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martedì 17 dicembre 2024

Tra Luci e Storia: il Mercatino di Natale di Glurns — Glorenza, la Perla Medievale del Sudtirolo (Vinschgau — Val Venosta, BZ)

 


Credo di non aver mai sperimentato tutte le variabili meteorologiche possibili in una sola giornata. Partita con il gelo e una strada completamente ghiacciata, mi sono presto ritrovata in una nevicata che, in direzione di Sterzing—Vipiteno, si trasformava in una vera e propria coltre bianca. Giunta a Bozen—Bolzano, ecco il sole: impensabile fino a pochi istanti prima, subito seguito, lungo la strada per Meran—Merano, da pioggia mista a sole. Salendo verso la Vinschgau—Val Venosta ho attraversato tratti innevati intervallati da improvvisi spiragli di luce, mentre nuvole minacciose incombevano all’orizzonte, annunciando una nuova nevicata. E invece, dopo tre ore di viaggio, da un capo all’altro, attraverso l’intera Provincia, sono giunta alla porta medievale di Glurns—Glorenza, cittadina a soli dieci chilometri dalla Svizzera, sotto un cielo nuvoloso che incorniciava il suo incantevole mercatino di Natale.

1.„Alphornbläser Gargazon“ — Suonatori di "Alphorn" (corno delle Alpi) di Gargazzone

Si svolge esclusivamente nei giorni intorno all’ 8 dicembre e quest'anno era previsto da venerdì 6 a domenica 8. Ho scelto, così, di visitarlo il primo giorno per evitare la folla, che durante questo fine settimana, si riversa particolarmente nei mercatini tipici non solo del Sudtirolo, ma anche dell’Austria e della Germania, Terre unite da questa antichissima tradizione.

Accedo alla città dal Malser Tor—Porta Malles, la più settentrionale delle tre che ne permettono l’accesso, insieme al Schludernser Tor—Porta Sluderno e al Tauferer TorPortaTubre


2. Malser Tor—Porta Malles, una delle tre Porte che introducono a Glurns-Glorenza


Appare assonnato il centro medievale, nonostante sia ormai mezzogiorno passato, e penso che questo mi offrirà la giusta quiete per osservare non solo le merci esposte, ma anche per godere di una visione d’insieme del borgo, che avevo visitato in estate, più di dieci anni fa. Un’insegna in ferro battuto, che apprezzo sempre molto, cattura la mia attenzione: è quella del Gasthof Zur Post—Locanda alla Posta, accompagnata dalla scritta gotica che spicca sull’edificio.


3. Scorci di Glurns-Glorenza


               4. Frauenkirche — Chiesa di Nostra Signora, illuminata da una torcia stilizzata,                     una delle tante che rischiarano l'oscurità cittadina.


Avvicinandomi alla chiesa centrale di Frauenkirche—Nostra Signora, comincio a intravedere qualche turista, e da lì Glurns—Glorenza si svela in tutta la sua accogliente bellezza. È nella Stadtplatz—Piazza Città che si erge l’abete, pronto a illuminarsi nel pomeriggio. 


5. Verso la Stadtplatz—Piazza Città


6. Visioni dalla Stadtplatz—Piazza Città con l’abete


7. Meridiane risaltano sui bianchi muri di abitazioni medievali


    8. Dalla Stadtplatz—Piazza Città, con lo sguardo verso la Frauenkirche—Chiesa di Nostra Signora


9. Il Boutiquehotel Belvenu, costruito in un antico ex- monastero di epoca gotica, affascina con le sue suggestive alte mura candide.



10Sempre sulla Stadtplatz—Piazza Città un grande ippocastano regala giochi di luce tra i suoi rami


Da quel punto il mercatino si offre ai visitatori con un carattere unico, mettendo subito in evidenza produzioni esclusivamente locali: dalla gastronomia ai prodotti in lana, soprattutto cotta, passando per articoli in ceramica, composizioni floreali, porta candele artigianali intagliati nella betulla, oggetti scolpiti in legno e, naturalmente, presepi. 


11. Tra le produzioni artigianali in lana, fiore all’occhiello di questa Provincia, uno "scaldabottiglia" in lana è davvero una sorpresa


12. L’intaglio del legno, tradizionalmente caratterizzato da linee classiche, si rinnova con rappresentazioni stilizzate ed essenziali, come questi angeli


13. 14.15. La lana cotta, fiore all’occhiello dell’artigianato alpino, si trasforma in opere di creatività: dalle tradizionali e calde pantofole in feltro a cappelli, guanti e adorabili topini che sbirciano dai loro cesti





16. Un tavolino rotondo e una sedia, posti ai lati di un banchetto e vestiti con un drappo impreziosito da rami sulla sedia, creano un espositore originale per liquori e prelibatezze


Non mancano nemmeno le eccellenze casearie a base di latte di capra e le specialità realizzate con la Pera Pala (nota localmente come Palabira, nel dialetto tirolese), un’antichissima varietà autoctona con cui si producono succhi, marmellate e persino un pane unico nel suo genere. Proprio quest’ultimo sarà uno dei souvenir che porterò con me da questa giornata, insieme, ovviamente, al succo e alla marmellata, conoscendo e apprezzando da tempo questo straordinario frutto.

Al centro della piazza, un chiosco offre panini tipici con salsicce e würstel, ma due aspetti attirano subito la mia attenzione: la grande griglia centrale, completa di braciere per la cottura, che richiama con forza tempi medievali, e i contenitori per le salse. Questi ultimi, appesi all’esterno della struttura e riempiti di maionese, ketchup e senape, sono in realtà bottiglie per l’allattamento dei vitelli, dotate di tettarelle, che trasformandosi in modo simpatico e originale, divengono dosatori della salsa scelta dall’affamato avventore.



17. Come in un dipinto medievale, il calderone sul braciere e la cornice che lo racchiude trasportano chi guarda in un tempo leggendario


18. Non si può fare a meno di sorridere davanti all’originale scelta delle bottiglie per l’allattamento dei vitelli, con tanto di tettarella da strizzare per condire il proprio panino.


Con il freddo e la stanchezza del viaggio che si fanno sentire, scelgo di pranzare in un locale affacciato sulla piazza, attratta, a primo acchito, dalla merlatura della facciata, che in qualche modo richiama quella di un castello. Parlo del Gastof zum Grüner Baum—Locanda all’Albero Verde, un rinomato locale storico, ospitato al primo piano di un edificio a tre piani che funge anche da hotel. Salendo la scala, non posso fare a meno di sorridere fra me e me: le volte a botte, con la loro eleganza antica, hanno un fascino capace di incantarmi.


19. Gasthof zum Grüner Baum, la tradizionale Locanda all’Albero Verde


Le tre sale da pranzo della Locanda, utilizzate al mattino per la colazione degli ospiti, offrono un’atmosfera accogliente e curata. Ogni ambiente, rivestito in legno, combina stili che alternano un carattere ora più antico, ora più moderno. In due di queste sale, il cuore del calore è rappresentato da stufe tradizionali: una Kachelofen, l’elegante stufa in maiolica, e una Bauernofen, l’essenziale e robusta stufa contadina. Dopo un ottimo pasto, mi affaccio dal balcone che dà sulla piazza, regalando una vista privilegiata sul mercatino, ancora tranquillo e poco affollato. Ora che ho trovato ristoro e calore, mi sento pronta per riprendere il mio giro e immergermi nell'atmosfera, che con il calare della luce diventa più intensa.

Il mercatino si snoda non solo nella piazza principale, ma anche lungo la Laubengasse—Via dei Portici, una strada dall’architettura unica, caratterizzata da porticati bassi e irregolari, punteggiati da attività artigianali. Per l’occasione, alcune di queste spostano i loro prodotti su banchetti, trasformando ogni angolo degli asimmetrici portici in uno spazio espositivo. Alcune arcate, dotate di muretti, diventano esse stesse banchi improvvisati, che ne esaltano l’artigianalità e creano un’atmosfera autentica. Bancarelle si trovano anche nei dintorni della Porta Taufers—Tubre, e in Sankt Pankratius Gasse—Via San Pancrazio, dove altri espositori si distribuiscono lungo la via.



20.21.22. Tra le arcate degli antichi porticati del Laubengasse — Via dei Portici, questa attività ha creato una suggestiva esposizione esterna 


Fra tutte, mi colpisce un cartello scritto a mano che recita: Waldweihrauch Räucherwerk vom BergIncenso del bosco, prodotti per fumigazioni dalla montagnaIl banco è semplice, forse il più essenziale di tutti, con pochissimi articoli: erbe per fumigazione e pezzi di lana cotta. La venditrice, impegnata con alcuni acquirenti, mi induce quindi a passare più tardi. Intanto, continuo il mio giro, soffermandomi anche su banchi già visitati per cogliere dettagli che, magari, prima mi erano sfuggiti.  


23. Il cartello che promuove gli incensi di montagna per le Rauchnächte non poteva passare inosservato


E poi un banco, però, suscita la mia attenzione più di altri: espone collane e monili molto particolari, realizzati in marmo di Laas—Lasa. Il marmo per me, confesso, non è mai stato un materiale affascinante. L’ho sempre percepito come freddo, distante, quasi ostile. Le sue venature e varianti cromatiche così amate da molti, non hanno mai incontrato i miei gusti, se non nelle sculture d’arte. Non l’ho mai apprezzato né nelle pavimentazioni di casa, né come materiale per lapidi.


24. Amo come questa Terra sappia coniugare arte e natura. Il marmo di Laas diventa gioiello, un regalo prezioso da accompagnare con un dolce o una marmellata di albicocche di montagna, fiore all’occhiello della Vinschgau — Val Venosta  


Tuttavia, tutto è cambiato quando ho scoperto il marmo di Laas, una pietra di un bianco purissimo, con una concentrazione di carbonato di calcio pari al 99%. Estratto da cave situate a 1.500 metri sul livello del mare, nel cuore delle montagne, è considerato uno dei marmi più belli e pregiati al mondo.

Questo marmo non è solo materia, ma un’emozione visiva. Il suo candore immacolato evoca in me l’immagine della neve fresca, l’essenzialità di un bianco osseo e, soprattutto, le leggende alpine che riportano alla figura della Bianca Signora del Tempo, la Donna di Veggenza, eco di antiche storie alpine, tramandata attraverso vari nomi, come Willeweiß o Wilwiss che permea l’immaginario di chi vive fra queste montagne.

In quel momento, di fronte a quei monili, mi rendo conto che la mia idea del marmo è cambiata. Non è più solo un materiale. È una storia. È un simbolo. E in questo bianco perfetto, trovo un riflesso della purezza e della forza delle Alpi che lo custodiscono.

Il mercatino di Glurns—Glorenza non è solo un insieme di espositori, ma un luogo dove anche la musica ha un ruolo fondamentale. A dare il via ai contributi musicali sono stati due ragazzini — probabilmente fratello e sorella — che si sono esibiti su un palco posto sotto un grande ippocastano. Questa prima performance ha introdotto con semplicità e autenticità il ricco programma musicale, che ha contribuito a rendere il mercatino ancora più particolare.



A seguire, si sono esibiti due gruppi di strumenti a fiato, sebbene in punti opposti della città ed in ore diverse. Il primo, il Quintett „Gebläse“ aus Nauders (A) — Quintetto "Gebläse" di Nauders (A), ha iniziato con un brano strumentale, proseguendo poi con la versione cantata e a cappella. 




Il secondo gruppo: „Eppan Blech“— i "Suonatori di Trombe di Appiano", invece, ha incantato gli avventori radunati, a pomeriggio inoltrato, intorno a un banco che offriva Glühwein — vin brulé — e dove anch’io mi trovavo. 




In quell’occasione, però, ho preferito un ApfelGlümix — brulé analcolico a base di mela — che ho gustato accanto a una delle tante stufe a legna sparse per il mercato. Era servito in tazze, ovviamente in vendita, e la mia, di un bel verde bosco intenso, l’ho acquistata per portare con me un prezioso ricordo di questa esperienza. Anche adesso, mentre scrivo e sorseggio una tisana, mi accompagna con la memoria a quei momenti.



25. Il fumante ApfelGlümix, un brulé analcolico a base di mela, ha riscaldato il mio pomeriggio, sorseggiato accanto al fuoco che ravvivava gli avventori


Era curioso osservare l’addetto che, munito di carriola piena di ciocchi, si spostava con precisione e cura da una stufa all’altra per alimentare i focolari accesi affinché non si spegnessero e potessero, così, riscaldare coloro che vi si avvicinavano. Il suo lavoro, apparentemente semplice, contribuiva a mantenere vivi i punti di calore, anima calda dell’atmosfera del mercatino.

Non da meno, e suggestivi alla vista quanto affascinanti da ascoltare, sono stati „Alphornbläser Gargazon“ — i Suonatori di "Alphorn" (corno delle Alpi) di Gargazzone. Al termine delle loro esibizioni, è stato sorprendente vederli muoversi con disinvoltura tra i banchi, portando i lunghi strumenti in spalla con una leggerezza inaspettata.



I musicanti, hanno contribuito, davvero, a creare un’atmosfera unica e indimenticabile.

È ormai tempo di ritornare al banchetto che vendeva erbe da fumigazione per le Raunächte. Finalmente, ho avuto modo di scambiare due chiacchiere con la venditrice, Sandra, una tedesca che ha scelto di vivere fra le montagne della Vinschgau—Val Venosta e con la quale ho avuto una piacevole conversazione sulla pratica della fumigazione nelle "Notti fumose". Incensieri, braci, resine, erbe e demoni sono stati al centro del nostro dialogo.

Uno scambio gradevole e intenso, al calare della sera, che mi ha lasciato un piccolo bagaglio di saperi e conoscenze, sul quale ho riflettuto per gran parte del tempo del ritorno.

Glorenza, anche quest’anno, con il suo mercatino, si è confermata la cornice perfetta per gli artigiani e i produttori della Valle. Mentre mi lasciavo le sue luci alle spalle, uscendo dalla stessa Porta da cui ero entrata, mi sono resa conto che il mio era solo un semplice "arrivederci".






Immagini

* Tratte dall'archivio personale

Sitografia

*cfr. La Willeweiß, l'Antica Signora delle Profezie delle Montagne (Schlern—Rosengarten/Sciliar—Catinaccio, BZ)

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2017/12/la-willewei-lantica-signora-delle.html

*Cfr. La Vecchia dei Boschi dell'Oberpurstein (Tauferertal —Valle di Tures, BZ)

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2019/11/la-vecchia-dei-boschi-delloberpurstein.html

*Cfr. La Wilwis, la Veggente della radura dell'Hexenbödele (Langstein — Longostagno, BZ)

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2019/11/la-wilwis-la-veggente-della-radura.html




domenica 24 novembre 2024

Il Rito del cero commemorativo per i defunti dell’ultimo anno. Una tradizione del Sudtirolo in Allerseelen – nel Giorno dei Morti






Il primo novembre rappresenta, a tutti gli effetti, uno spartiacque all’interno del calendario agricolo. Termina un anno, completato il tempo del raccolto, la terra entra in un profondo sonno, avvolta dal silenzio della stagione fredda. 

Secondo il calendario cristiano cattolico, questa data introduce un periodo di riflessione e memoria: il primo e il due novembre sono dedicati alla celebrazione dei Santi e dei Morti. Ma queste ricorrenze affondano le loro radici in un passato più remoto. Del resto, il “culto degli antenati” rappresenta l’origine di ogni religione (Spencer 1877). Lo stesso culto degli eroi deriverebbe dalla divinizzazione degli antenati, e le Divinità trarrebbero origine da un processo affine. Tra i Celti, infatti, questo momento dell’anno aveva un’importanza centrale nella vita comunitaria: Samonios o Samhain — come oggi è meglio conosciuto — rappresentava il Capodanno, una festa in cui si rinnovava il legame profondo tra vivi e morti. Non esisteva una netta demarcazione fra il mondo dei vivi e quello dei defunti, ed un morto non era mai completamente morto, poiché morire non era lasciare la vita ma solo mutare uno stato all’interno di essa. Le celebrazioni iniziavano il 31 ottobre e si prolungavano per undici giorni, fino a quello che oggi è noto come il giorno di San Martino. Con l’avvento del Cristianesimo, molte di queste tradizioni furono assorbite e rielaborate nel calendario liturgico.




La Chiesa seguì diversi passi per giungere alla celebrazione che conosciamo oggi. Nel VI secolo fu istituita una giornata dedicata alla commemorazione dei martiri della Chiesa latina, fissata in prossimità della Pasqua per richiamare il legame della sofferenza — comune ai martiri e a Cristo — al tema della resurrezione. 

Durante il pontificato di Papa Bonifacio IV (608-615), questa celebrazione fu spostata al 13 maggio. Solo due secoli più tardi, Gregorio IV, pontefice dall’827 all’844, stabilì che la festa fosse celebrata il primo novembre, sperando di portare un cambio di passo nel diffuso “anno celtico”. Sebbene questa festa, dedicata a tutti i Santi, esistesse già in alcune aree, con Gregorio IV fu estesa a tutta la Chiesa Cattolica. Questa ricorrenza pur essendo rivolta ai Santi, evoca già il ricordo dei Defunti.

La prima celebrazione del Giorno dei Morti si attribuisce a Sant’Odilone di Cluny, che il 2 novembre del 998 introdusse questa ricorrenza nel monastero omonimo con l’intento di pregare per le anime dei defunti, soprattutto per quelle che si trovavano in Purgatorio, in modo da favorire il loro passaggio verso la salvezza eterna. Tuttavia, secondo il teologo e scrittore Isidoro di Siviglia, le origini di questa festa risalirebbero già alla prima metà del VII secolo. La celebrazione fu poi ufficialmente istituita nel 1006 da Papa Giovanni XVIII.

Oggi, tra le montagne del Sudtirolo e nelle regioni germanofone, il Giorno dei Morti è un’occasione per rinnovare il legame con coloro che non ci sono più, attraverso tradizioni che coniugano fede, memoria e comunità.

Il Giorno dei Morti, o Commemorazione dei Defunti, è conosciuto in Sudtirolo e nel mondo germanofono come Allerseelen, che significa letteralmente “Tutte le Anime”. Questo momento dell’anno rinnova una tradizione molto particolare: quella del "cero commemorativo" per i defunti dell’ultimo anno. Fra queste montagne, i cimiteri sono particolarmente curati, e il periodo dei Morti esprime un forte senso di comunità.




Le bacheche esterne alle chiese sono ornate con le foto di coloro che hanno lasciato questo piano d’esistenza, decorate con foglie secche o rametti di sorbo, e accompagnate da scritte che, con delicatezza e profonda malinconia, esprimono il senso della morte all'interno della vita. Tra queste si leggono frasi come: “Leise weht ein Blatt vom Baum und nichts ist mehr so, wie es einmal war”(‘Una foglia cade piano dall’albero e nulla è più come prima’), oppure “…und bis wir uns wiedersehen, halte Gott Dich fest an seiner Hand”(‘…e finché non ci rivedremo, possa Dio tenerti stretto nella sua mano).




In questo giorno, gli altari delle chiese espongono un cero per ogni defunto dell’anno passato, che al termine di una celebrazione viene donato a figli o parenti per essere acceso sulla tomba.




Ricordo ancora molto bene quella mattina di fine ottobre, mentre ero indaffarata a svuotare la casa di mamma, circa un mese dopo la sua morte. Suonò il campanello: era una signora che già conoscevo. Dopo aver rinnovato le sue condoglianze, mi porse un bigliettino, spiegandomi che il 2 novembre, nella chiesa parrocchiale, ci sarebbe stata una liturgia della Parola per ricordare i defunti dell'ultimo anno. Presi il biglietto, immaginando una messa simile a quelle a cui ero abituata.




Così, puntuale, il 2 novembre mi recai all'appuntamento e, entrando, notai subito dei piccoli ceri bianchi disposti in fila, di cui ignoravo la funzione. Non c'erano molte persone, sparse tra i banchi della chiesa barocca dedicata a Heiligen Margareth (Santa Margherita). La prima cosa che mi colpì fu che l'intera liturgia era officiata al femminile: furono donne a leggere le Scritture e a ricordare, mese per mese, chi ci aveva lasciato, in un silenzio carico di malinconia che rendeva ancor più intenso il senso della Morte.




Al termine della celebrazione, mi avvicinai alla signora che mi aveva invitata. Intanto osservavo come, man mano che i parenti dei defunti si avvicinavano all'altare, venisse loro consegnato un piccolo cero collocato in un semplice vasetto di vetro. Nessuna scritta, nessuna immagine, solo un cero bianco, il cui stoppino, annerito, indicava che era già stato acceso.




La signora mi spiegò che quella piccola candela era stata accesa con la fiamma del cero pasquale e che, secondo la tradizione, doveva essere portata sulle tombe. Sebbene mia madre non fosse sepolta in questo paese, anziché tornare subito a casa, seguii il piccolo corteo di una decina di familiari che si dirigevano al cimitero; ero curiosa di vedere di cosa si trattasse. Nel frattempo era calato il buio più completo. Arrivati al cimitero, deserto a quell'ora, i familiari dei defunti dell’anno – coloro che erano mancati tra il 2 novembre dell'anno precedente e quello corrente – accesero il cero e lo aggiunsero alle altre candele che qui illuminano quotidianamente le tombe, raccogliendosi poi in preghiera. Nel periodo dei defunti, queste luci si uniscono a composizioni di piante simboliche — come l’abete, il melograno e il cardo selvatico — diffuse in tutta l'area germanofona, dal Sudtirolo all'Austria e alla Germania. Con il tempo, ho notato come la tradizione del “cero commemorativo” si diversifichi da una chiesa all’altra. In alcune, i ceri bianchi lasciano spazio a versioni più grandi, decorate con croci dorate o colorate, con i nomi dei defunti e, talvolta, con scritte legate al periodo, come preghiere o pensieri dedicati.




Le usanze legate alla morte testimoniano il profondo legame tra vivi e defunti, specialmente nel contesto sudtirolese, dove i cimiteri, generalmente, sorgono intorno alla chiesa parrocchiale, la quale è parte integrante del tessuto comunale e comunitario. 




Questa zona non si uniforma alle disposizioni dell’Editto di Saint-Cloud, emanato da Napoleone Bonaparte nel 1804, che impose l’obbligo di collocare i cimiteri fuori dalle mura comunali per ragioni igienico-sanitarie, estendendo la norma dalla Francia ai territori sotto il suo controllo. In Sudtirolo, invece, i cimiteri restano nei centri abitati, intorno alle chiese, rappresentando una particolarità storica e culturale che differenzia questa Provincia dal resto d’Italia.

La particolare conformazione climatica e territoriale dell’area, soprattutto nei piccoli centri e nelle zone di montagna, ha contribuito a evitare problematiche sanitarie legate ai luoghi di sepoltura, rendendo inutile uno spostamento forzato. Inoltre, in questa Provincia come in Austria, Germania e Svizzera, separare i cimiteri dalle chiese avrebbe significato rompere il legame tra i defunti e la loro comunità, una scelta ritenuta inaccettabile. I cimiteri, infatti, rappresentano un’estensione del rapporto tra vivi e morti, un vincolo che li unisce come parti di una stessa collettività. 




Dopo aver descritto questa tradizione legata al Tempo dei Morti, è interessante riflettere su alcuni simbolismi più ampi in un’ottica di tipo culturale. Da tempi antichissimi, infatti, il fuoco ha ricoperto un ruolo centrale nei rituali e nelle credenze dei popoli, simboleggiando non solo la luce, ma anche la purificazione, la trasformazione e la protezione. 

Ogni azione di tipo rituale, qualunque sia la sua matrice, racchiude una serie di valenze che rivelano lo "stato" profondo delle cose. Esaminiamo ora il termine, concentrandoci sui riti funerari da un punto di vista strettamente antropologico, indipendente da collegamenti liturgico-religiosi, già introdotti in precedenza. 

Un rito è un insieme di comportamenti, parole, canti e oggetti utilizzati o trattati in modo specifico — creati o distrutti — che possiedono virtù intrinseche e producono effetti simbolici o reali. Derivante dal latino ritum, a sua volta di origine indoeuropea, con il doppio significato di “cerimonia religiosa” e “costume, abitudine” (Zanichelli 2022). Come evidenziato dalla Treccani, è semanticamente affine al greco ἀριθμός, termine con il significato di numero, che richiama i concetti di ordine e regolarità, elementi che ritroviamo nei riti come atti stabiliti e ripetuti. In Sanscrito, il termine ha una doppia valenza: indica sia “misurato” sia “ordine cosmico”. Questo significato sia oggettivale che nominale, rimanda a un “ordine” stabilito dalle Divinità, che funge da legge universale per regolare il Mondo. 

Da tempi antichissimi, il fuoco ha rappresentato un simbolo universale, associato a molteplici significati: purificazione, rigenerazione, protezione e continuità. Elemento materiale e insieme simbolico, funge da ponte tra mondi diversi, creando punti di connessione capaci di generare trasformazioni. Questo simbolismo si riflette anche nella tradizione cattolica locale del “cero commemorativo”, acceso con la fiamma del cero pasquale. Questo gesto richiama la luce di Cristo e il rinnovamento spirituale, ma riecheggia anche i fuochi rituali arcaici diffusi tra le popolazioni europee, invocati per protezione divina e trasformazione, aspetti cui accenniamo senza addentrarci oltre in questa sede. Ogni rito, in ogni epoca, ci ricorda che la nostra esistenza è intrecciata in un ordine universale che connette il visibile e l’invisibile. I "ceri commemorativi" non sono esclusivamente ricordo: sono trasformazione, continuità e il filo che unisce in maniera indissolubile noi e la nostra ascendenza. Il fuoco ci ricorda che la memoria non appartiene solo al passato: è una fiamma viva che brucia nel presente, unendo ciò che, solo all’apparenza, sembra distante e separato. Ancora una volta unisce, creando un legame profondo tra vivi e defunti, tra materia e spirito, tra umanità e divinità.





Immagini

* Tratte dall’archivio personale

Bibliografia

*Cortellazzo Manlio e Zoli Paolo (a cura di), DELI Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Zanichelli 2022 

*Dal Lago Veneri Brunamaria, Alto Adige. Terra di feste, riti e tradizioni, Giunti 2002 

*Eliade Mircea, Dizionario dei Riti, Jaka Book 2020 

* Eliade Mircea – Couliano Ioan P. (a cura di), Dizionario dei simboli, Jaka Book 2020
 
*Eliade Mircea – Ries Julian, Dizionario delle Feste, Jaka Book 2021

*Greger Michael J., Brauch und Jahr, Verlag Verein Schloss Trautenfels 2008 

*Mangold Guido – Griessmair Hans, Usi e costumi del Sudtirolo, Athesia 2001 

Sitografia

*cfr. Samhain, la Porta di Eternità di ciò che non è mai separato

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2016/10/samhain-la-porta-di-eternita-di-cio-che.html

*cfr. Dall'Oscurità di Novembre e Dicembre alla Scintilla del Nuovo che verrà

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2017/11/dalloscurita-di-novembre-e-dicembre.html

*Treccani.it


mercoledì 30 ottobre 2024

Seguitemi su Telegram, X e Academia.edu. Ecco dove trovarmi online




 

Una volta, diverso tempo fa, il social network funzionava anche discretamente bene. Parlo nello specifico di Facebook, che con gli anni  è diventato macchinoso: mostra temi che non mi interessano, imponendomi video e reel di personaggi e argomenti che non cercherei mai. Purtroppo, i contenuti hanno perso qualità. Questo vale per il profilo personale, ma per le pagine la situazione è ancora peggiore. La cosa più sconcertante è che anche per quella di cui sono titolare — Fra Sacro Femminino e Celti nella Terra senza Tempo le Dolomiti — le notifiche di studiose e studiosi, ricercatrici e ricercatori che seguirei volentieri vengono eclissate, così come le notifiche relative agli articoli e alle immagini che pubblico sulla mia pagina, perfino a me stessa. Per non dire di follower che mi dicono di non vedere la mia pagina da mesi, nemmeno quando, ovviamente, pubblico un contenuto. Anche questo, purtroppo, non è una novità.

Dal momento che ho notato questo “meccanismo alterato” ormai da anni, ho finito per abbandonare quasi completamente il mio profilo, usando Facebook solo per gestire la pagina. A lungo andare, però, mi sono stancata di questa malagestione e ho deciso di cercare un’alternativa. Non amo particolarmente i social, ma riconosco che Internet può essere una risorsa straordinaria per lo scambio, lo studio e la cultura, se ben strutturato anche per questi scopi.

A maggio ho aperto, proprio per i motivi di cui sopra, una pagina su X (ex Twitter), dove credo mi troverò più a mio agio nel condividere i miei lavori. Sto ancora cercando di comprenderne bene le funzionalità per imparare a utilizzarlo al meglio; per ora, nell'ultimo mese, ho pubblicato solo il mio articolo più recente sull’Equinozio d’Autunno. Inoltre, ho deciso di creare un canale Telegram per condividere testi e contenuti provenienti anche da altre fonti. Non intendo certo inviare notifiche a raffica, ma oggi, con un numero crescente di social e piattaforme, trovo fondamentale scegliere luoghi che, seppur virtuali, risultino il più possibile affidabili e accuratiper chi desidera uno spazio di scambio serio.

Sia su X che su Telegram, il nome rimane invariato: Il blog di Lujanta. Rimane attiva anche la mia pagina di ricerca su Academia.edu, dove potete trovarmi con il mio nome completo, Daniela Isa Albero (ho aggiunto, da tempo, il mio secondo nome di nascita per distinguermi da un archeologo spagnolo con cui condivido, curiosamente, sia nome che cognome, al fine di evitare di ricevere notifiche relative alle sue citazioni). Su Telegram sarà più semplice instaurare uno scambio diretto, sempre con la discrezione che mi contraddistingue e senza abusare né del mezzo né dell’interesse delle persone che avranno l’opportunità e il piacere di seguirmi.

Comprendo perfettamente che non tutti possano o debbano essere presenti su tutti i social o su ogni piattaforma esistente; tuttavia, ritengo importante scegliere con cura gli spazi più adatti per la divulgazione dei miei scritti. Questo significa che non ho intenzione di abbandonare Facebook, ma piuttosto di ampliare le possibilità per le mie lettrici e i miei lettori, permettendo loro di scegliere tra opzioni selezionate per qualità e pertinenza. Restano sempre benvenuti su Facebook, ma, ricevendo notifiche dalle altre piattaforme che considero più adeguate al tipo di condivisione che desidero, avranno modo di accedere ai miei materiali attraverso canali diversi.

Di seguito i link per seguirmi






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* Tratta dall’archivio personale

Tabià, Stabizzane Fr.ne di Auronzo di Cadore (BL)


domenica 22 settembre 2024

Equinozio d'Autunno: la Madre di Langenaichstädt tra Offerte Rituali Antiche e Nuove (Sachsen-Anhalt Sassonia-Anhalt, Germania)




Nel giorno in cui buio e luce trovano un perfetto equilibrio, nella vasta campagna della Sachsen-Anhalt (Sassonia-Anhalt) tutto parla d’Autunno. I campi che solo pochi mesi fa erano rigogliosi di grano, ora raccolto, si distendono in un paesaggio che, lontano dalle giornate solatie e lungamente luminose, appare ancor più silenzioso. Questo istante di transizione che di fatto segna l’ingresso alla parte oscura dell’anno, sembra percepirsi in ogni angolo di territorio.

1. Il complesso funerario, così come appare oggi, vede il menhir della Madre di Roccia collocato nella posizione in cui potrebbe essere stato eretto in origine.

Ho già scritto di Lei in un altro articolo, un testo che ho sentito il bisogno di dedicarle dopo averla scoperta al Landesmuseum für Vorgeschichte Halle-Museo Statale della Preistoria di Halle. Ho poi voluto visitare il luogo del suo ritrovamento, dove oggi, in questo Equinozio d'Autunno, una sua copia continua a ricevere offerte. Lei, custode di una tomba a camera del Neolitico. Lei, come è stata chiamata: la Dea Dolmen di Langeneichstädt.


2. Immagine ravvicinata del menhir. La copia è perfettamente identica all'originale, custodito e protetto dalle intemperie e dal passare dei millenni al Landesmuseum für Vorgeschichte - Museo Statale della Preistoria di Halle.


Arrivo alla collina che ospita la tomba preistorica nel primo pomeriggio. Le nuvole sembrano rincorrersi nel cielo, spinte da un vento che soffia incessantemente in questa zona. A volte i cumuli si dispongono in modo tale da formare un mantello che si fonde con il paesaggio, mentre altre volte si aprono improvvisi squarci che rivelano azzurri inaspettati, impensabili solo pochi istanti prima.

La collina, alta duecento metri, appare all’improvviso in lontananza, quasi irraggiungibile, nascosta alla vista da un cerchio di alberi che non lascia intravedere nulla oltre di essi. Lo stesso stupore suscitato dal cielo, con i suoi repentini giochi di nuvole e variazioni di colore, si ripresenta mentre ci si avvicina, evocando profonde sensazioni interiori.

La cinta di alberi offre un varco, al di fuori del quale un cartello segnala che quest’area fa parte di un percorso che collega i principali siti archeologici del Land, noto come Die Himmelswege (I Sentieri del Cielo). Si tratta di una rete turistico-archeologica che si snoda intorno a siti preistorici, testimonianza di quanto l’Essere Umano, sin dai tempi più antichi, abbia rivolto il suo sguardo al Cielo, sentendosi allo stesso tempo profondamente legato alla Terra. Questo sito ne è la riprova più concreta, dimostrando quanto, in entrambe le dimensioni, gli esseri viventi fossero coinvolti nei misteri e nelle relazioni che regolano l'Universo e la Vita.

I ritrovamenti che fanno parte di questo percorso tematico, esteso per chilometri, ci raccontano di un'epoca preistorica, in cui miti, rituali e conoscenze venivano tramandati solo oralmente, di generazione in generazione.

La Eichstädter Warte

3. Il varco che conduce alla collina rivela subito la vista della Eichstädter Warte. Poco più vicino all'entrata, un grande albero, con tanto di panchina, offre un angolo di ristoro. 


Oltrepassato il varco, che separa il resto dell’area rurale dalla collina, il primo sguardo incontra la Eichstädter Warte, la torre altomedievale che dista poche decine di metri dalla tomba a camera, sebbene, ad uno sguardo più attento non sfugga che sulla sinistra si intravede la Madre di Roccia.

La Torre alta circa tredici metri e larga ventitré, mostra muri spessi oltre un metro in alcuni punti. È costruita in pietra calcarea conchiglifera e presenta la particolarità di essere riempita all'interno fino a due metri sotto l'ingresso.


4. Una delle rare domeniche in cui è possibile scalare la torre e godere della vista.


L’ingresso, posto sul lato sud, appare fin da subito molto particolare, non essendo al livello del suolo, ma situato a più di sette metri di altezza rispetto al prato. Si presenta come un arco a tutto sesto, originariamente privo di protezione. L'attuale porta a grata è un’installazione recente, volta a proteggere il bene architettonico. Sulle pareti dei lati est, ovest e nord, tre feritoie mostrano aperture che, strette all’esterno, si ampliano verso l’interno. All'interno, fori piuttosto irregolari, che a primo acchito potrebbero sembrare destinati al sostegno di un pavimento, paiono, invece, aver sostenuto impalcature. Inoltre, sono presenti i resti di uno strato di travi, ciò che un tempo doveva essere un pavimento intermedio. La sommità della Torre è costituita da una cuspide conica.

Il complesso, pur facendo parte di un sistema di difesa, non ha mai costituito di per sé un elemento difensivo, ma piuttosto di osservazione e segnalazione.

La Warteverein Langeneichstädt è l'Associazione che si occupa della tutela di questa collina e dei suoi beni storici, in particolare la Warte e la Tomba Neolitica. Ogni anno, la domenica di Pentecoste e in concomitanza con la Giornata dei Monumenti Aperti, organizza un evento in cui è possibile scalare la Torre e, nelle giornate più limpide, spingersi con lo sguardo fino a Lipsia.

La Madre di Roccia con Tomba a camera Neolitica

La mia attenzione si rivolge ora alla sinistra della Torre, dove in precedenza avevo già scorto il menhir della Dea Dolmen. Riesco a vedere la tomba a camera solo avvicinandomi di più. Si trova leggermente più in basso rispetto al punto in cui il menhir è stato ora collocato. Faceva parte di un tumulo, ora aperto e riportato alla luce durante fortuiti lavori di aratura nel 1987.

Ricordiamo che la Dea Dolmen è chiamata così proprio perché, pur essendo un menhir, era posizionata con il volto rivolto verso l’interno della camera, a chiusura della stessa per proteggere e rigenerare i defunti. Tuttavia, la sua forma ovale peduncolata suggerisce che, in origine, quel menhir doveva essere stato eretto in posizione verticale, anche se il punto esatto non ci è noto, con la sua base radicata nella terra scura. Questo lo rendeva pronto a incontrare lo sguardo non solo di coloro che veneravano la sua manifestazione di pietra, ma anche di chi, nel grande viaggio verso l’Oltremondo, ne avrebbe tratto protezione, rinnovamento e rigenerazione.

Abbiamo altre testimonianze di tumuli ancora inviolati, come quello di Hohen Gemeinde Petersberg, situato a circa cinquanta chilometri da Langeneichstädt, nel distretto del Saalkreis. Anch'esso risalente al Neolitico, con una datazione compresa tra il 3600 e il 2200 a.C., il tumulo conserva un menhir che spicca ancora nella sua posizione originaria, rimasta intatta da millenni.


5. Tumulo con menhir — Neolitico 3600-2200 a.C. Hohen Gemeinde Petersberg — Saalkreis 


Gli attributi sia femminili che maschili della Dea Dolmen ne sottolineano i tratti partenogenetici. La corona a scodella, che al Landesmuseum für Vorgeschichte Halle- Museo Statale della Preistoria di Halle non è visibile, poiché l'originale di questa Madre è esposto su un supporto elevato rispetto ai visitatori, è invece qui ben osservabile.


6. La corona a scodella è qui ben visibile sulla sommità della testa.


Da questo incontro emergono essenzialmente due aspetti interessanti. Nella domenica di Pentecoste, sulla sommità della merlatura della Eichstädter Warte, si piantano ancora oggi rami di betulla, un rituale che sembra richiamare un'antica tradizione primaverile legata alla Divinità. Avvicinandomi al menhir, noto a terra numerose offerte sotto forma di conchiglie, cariche del profondo simbolismo che esse racchiudono.


7. La singolare tradizione primaverile di addobbare la Eichstädter Warte con piccoli tronchi di betulla 


La conchiglia è intimamente legata all'acqua, magica portatrice di vita. Il rinnovamento ha inizio al momento della morte, poiché è attraverso di essa che emerge il potere rigenerativo della Madre-Datrice-di-Morte e Madre-Datrice-di-Vita, che, nelle profondità del suo ventre, dona nuova esistenza.


8. Numerose le conchiglie offerte a questa Madre di Roccia ancora oggi, a riconoscerne, come millenni fa, la connessione con l'elemento uterino e acqueo. 


L'acqua diviene così espressione del potere sacro della Madre. Sebbene non coincida con la sua apparenza fisica e tangibile come elemento liquido, il suo legame con la dimensione sacra è così profondo e radicato da poter essere percepita come manifestazione diretta della Divinità.

Questo dominio uterino esprime, quindi, la capacità di generare la Vita intera, a cui gli esseri umani restano legati attraverso una sorta di cordone ombelicale. Questo legame li ricongiunge alle acque amniotiche quando sopraggiungerà la Morte. Priva di una forma propria, l'acqua può dare sostanza a qualsiasi forma di vita, rivelandosi essenziale per ogni essere vivente.

In quanto espressione di oscurità rigeneratrice, la terra nella sua sacralità comprende anche la realtà della Morte. Da un lato rappresenta la capacità di generare, dall’altro incarna il potere di rinascere in una nuova esistenza. Così Vita e Morte non sono più antitetiche, ma rappresentano solo due fasi dello stesso ciclo. La Vita alla luce del sole diventa un intervallo, un breve momento di separazione dal grembo della terra. Con la Morte si ritorna allo stato primordiale. In tal modo, la Morte non assume il significato di annientamento, spesso attribuitole, ma diviene uno stato di “germoglio nelle viscere della Madre. Lei, attraverso il suo miracoloso utero umido e misterioso emette l’energia della Vita che riceve indietro nel momento della Morte.

La Madre di Roccia, la Dea Dolmen di Langeneichstädt Guardiana del Tumulo e Madre di Morte, Sorgente di tutte le Forme, nel suo grembo oscuro ha accolto, vegliato e rinnovato defunti per millenni trasformando la fine della Vita in un perpetuo ciclo di rinascita e mistero. 



Immagini

* Tratte dall'archivio personale laddove con firma filigrana

* 4, muecheln.de/verzeichnis/visitenkarte.php?mandat=81757

* 7, weida-land.de/de/artikeldetail/langeneichstaedter-warte.html

Bibliografia

*Gimbutas Marija, Il Linguaggio della Dea, Venexia 2008

*Eliade Mircea, Ries Julien (a cura di) Dizionario della vita, morte ed eternità, Jaca Book 2021

*Eliade Mircea, Coulianu Ioan Petru (a cura di), Dizionario dei simboli, Jaka Book 2017

Fonti locali

* Sito di ritrovamento della Dea Dolmen e della Tomba a camera preistorica c/o Eichstädt 

Sitografia

*Cfr. La Dea Dolmen di Langeneichstädt-Dolmengöttin von Langeneichstädt (Sachsen-Anhalt Sassonia-Anhalt, Germania)

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2022/08/la-dea-dolmen-di-langeneichstadt.html

*Cfr. Il potere della pietra, un antico luogo di culto litico Heilig Geist im Ahrntal-Santo Spirito in Valle Aurina (Prettau-Predoi BZ)

http://ilblogdilujanta.blogspot.com/2020/01/il-potere-della-pietra-un-antico-luogo.html

*Cfr. Burg-Castel Karneid-Cornedo ed il Santuario di Maria Weiβenstein - Pietralba, I varchi della Morte della Eisacktal-Valle Isarco

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2018/07/castel-karneid-cornedo-ed-il-santuario.html