Lettori fissi

venerdì 15 marzo 2019

La Bissa Bianca





Questa è la storia di un’antica Valle che si snoda lungo il sinuoso scorrere del Rio Tegnas, che nel suo fluire guarda al Monte Agner ed alle Pale di San Lucano. Questa è la leggenda di una Valle che fu conosciuta in un tempo remoto dagli abitanti di Taibon, come la Val Bissera, per il grande numero di serpi che la abitavano, oltre a basilischi e rettili di varia natura e che tenevano lontano chiunque volesse mettere radici in quel luogo, che oggi è chiamato con il nome di Valle di San Lucano.[1]
Solo i più impavidi decidevano nonostante la torbida fama che la contraddistingueva di attraversarla per arrivare agli alpeggi più alti, oppure per fermarsi nel fondovalle per lavorare nelle fornaci [2].
Nei discorsi degli abitanti di Taibon però c’era sempre il timore, c’era sempre quella ritrosia a pensare di costruire case in quella conca, fra le loro parole si agitava sempre e solo la paura dei serpenti. E fu proprio in uno di questi dialoghi che furono ascoltati da un viandante. Un tipo strano, arrivato chissà da dove, abbigliato in modo singolare. Sicuramente il forestiero dava nell’occhio, non solo per i suoi abiti stravaganti ma anche per i modi che ne definivano l’originalità. Non era la prima volta che arrivava a Taibon, nessuno ne conosceva il nome, ma tutti sapevano chi fosse, e più di uno in paese aveva avuto modo di ricevere i suoi consigli e verificare sulla propria pelle l’arte della guarigione che lui sapeva esercitare. Si, perché lui sapeva guarire vari malanni; tirava fuori da una sacca consunta dal tempo, delle erbe che ogni volta che utilizzate, portavano sollievo al malato o alla malata di turno, oltre che agli animali.  
Si imbatté così in quel dialogo, era impossibile non prestare l’orecchio a quella storia di così tante bisce che terrorizzavano chiunque le osasse semplicemente nominare, rendendo la Valle quasi inaccessibile.
Decise quindi di dire la sua, e propose ai valligiani, anche in questo caso, il suo aiuto per risolvere un problema che si protraeva da un tempo di cui nessuno ricordava l’inizio. Chiese solo una conferma, che fra le bisce che abitavano la Valle non vi fosse quella bianca gigante.
Gli abitanti si guardarono l’un l’altro, ma nessuno aveva mai sentito parlare della Grande Biscia Bianca, gli garantirono quindi che poteva essere sicuro e che loro lo avrebbero aiutato nel suo operato.
Il forestiero invitò quindi la popolazione a creare una grande calchera al centro della valle e di riempirla di così tanta legna che potesse ardere per lungo tempo. Al resto ci avrebbe pensato lui e si accomiatò.
Gli uomini del villaggio iniziarono a tagliare un gran numero di faggi ed abeti, raccolsero pietre per creare il fondo della fornace, quando tutto fu pronto, accesero il fuoco che arse per tre giorni e tre notti, illuminando sin da lontano il paesaggio.
Arrivò quindi il forestiero, in quei giorni era rimasto nel villaggio, ma non aveva disturbato in nessun modo la creazione della calchera, anzi si era concentrato su quello che avrebbe fatto successivamente, ed intanto da lontano nelle sue passeggiate ai limiti del bosco, aveva accompagnato con lo sguardo l’alacre lavoro degli uomini intenti nella fatica di scavare, tagliare, trasportare e sistemare il tutto.
Giunto vicino alla fornace scintillante di fuoco da tre giorni, tirò fuori dalla sua sacca un piffero ed iniziò a suonarlo, non prima di essersi messo al riparo sui rami di un abete, che lo nascondeva alla vista di chiunque. Un ammaliante suono iniziò a diffondersi attraverso la foresta, che improvvisamente era diventata muta, immobile, quasi tesa all’ascolto di quella musica. Dopo pochi istanti iniziarono a comparire centinaia o forse migliaia di serpenti di ogni dimensione, alcuni condotti dalle acque, altri fuoriusciti da massi e rocce, altri ancora saltando da rami su cui erano a riposare e come incantati da quel suono, si gettarono nel fuoco vivo, ad uno ad uno, fra sibili di morte e fiamme che si levavano alte a riverberarsi sulle pareti rocciose circostanti. Questo continuò per tutta la notte e sino all’alba. Quando il giorno era oramai cominciato e non si vedevano più serpi in giro, il cielo divenne plumbeo, l’atmosfera intorno si caricò di una strana energia. Dagli alberi, strisciando il suo corpo dalle grandi dimensioni e con fischi e sibili che nulla di buono lasciavano presagire, arrivò Lei, la Grande Biscia Bianca. Il suo sguardo magnetico intercettò subito il forestiero fra i rami , con le sue spire lo raggiunse, lo tirò giù e lo condusse con lei fra le fiamme. Pur ipnotizzata da quel suono che aveva ascoltato per ore, non aveva perso la lucidità per compiere quell’ultimo atto, in cui sarebbe perita lei ma anche chi, aveva organizzato la distruzione sua e della sua Stirpe.



Note:

[1] L’Agordino o Val Cordevole, dal torrente che scorre nel fondovalle, è una valle dolomitica veneta, costellata da imponenti cime come la Marmolada (3342 m.), il Monte Civetta (3220 m.), il Gruppo del Sella (3152 m.) l’Agner (2872 m.) ,il Monte Tamer (2547 m.), ed I Monti del Sole (2248 m.). Queste cime svettano a cornice delle sue valli laterali che sono: Val del Biois, Val Pettorina, Val Fiorentina e la Valle di San Lucano con le sue omonime Pale, la cui cima più alta è il Monte San Lucano (2406 m.).

[2] La calchera fu un antico tipo di fornace che si usava per la cottura della calce.

Il racconto appartiene alla Tradizione veneta come riporto dalle fonti citate, che ricalca un cliché narrativo che si ritrova uguale identico in molte aree non solo dolomitiche ed alpine ma anche europee. Così, sebbene le storie si sviluppino con lievi declinazioni legate alla regione in cui vengono raccontate, condividono un filone di base intorno al quale, si snoda una linearità narrativa che in maniera lapalissiana unisce il racconto in una radice comune che la diffuse a chilometri di distanza.

La fine del racconto in tutti i casi, vede la sparizione di tutte le bisce, ma il forestiero che doveva liberare la valle, in effetti diviene vittima anch’esso del rogo appiccato per distruggerle. Come in un meccanismo simile alla legge del contrappasso, anche il distruttore perisce fra le stesse fiamme che hanno sterminato l’intera popolazione di serpenti. E quando pensa che tutto sia finito, è con la Madre delle bisce, prima a nascere ed ultima a perire, che finisce anche lui nella trappola che egli stesso aveva pensato di usare come liberazione.

Si unisce così ai valligiani, che oramai hanno dimenticato da molto tempo il significato della Dea Serpente, e della quale non riconoscendo gli aspetti forieri di fortuna e benessere, pensano solo a distruggere ciò che non hanno compreso. La non comprensione, ha distrutto così la Stirpe dei Serpenti ma vede la fine anche il suo artefice, che in senso figurato, pensando di estinguere ciò che crede di riconoscere come un problema, in effetti, getta nel fuoco dell’ignoranza anche la sua vita e quella di tutti coloro che verranno, che non sapranno più realizzare il valore della Saggezza Serpentina. 















Immagine

        *Valledisanlucano.it



Bibliografia

*Tersilla Gatto Chanu, Saghe e leggende delle Alpi, Newton &Compton Editori 2011


*Dino Dibona, Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità delle Dolomiti, Newton&Compton Editori 2001


*Bruna Maria Dal Lago Fiabe del Trentino Alto Adige, Mondadori 1997 


Sitografia


*Valle Di San Lucano – Taibon Dolomiti valledisanlucano.it