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martedì 7 novembre 2017

Dall'Oscurità di Novembre e Dicembre alla Scintilla del Nuovo che verrà




                                                          

Questa riflessione nasce con la prima notte di neve, in un novembre che ci ha visti senza luce per ore. Avvolti da un drappo di nebbia e da un bianco manto, la percezione dell’oscurità della stagione in corso è amplificata dal grigio latteo, che fa perdere orizzonti e confini. Ed è guardando in uno spazio che sembra restringere lo sguardo esteriore e nel quale pare smarrirsi quello interiore, che ritrovo profondità. 

Questa stagione, che sfronda il non necessario e riporta all’essenzialità, mi ha fatto scaturire un pensiero fondamentale: non puoi manifestare esteriormente ciò con cui non riesci ad entrare pienamente in contatto interiormente. Gli aspetti che appaiono agli estremi sono, eppure, contigui nella Vita: Nascita e Morte sorgono e tornano nel buio.    

Nessuna stagione dell’anno, come questa, ci permette di fare esperienza arcana di noi stessi, di confrontarci con i nostri timori e incertezze, e con quelle parti nascoste, spesso intenzionalmente trascurate o non amate. Ma anche di comprenderle o, almeno, osservarle e riscoprire le infinite potenzialità che celano, nel silenzio della dissoluzione. Perché questo Tempo ci parla proprio di questo: di ciò che, lasciato andare, creerà spazio per qualcosa di nuovo, e soprattutto inaspettato. 

Il tema della Morte, nell'immaginario collettivo, sembra sempre così ostile alla Vita stessa che finisce per esserne svilito il valore, trascurandolo o allontanandolo. La Morte viene vissuta tendenzialmente solo nei giorni dedicati ai defunti, si esaurisce in un più o meno breve ricordo dei trapassati, in una visita al cimitero o nell'adempimento di tradizioni che sanno più di pura formalità che di autentico significato. Eppure, in molte culture del mondo, il tempo dell’Ombra era, sin dagli Antichi, riconosciuto per le sue qualità catartiche e veniva celebrato e onorato.
Come Samhuinn unisce i due Mondi assottigliando i veli fra essi, così il Tempo che segue — quello che per i Celti corrispondeva all’inizio dell’inverno — rappresenta un momento di pausa, un tempo in cui abbiamo l’opportunità di scoprire il vero che fa parte dell’esistenza di ognuno di noi. Samhuinn costituisce sia la fine che l’inizio, rammentandoci che la Vita, in Natura, sia essa umana, animale o minerale, inizia nell’oscurità. Esaltare solo la Luce, che alimenta la Vita e ne permette la crescita, significa rendere monca quell’esistenza che spesso diciamo di amare. 

Viviamo in un’epoca in cui ci definiamo molto liberi, ma i cliché a cui siamo chiamati ad adeguarci ci impongono di apparire in un certo modo, e spesso di uniformarci a un'idea piuttosto che a un'altra. Se seguire una linea o un filone può anche risultare interessante, credo che all’interno di esso sia sempre utile mantenere una propria indipendenza di pensiero. E questa indipendenza è direttamente proporzionale all’autenticità che ognuno scopre in sé stesso, anche confrontandosi con la propria Oscurità. 

In essa, il ricordo ci permette di riflettere, ma diventa anche seme del Nuovo. Per questo, mai come nel momento in cui siamo connessi agli Avi, alle nostre Radici, custodiamo il seme di ciò che verrà, divenendo parte di un presente importante e rigeneratore.

Ciclicità che si intersecano: senza la piena consapevolezza di una, non può esserci quella dell’altra. Nei secoli, il Tempo degli Antenati è stato trasformato in qualcosa di infelice, e si è confusa la solennità di un periodo con la tristezza. Se perdere qualcuno che non è più in corpo può essere doloroso, attaccarsi a quel dolore come unica sfaccettatura della Morte è qualcosa di innaturale.

Essendo nata il Giorno dei Morti, sin da bambina mi è sempre stata limitata l’opportunità di festeggiare il mio compleanno, se non strettamente in famiglia. Ricordo un unico compleanno in cui invitai due amichette: il vociare allegro dei nostri giochi fece irrompere mia madre nella stanza, invitandoci ad abbassare i toni, perché in quel giorno vi era tristezza e dunque si richiedeva silenzio. Avevo fra gli 8 e i 10 anni. Ricordo che, arrivata la sera, chiesi perché bisognava essere tristi: se coloro che non c’erano più ci avevano amati, non sarebbero forse stati felici di vedere la nostra gioia, soprattutto nel giorno che li ricordava? E se davvero era vero che chi ci lasciava non voleva vederci amareggiati, perché avremmo dovuto esserlo? 

Fui guardata stranamente per quel pensiero. Ma negli anni, tornando periodicamente nel paese delle mie origini paterne — dove oggi sono sepolti anche mio padre, i miei nonni e bisnonni — ho capito che quel mio pensiero era sentito anche da altri. Camminando fra le tombe, specialmente gli anziani ricordavano chi venivano a visitare, ma non c’era amarezza. C’era un’emozione toccante, certo, ma anche la gratitudine per essersi potuti incontrare, per aver vissuto insieme momenti del percorso della vita. 

Il cimitero diveniva così un luogo di ricordo e condivisione, senza quella necessità di tristezza che connotava gli stessi giorni nel mondo cittadino. Quella gente, nata fra la fine dell’800 e il primo trentennio del 1900, alla quale sentivo di assomigliare per pensiero, era profondamente legata alla terra, alle sue stagioni e al suo ciclico susseguirsi. Credo che fosse questo a fare la differenza fra chi era cresciuto con e nella Natura e chi, spostandosi in città o nascendo in un ambiente urbano, aveva perso la connessione con le stagionalità della Vita.

Negli ultimi anni, con mia madre — oggi vicina agli 80 anni e gravemente malata — abbiamo affrontato spesso il discorso del Buio rigeneratore e della sua naturalezza, che non deve essere percepita come avversità, sia chiaro. Quest’anno, per la prima volta, sentendomi parlare di come avrei apparecchiato la tavola e celebrato questo momento, mi ha chiesto di aiutarla a ricordare come “accogliere” i defunti. Così ha preparato la tavola anche lei. Lo ha fatto per tre sere, coinvolgendo anche mia sorella, che dalla sua casa ha agito in modo simile nelle notti dal 31 ottobre al 2 novembre. Questa scelta è nata dalla sua nuova consapevolezza di come tutte le stagioni abbiano un valore profondo. E questa, che rappresenta un passaggio importante e unico, probabilmente ancor di più.

Mi ha fatto molto riflettere osservare un tale cambiamento nel suo atteggiamento. Mi sono chiesta a cosa fosse legato, e la risposta che mi sono data è che, da qualche anno, mia madre è tornata a vivere vicino alla natura. Non è più distratta o disturbata dall’alienazione che spesso i grandi centri urbani offrono: la mancanza di spazi verdi, lo smog, l’aria irrespirabile. Inoltre, l’età e la necessità di rallentare le hanno permesso di osservare e di risentire una sorta di richiamo. 

La lentezza, fino alla stasi trasformativa, e infine alla scintilla del Nuovo, è ciò che connota il Tempo Oscuro dell’Anno. Scenderemo in esso fino al periodo del Solstizio d’Inverno. Ciò che coltiviamo come atteggiamento mentale, il più possibile scevro da dogmi e influenze esterne, ci permette di comprendere meglio gli equilibri che regolano la Vita. In questo modo, la stessa Oscurità perde quell’accezione di male a cui siamo generalmente abituati e assume una veste nuova: quella della Rigenerazione.

Nel nostro oscuro, nel nostro rallentare, nel nostro profondo, abbiamo grandi opportunità: prima di tutto, quella di metterci in ascolto. Pensatevi in una grotta: i vostri sensi si acuiscono e, in quell’acuirsi, sviluppano nuove percezioni e potenzialità. Confrontarsi con il proprio silenzio ci consente almeno di osservare le nostre paure e ciò che di esse proiettiamo sulle persone e sugli eventi della nostra vita. 

Solo nel silenzio ammantato di tinte fosche possiamo permettere alla nostra anima di attingere a nuove energie. Solo nel Buio possiamo incontrare il calderone di Ceridwen, lasciando che tutto ciò che è inutile venga fuso e rimescolato, per far scaturire ciò che sarà. 

Esclusivamente nel Silenzio e nelle profondità non luminose dell’anno possiamo consentire che il processo alchemico, dalla Morte alla Vita, abbia luogo, permettendo alla scintilla del rinnovamento di accendersi. Non si può fare esperienza consapevole del Tempo della Luce se non si vive altrettanto consapevolmente quello del Buio. E non si può fare questa esperienza attraverso le percezioni degli altri: essa ci richiama, ancora una volta, a vivere intensamente la capacità di lasciarsi andare e di essere accolti tra le radici della Madre, tra le radici della nostra stessa esistenza.

Solo così possiamo ridare completezza a visioni e atteggiamenti che, escludendo il Tempo del Freddo e dell’Ombra, ci impediscono di accedere a quell’Unicità fatta di aspetti complementari. Troppo spesso, invece, lasciamo che questa Unicità venga ridotta a una visione duale in cui costringiamo le nostre vite. Nelle profondità silenziose che solo l'Oscurità sa offrire, la Vita si prepara a germogliare.





Immagine

*Tratta dall'archivio personale. Prima nevicata della stagione avvenuta nella notte fra il 5 ed 6 novembre 2017

Sitografia

*cfr. Samhain, la Porta di Eternità di ciò che non è mai separato

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2016/10/samhain-la-porta-di-eternita-di-cio-che.html





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