badia, iniziò a fare sondaggi in Annatal -Val d’Anna, sul colle Pinkan-Pincan, più in basso dell’ubicazione sopra al monte Balèst che viene riportata nella leggenda, proprio analizzando varie declinazioni del racconto, e fu lì che trovo evidenza di importanti resti. Il colle sorge fra due torrenti, l’Annabach- (il) Rio Anna ed il Pinkanbach- Rio Pincan a 1400 m. di altitudine in zona impervia da raggiungere ed ideale come area difensiva. E fu nella zona che guarda a quella Via dei Pagani di cui si narra, a quel Troi Paian che corre da Säben-Sabiona a St. Ulrich-Ortisei unendo la Isacktal–Valle Isarco con la Grödnertal-Val Gardena che trovò resti di mura ed attraverso scavi, in corso ancora oggi, riportò alla luce resti del XIII secolo, con sicurezza facenti parte del Castello di Stetteneck. Gli scavi hanno portato alla luce una struttura risalente al XIII secolo, la cui collocazione permetteva il controllo della maggio parte del territorio di St. Ulrick-Ortisei e dell’alpe di Raschötz-Resciesa; il maniero aveva una lunghezza di circa cinquanta metri, con fondamenta spesse sino ad un metro e ottanta per un perimetro di sessanta metri ad oggi sono stati ritrovati i resti del mastio, delle mura di cinta, un cancello ed una porta romana di precedente costruzione. Fra i reperti si annoverano anche un acciarino in selce tipicamente medievale,una pedina da gioco, una punta in ferro di balestra insieme ad un’oolite lavorata molto probabilmente come proiettile, resti in vetro finissimo di una lampada ad olio, oltre a varie ossa di animali domestici ed a ceramica romanica risalente sempre al XIII secolo. 






Il nome Von Stetteneck viene citato in uno scritto datato 13 maggio 1256 custodito nell’archivio del castello vescovile di Brixen-Bressanone e con chiaro riferimento a tale Gebhardus, il documento parla di un trattato di pace reso necessario a seguito del fatto che non era stato rispettato il passaggio di mercanti e venditori, con furti ed aggressioni, e si decretava che chiunque avesse disatteso la legge nei cinque anni successivi avrebbe perso feudi e possedimenti. Nel trattato allo stesso Gebehardus de Stetenekke viene chiesto di rimborsare l’azienda agricola ‘Vishalco’. Il proprietario del castello, a cui si fa riferimento anche in altri documenti  datati 1283, 1298, 1305 che riportano il suo nome, viene descritto a partire dal 1277 come giudice di Guifidaun-Gudon oggi frazione del Comune di Klausen- Chiusa all’Isarco, ed anche come ministeriale al servizio del Principe Vescovo di Bressanone. Adelheid fu l’ultima erede della stirpe e figlia del cavaliere, sposa di Regimbert IV di Säben-Sabiona; Gebhardus ebbe altri due figli maschi oltre a lei, Iacob e Peter che morirono senza succedergli. Non si conoscono ad oggi i motivi della completa distruzione del castello se non in accordo alla tradizione popolare, secondo la quale il maniero fu distrutto da una catastrofe naturale crollando nel dirupo del Pinken-Pincan. Sempre secondo la leggenda nei pressi del rio l’unica cosa che fu rinvenuta intatta fu una campana ‘L cusé da Sàcun’ e la scoperta fu ad opera di un animale che stava pascolando. Questa campana tipica del XIII secolo, oggi si trova nella cappella dei Caduti a St. Ulrich-Ortisei. E’ probabile che il castello possedesse una cappella con tanto di campana e che questa sia riconducibile proprio al maniero degli Stetteneck. Vi è poi un documento datato 1283 conservato al British Museum di Londra ed in cui è attestata una ‘Cappellam Sancti Jacobi Apostoli in Staetenecke’, che suffraga l’esistenza di una precedente cappella sul terriorio della famiglia nobiliare e con grande probabilità facente parte del castello.







La leggenda nella versione di Karl Felix Wolff è lunga e particolareggiata ed è intitolata solo ‘Le fondamenta incantate’, titolo trasposto da quello originale Tedesco Das Schloss am Abgrund (Il castello sull’abisso), sebbene del nome del castello a cui è dedicato, nel racconto non si faccia mai menzione. La storia è raccolta in L’Anima delle Dolomiti, volume edito da Cappelli nella sua edizione originale del 1967 e ripreso poi da Mursia nel Leggende delle Dolomiti nella riedizione del 2013.




Immagini

*1 tratta dal Web

*2,3,4 tratte da www.geocaching.com


Didascalia


2 Il sito dove sorgeva Burg-Castel Stetteneck
3 L’area di scavo 
4 Veduta invernale


Bibliografia e documenti

*Carlo Felice Wolff  L’Anima delle Dolomiti, Capelli Editore 1967 Pag.155,156,157,158,159,160,161,162,163,164,165,166,167,168,169,170, 171,172,173,174,175,176,177,178,179,180,181,182,183,184

*Karl Felix Wolff Leggende delle Dolomiti, il Regno dei Fanes, Mursia Editore 2013
Pag.167,168,169,170,171,172,173,174,175,176,177,178,179,180,181,182,183,184,185,186,187,188,189,190, 191

*Stefan Planker- Hervig Prinoth Relazione sulla scoperta archeologica del Castello Stetteneck in Val Gardena Pag.13,14,15,16,17,18


Sitografia

*https://www.valgardena-groeden.com/it/cultura-e-territorio/castelli/castello-di-stetteneck/
*https://de.wikipedia.org/wiki/Burg_Stetteneck
*http://www.comune.ortisei.bz.it