1. Santo Stefano di Carisolo, arrivando dalla salita
“Tra
i molti personaggi illustri che sono transitati per le valli del
Trentino un posto di riguardo spetta all'Imperatore Carlo Magno.
Erano, i suoi, viaggi di conversione, guerre sante nel nome di Cristo
evangelizzatore. Le sue infinite battaglie si lasciavano alle spalle
o pagani morti o pagani convertiti alla Buona Novella.”
(Mauro
Neri, Le Mille e una leggenda del Trentino, pag. 450)
Cinta
da imponenti boschi, svetta solitaria la
chiesetta di Santo Stefano di Carisolo. La si
può già scorgere dall'abitato di Pinzolo,
ritta su uno sperone roccioso.
È
in una giornata di novembre inoltrato che gli
alberi dell'Antico Castagneto di Carisolo
mi introducono alla salita che conduce a questo luogo di grande
bellezza e silenzio. Si tratta di alberi
secolari che, in alcuni
casi, di anni ne
contano anche cinquecento e che, nei secoli
passati, hanno dato
sostentamento sia alle
genti, attraverso i loro frutti, sia agli
animali, attraverso il loro fogliame — il farlet — che veniva usato per creare il
giaciglio nelle stalle.
2.3. L'Antico
Castagneto di Carisolo ed il sentiero che porta a Santo Stefano
Talvolta
dalle forme irregolari e fantastiche, questi imponenti centenari
sembrano silenti giganti, guardiani del sentiero boschivo. Arrivata in
cima, mi sono subito chiari gli elementi di un preistorico luogo di
culto, a cui giungo attraverso il percorso ciottolato sino a quello
che si mostrerà come una vera e propria chicca territoriale: vuoi
per il sito in sé,
vuoi per le leggende che, attraverso la tradizione popolare, sono
giunte sino a noi.
4.5.
Forme irregolari e fantastiche dei più antichi alberi del Castagneto
La
Val Rendena e Carisolo
Partiamo dalla Valle che mi accoglie e dalle origini germaniche del suo nome. Il nome "Rendena" origina con i Longobardi, in Tedesco "Rand" ha infatti significato di orlo, sponda, estremità.
La
conca si racchiude tra cime superiori ai 3000 metri e ghiacciai fra i più estesi
d'Europa, che sono parte del Parco Naturale Adamello-Brenta. Dal punto di vista geologico i due versanti orografici di cui si compone la Valle si distinguono tra il Massiccio del Brenta che è
di roccia dolomia, e quello del Gruppo dell'Adamello Caré Alto
costituito di tonalite.
La
dolomia è pietra sedimentaria chiara, composta di carbonato di
calcio e magnesio, che originò dalle barriere coralline di un mare
caldo e tropicale, mentre la tonalite è un granitoide
vulcanico-magmatico con grande presenza di quarzo al suo interno, ed
è denominata appunto il “granito dell'Adamello”. Il Parco (ora
Patrimonio Unesco) insieme ad un'area circostante dal 2008 ha preso
il nuovo nome di “Adamello-Brenta Geopark”, proprio a voler
evidenziare le grandi peculiarità di interesse naturalistico.
6.7.8.9.
Il bosco e i massi lungo il sentiero verso Santo Stefano
Carisolo
che per il 92% è parte dell'Adamello-Brenta Geopark, è l'ultimo
paese della Val Rendena e sorge ad 824 m s.l.m.
Il nome del borgo,
attestato per la prima volta nel 1484 come Carezol,
deriva da caricea
e
a sua volta da carex,
una pianta della famiglia delle ciperacee che vive in terreni
palustri il cui fiore compare, degnamente, nello stemma municipale
del Paese.
L'area
di Santo Stefano dalla Preistoria ad oggi
10.
La parete della chiesa che guarda al cimitero sottostante,
sulla
sinistra lo Zucàl con le tre croci
In
questo contesto territoriale di contrasti si inserisce l'area di
Santo Stefano, luogo di sintesi degli opposti come la Valle di cui
fa parte: sintesi fra area pianeggiante e montuosa, fra la durezza
della formazione granitica della sommità dello sperone roccioso e la
fluidità del Sarca che, molto più in basso, scorre senza ostacoli
riverberando il fragore — seppur lontano — delle sue impetuose acque.
Il fiume è, sorprendentemente, l'unico elemento rumoroso ad
incontrare il silenzio quasi surreale di questo luogo, che introduce
alla Val di Genova, la quale, storicamente, fu nominata nel Concilio
di Trento come luogo idoneo a relegare Streghe e Demoni di tutta
l'area trentina.
11. Il
cimitero, come appare oggi, dalla cima dello Zucàl
Viene
spontaneo domandarsi perché costruire una chiesa proprio lì,
lontano dall'abitato di Carisolo. La zona vide la presenza umana in
epoca antichissima e nello specifico sin dall'Età del Bronzo. Su
quell'altura vissero popolazioni retiche e celtiche, l'area trentina
offre anche testimonianze della costruzione di castellieri difensivi,
prima della romanizzazione. Su questi graniti, storie lontane nel
tempo parlano di un castello che fu distrutto, secondo la leggenda,
dall'arrivo delle truppe di Carlo Magno.
12. Il cimitero, visto dal basso con le lapidi rivolte verso lo Zucàl e la chiesa
La
dedicazione a Santo Stefano richiama subito il periodo solstiziale
d'inverno. Arrivati in cima alla breve salita lo sguardo viene
colpito da tre croci che svettano a fianco della chiesa, poggiando su
una formazione di granito sagomato dall'azione dei ghiacciai, dalla
chiara forma ovoidale che ricorda istintivamente la forma di un
cranio umano.
13. La scala di pietra, accesso alla chiesa di Santo Stefano
14. Dalla cima della scala, la splendida vista sulla Valle
Denominato
localmente Zucàl,
questa
insolita formazione granitica mostra
striature di natura geologica e, forse, in minor parte, anche umana.
Oggi nella rilettura cristiana del luogo, lo Zucàl
è
chiamato anche “Calvario
o Golgota”, sempre a richiamarne la volta cranica, tramite la
stessa etimologia del termine, dal latino calvarium
(cranio),
tratto a sua volta dall'aramaico "Gylgalthā" con senso di “luogo del
cranio”.
15. Profondi solchi geologici sullo Zucàl
Le
tre croci, che anche in questo caso richiamano la simbologia
cristiana della crocifissione del Cristo con i due ladroni, furono
installate inizialmente in legno ma, abbattute da condizioni
meteorologiche avverse, furono sostituite con delle croci in metallo
che resistono fino ad oggi saldamente conficcate nella pietra.
16. 17. Vista dalla cima del masso granitico,
ben visibili le striature di natura geologica che lo segnano in lungo e in largo
Documenti
risalenti al XIII e XIV secolo testimoniano che la cappella sita in
questo luogo era dedicata inizialmente anche a San Michele oltre che
a Santo Stefano, che solo dal XV secolo divenne patrono esclusivo del
santuario. La chiesa raggiunse la sua conformazione attuale solo nel
XVI secolo.
18.19.20.21.22. Solchi a X
Dallo
Zucàl
si
gode un' impareggiabile vista verso la piana di Carisolo e da qui in
tempi remoti si accendevano fuochi che scandivano l'alternarsi delle
stagioni. Legate a questo luogo di morte e rigenerazione esistono
almeno due leggende — non legate a Carlo Magno — di cui narreremo
più tardi.
23. Guardandosi intorno dalla cima dello Zucàl
La
chiesa, i Santi e la Danza Macabra
24. La facciata della chiesa di Santo Stefano con i dipinti del Baschenis
La
prima datazione della chiesa ritrovata grazie ad una pergamena, è
del 1244. L'edificio fu costruito su una precedente struttura
romanica e nei secoli subì vari rimaneggiamenti. Durante i restauri
degli anni '80, sotto il pavimento furono trovate offerte di monete
risalenti ai secoli XI e XII: ciò
dimostrerebbe senza ombra di dubbio
che la chiesa fosse già presente a quell'epoca. All'estrema sinistra
della facciata, la statura gigantesca di San Cristoforo con il Cristo
Bambino sulle spalle fungeva da riferimento e protettore per i
viandanti ed i viaggiatori che passavano per la Valle. Qui come
altrove, il Santo gigantesco assolve alla sua funzione principale,
quella di proteggere dai pericoli dei fiumi, così come da tutti i
rischi e disagi che potevano insorgere durante gli spostamenti.
25. San Cristoforo sull'estrema sinistra della facciata rivolta al Sole
L'attuale
chiesa a due spioventi coperti di scandole mostra, sulla parete che
guarda il Sole, gli affreschi più antichi (datati 1519), a quattro
registri a grandi riquadri che rappresentano, partendo dal basso,
la Danza
Macabra (accompagnata
da scritte gotiche e volgari, più antica di quella più famosa della
vicina Pinzolo, entrambe dipinte da Simone Baschenis) e la Danza
del Diavolo.
26. Ingrandimento della facciata con gli affreschi, partendo dall'alto: la vita di Santo Stefano poi La Danza Macabra
I
due registri superiori, riparati meglio dalle intemperie, narrano
invece la storia della Vita
di Santo Stefano,
dalla sua consacrazione a diacono, alla lapidazione, ai miracoli
avvenuti sia sulla sua tomba che durante la traslazione del corpo a
Roma.
Santo
Stefano lo si trova anche al centro, sopra il portale d'ingresso, tra
San Michele (a sinistra) suo compatrono della chiesa come già visto,
e San Giacomo Maggiore (a destra) abbigliato con paramenti liturgici
ma anche con pietre sopra la testa e le spalle, simbolo della sua
lapidazione.
Sempre
all'esterno della chiesa, questa volta in basso a destra della scala,
un'arcata custodisce l'entrata della cripta che fungeva da sacrestia
e di fronte ad essa, spicca una "Madonna con Bambino" dai tratti
dolcissimi, del 1524.
27. "Madonna con Bambino" all'interno dell'arcata
a lato della scala della chiesa di Santo Stefano
La
chiesa, purtroppo, il giorno della mia visita era chiusa, ma ho
potuto comunque constatare che, al suo interno, importanti affreschi
(sempre della Scuola dei Baschenis), illustrano non solo numerosi
Santi, ma anche Sante come Caterina, Margherita e Orsola, che già
abbiamo trovato in altri luoghi di culto precristiani del Sudtirolo.
Tra i Santi, invece: Antonio Abate, il Santo celebrato il 17 gennaio,
patrono degli animali, ma anche fortemente connesso con il fuoco
tanto da esserne considerato patrono ed invocato per sconfiggere
infatti una malattia a lui intitolata, il cosiddetto “Fuoco di
Sant'Antonio” o Herpes Zoster. La sua figura e specialmente i suoi
riti sono da ricondursi a pratiche precristiane di matrice per lo più
celtica, legate a falò e fuochi rituali, di cui abbiamo accennato
più sopra. Sempre all'interno si trovano una Madonna
del Latte che
teneramente allatta il Bambino e un'Ultima
Cena con
tanto di numerosi gamberi di fiume sulla tavola, animali che,
allegoricamente, riprendendo i bestiari medievali germanici,
indicavano la presenza demoniaca, poiché il fatto che avanzassero a
ritroso ne faceva emblema di ipocrisia e falsità quanto di eresia.
Proprio
per questo, negli affreschi, è esclusivamente Giuda Iscariota a
cibarsene.
Conclusione
L'area
della chiesa di Santo Stefano oltre all'opera artistica che
rappresenta l'edificio religioso per la Danza Macabra del Baschenis,
narra, nella lingua della pietra, storie di sacro arcaico. Di quel
sacro che si respira oltre l'apparenza di forme attuali, quella
pietra granitica su cui oggi sono conficcate tre croci e che, nell'immaginario cultuale cristiano, oggi richiamano il Golgota,
anche nella sua forma di un cranio solcato da pieghe del tempo ben incise
dai millenni e anche probabilmente, in alcuni casi, da mano
umana. Quelle apparenti fratture diventano filo di un'antica
narrazione, che riecheggiò negli stessi filò dei
lunghi mesi invernali.
Salire
sopra allo Zùcal con
lo sguardo verso Carisolo e più giù verso Pinzolo è allo stesso
tempo porre l'attenzione ad un senso del sacro apparentemente
smarrito, che si ritrova però oltre le stratificazioni del tempo e delle
culture: lì sopra, accanto alla chiesa di Santo Stefano ed anche
mediante i suoi affreschi, i suoi dipinti, così come attraverso la
dedicazione a determinati Santi.
Santo
Stefano di Carisolo, una meta immancabile all'interno di una ricerca
culturale, cultuale ed antropologica, alle soglie della Val di
Genova, dove il Concilio di Trento confinò tutte le Streghe ed i
Demoni del Trentino. Santo Stefano di Carisolo un luogo liminare fra
Vita e Morte, fra il Regno del Mondo Terreno ed il Regno
dell'Oltremondo popolato da entità e spiriti come quelli delle
leggende di cui andremo a leggere. Leggende di morti, tumuli e
filatura.
Note
Riguardo
l'autore Aldo Gorfer
Questa
esplorazione è iniziata grazie alla figura di Aldo Gorfer (Cles 22
settembre 1921-Trento 12 giugno 1996), autore incontrato fra gli
scaffali della libreria antiquaria presso la quale mi servo da anni,
dove mi imbatto, nelle mie ricerche — in libri datati, di difficile
reperibilità, spesso fuori catalogo, appartenenti talvolta a case
editrici non più esistenti.
Parlo
di "incontro", perché molto spesso ciò che mi conduce ad un testo è
un qualcosa di sottile e impalpabile che richiama l'attenzione su un
luogo, una leggenda, una narrazione che coinvolge sin dalle prime
parole.
Libri
che, come nel caso di quelli del Gorfer, hanno la capacità di
trascinarti dentro le pagine delle sue indagini. La prima cosa
che, in questo caso, mi ha attratta è stato il linguaggio, diretto,
senza orpelli, di chiaro stampo giornalistico, al contempo profondo
ed accurato.
Il
Gorfer esplorò in lungo ed in largo sia il Trentino che il
Sudtirolo, con uno scopo primario — per usare le sue stesse parole — quello della mera «investigazione
archivistica», quello della testimonianza dei suoi intervistati o dei luoghi
visitati; testimonianza che — nei suoi intenti — aveva l'unico
fine di mostrare al lettore le interazioni ed influenze che il
paesaggio lascia nei suoi abitanti, e di come gli abitanti di un
certo luogo influenzino lo stesso paesaggio; di come, in sintesi,
queste due corrispondenze siano in profonda relazione e mutino luoghi
e genti.
Il
suo fu, per sua stessa definizione, un pellegrinaggio, in una civiltà
rurale e montana, una civiltà in declino, osservata da viaggiatore, senza l'obiettivo di fare
ricerca storica, geografica o etnografica. Pure senza questa
finalità, il suo raccogliere testimonianze dirette di località e
persone ha fatto dei suoi libri raccolte che illustrano storie,
geografie e tradizioni. Questi testi, seppur datati e anzi, forse proprio
in quanto tali, offrono testimonianze normalmente trascurate e, in alcuni casi
perse nei decenni, ed è proprio per questo che suscitano il mio profondo
interesse: perché, grazie ad essi, è possibile recuperare tasselli di
un passato che fu, e che chiede solo di essere riportato alla
visibilità e conoscenza che aveva un tempo.
Questi
viaggi passano attraverso il racconto di genti che parlano delle loro
comunità, del loro rapporto con il territorio, e di come
questo sia penetrato nelle comunità stesse, lasciando traccia di sé, attraverso le
tradizioni, attraverso le narrazioni di fronte al fuoco, in
un'eredità fatta di leggende, fiabe, superstizioni. Questi
testi, quindi, pur senza essere libri di storia, geografia, etnologia,
e tradizione, esplorano questi argomenti, passano attraverso di essi
per arrivare alle genti di montagna ed al loro rapporto più
profondo, come eredi di un paesaggio, di un territorio che li ha
plasmati nei secoli e che diventa riflesso nelle parole degli
intervistati. Un territorio che, fondamentalmente, è Natura e proprio dell'Essere che la vive giornalmente. Il ricorrere al folklore
diventa così non raccolta fine a sé stessa, ma fondamento, introduzione
di un tempo che si dilata e che include e raccoglie fra le sue righe
avvenimenti storici, religiosi e spirituali, che spiegano il perché
di molti atteggiamenti umani.
Immagini
*
Tratte dall'archivio personale laddove con firma filigrana
Bibliografia
*Gorfer
Aldo, Terra mia. Paesaggio sacro, paesaggio contadino, quando
la Gente si trovava insieme, Saturnia
1980
*Gorfer
Aldo, I segni della Storia. Genti e paesaggi dell'Alto Adige, Saturnia
1982
*Cortellazzo Mario e Zolli Paolo, DELI - Dizionario Etimologico della Lingua italiana, Zanichelli 2022
*AA.VV. Nomi d'Italia. Origine e Significato dei Nomi Geografici e di Tutti i Comuni, Istituto Geografico De Agostini 2009
Fonti
locali
*
Proloco Carisolo
Sitografia
* Cfr. Il
fuso di Giovanna (Carisolo-TN, Val Rendena)
http://ilblogdilujanta.blogspot.com/2023/01/il-fuso-di-giovanna-carisolo-tn-val.html
* Cfr. Il
fantasma della filatrice (Carisolo-TN, Val Rendena)
http://ilblogdilujanta.blogspot.com/2023/01/il-fantasma-della-filatrice-carisolo-tn.html