
Un tempo la Troi Pajan – la Via Pagana si snodava non
lontana dal monte Balèst nei pressi della località che veniva denominata
Pincana. Le rocce che segnano la strada sono friabili e poco sicure, spesso
cedendo e rilasciando massi sulla stessa via. Ma esse parlano di un antico
maniero che proprio su quelle rocce fu costruito. E’ grazie agli scambi fra
Venezia e l’attuale Sud Tirolo ed ai racconti che i commercianti si scambiarono,
che sappiamo che su quelle rocce poco sicure sorgeva un castello, la cui costruzione
non fu certo priva di ostacoli, per via di quella pietra difficile da
livellare, instabile e su cui posare un edificio di tale imponenza era davvero
un’impresa ai limiti dell’incredibile. Ma il proprietario del castello, colui
che ne volle l’edificazione, non intendeva arretrare di un passo rispetto alla
sua volontà. Lui non era di quella zona, era un ricco forestiero, la cui nomea
che lo precedeva parlava di delitti impuniti a suo carico ed altre situazioni
poco chiare della sua vita. Il cavaliere straniero che aveva messo gli occhi su
quella terra e soprattutto su quella roccia, picco e sperone a guardia della
via sottostante, con la costruzione del castello aveva manifestato la chiara
intenzione non di mettere dazi ed oneri per chiunque passasse da quella strada,
ma direttamente di aggredire chi la percorresse, di depredare di averi e merci
i commercianti che si trovavano a passare di lì, ed il tempo avrebbe solo
confermato i suoi biechi propositi, la sua palese sfida. La costruzione di quel
castello però si mostrò sin da subito estremamente difficoltosa, sul quel picco
roccioso, precipizio a guardia di Pincana gli operai si ritrovarono ad avere
enormi difficoltà nel livellare il terreno e la roccia mostrava spaccature e
crolli ovunque si cercasse di mettere mano con strutture che dovevano
permettere la costruzione, sicuramente sarebbe stato più saggio costruire
altrove, ma il cavaliere esigeva che lì in quel luogo fosse edificato il suo
castello e lì a qualsiasi costo lo voleva vedere costruito. Chiamò a tal
proposito un famoso architetto che arrivò da molto lontano e che si premurò di
spiegare ai muratori che il segreto per fare reggere tutta la struttura
fortificata, sarebbe stato conficcare bene la prima pietra nel terreno, se
quella fosse stata ben messa, qualunque struttura di qualunque peso avrebbe
potuto essere costruita senza far sgretolare il suolo. Gli operai guardandosi
intorno, decisero di porre come prima pietra una lastra litica di colore nero
che poggiava su un cumulo di argilla poco distante da quel cantiere che
faticava a partire. La lastra era decisamente pesante e ci vollero molti uomini
per spostarla sino al punto preposto per la sua posa. Ma come gli operai la
misero in terra il suolo iniziò a scricchiolare mostrando cedimenti vari con
distacchi di roccia. “Inutile!”, pensarono, nemmeno l’idea dell’illustre architetto
era riuscita, l’unica rimaneva proprio demordere da quell’intento. Ma il cavaliere
non volle sentire ragione, li congedò tutti, dicendo loro di tornare alle loro
tende poste poco distanti e di riposare perché presto avrebbero avuto da
lavorare, in quanto ci avrebbe pensato lui a porre la prima pietra. Gli uomini
sbalorditi, non capivano né cosa intendesse visto che lui era uomo d’armi e
nulla conosceva di tecniche costruttive, né come avrebbe fatto a combinare
qualcosa tanto più da solo. Con sguardi increduli si accomiatarono dal loro signore,
ritornando al loro accampamento, tutto sommato avevano tempo per riposare e la
cosa non dispiaceva loro, anche se onestamente in cuor loro pensavano che
quella sarebbe stata l’ultima notte nei pressi di quel cantiere così
particolare e difficile, non sarebbe certo riuscito il cavaliere da solo dove
non erano riusciti in gruppo e con esperienza. Giunse l’oscurità, al
rintocco della mezzanotte gli uomini si risvegliarono improvvisamente, una
strana sensazione li accomunava e stringeva loro il cuore. Mentre assonnati si
interrogavano sul perché si fossero svegliati così e quale sensazione
angosciante li stesse attanagliando udirono uno strano rumore, più che altro un
lamento, come fosse quello di un bambino che stava per morire, una voce che
metteva i brividi e che proveniva dall’area del lavoro. In men che meno
balzarono tutti fuori dalle tende e sotto una luna luminosissima e piena scorsero
la grossa lastra di pietra nera piantata fermamente nel terreno e sopra di essa
il cavaliere che aveva commissionato i lavori, ma non era solo, dritta accanto
a lui la figura di una donna, in paese tutti la chiamavano la Strega, che
velocemente si dileguò nel bosco. Il Signore visti i suoi operai guardarlo
senza parole, estrasse la spada dal suolo e rimasto da solo in piedi sul grosso
masso urlò a loro che la prima pietra era stata posta e che dal giorno seguente
avrebbero potuto riprendere i lavori, esattamente come fecero. Il castello fu
completamente costruito e pronto entro due anni da quel giorno e durante quel
tempo non c’era mai stato il minimo inconveniente a rallentarne i lavori, che
agli inizi sembravano così tanto improbabili dato che la prima pietra era stata
posta proprio sul precipizio che guardava a Pincana. Da lì il Signore iniziò le
sue opere di assalto e depredazione a
danno di chiunque osasse passare lì sotto. Il passaggio era però obbligato per
chi volesse vivere di commerci e fu a quel punto che i paesi limitrofi
iniziarono a coalizzarsi per porre sotto assedio il castello, ma per quanto tentassero
di prenderlo e di catturarne il suo proprietario, non riuscirono mai
nell’intento, e così iniziarono a diffondersi fra i valligiani voci di una
stregoneria fatta per edificare il castello, di un mistero legato alle sue
fondamenta che lo rendeva inespugnabile.
Passarono gli anni il signore durante un viaggio
incontrò una giovane ragazza, ne fece presto la sua sposa e la condusse al suo
palazzo. Tutto andava bene, ma una notte di luna piena intorno alla mezzanotte
la giovane signora fu svegliata da un incubo, il marito che nel frattempo si
era svegliato dai sussulti nel letto, le chiese cosa stava succedendo, lei
rispose che sentiva salire una parola dalle cantine del maniero, e questo le
creava ansia e malessere. L’uomo non comprendeva, ma lei continuava ad asserire
di avere visto una parola spaventosa passarle davanti. Il marito pensò che
fosse diventata matta e purtroppo non ebbe modo di indagare cosa opprimesse la
sua sposa, poiché a seguito di quelle notti la donna iniziò a manifestare
febbre alta, preludio di una grave malattia che la portò via in pochi giorni.
Dopo circa un anno il cavaliere si risposò. Spiegò alla
nuova moglie cosa era successo alla prima, ma narrando della cosa come di una
stranezza, di una fantasia ai limiti del ridicolo. Dopo poco tempo anche la
seconda moglie iniziò a sentire dei lamenti che venivano dalle profondità sulle
quali il maniero poggiava, e questo succedeva nelle notti di luna piena,
intorno allo scoccare della mezzanotte. Il marito si premurò di
tranquillizzarla, di spiegarle che ciò che sentiva erano solo dei gufi, non
convincendo però con questi discorsi la donna che si sentiva per nulla
rassicurata. I lamenti si ripeterono e ricordavano un bambino che stava per
morire. Decise così di indagare, nonostante il divieto del marito, presso la
servitù, qualcuno doveva sapere e lei intendeva scoprirlo. Ma le sue condizioni
di salute divennero cagionevoli, una forte debolezza la attanagliava e peggiorò
dopo il parto di una bella bambina, che non poté crescere. La morte portò via
anche lei ed il cavaliere si ritrovò vedovo per la seconda volta.
Ma il signore del castello di Pincana era consapevole
di non potere educare e crescere da solo una bambina piccola così la affidò ad
alcuni parenti, sino a che la ragazza raggiunti i vent’anni di età si sposò, ma
ben presto rimase vedova; il marito un baldo cavaliere era morto durante le
Crociate e lei si ritrovò vedova e con una bambina piccola il cui nome era
Gardis. Il nonno sentita questa notizia ordinò di portare al castello la figlia
e la nipote, il maniero era abbastanza grande per ospitare anche loro, poi
erano la sua famiglia, non le avrebbe lasciate di certo sole. L’arrivo di
Gardis al castello di Pincana portò una ventata di freschezza nella vita di
tutti, dalla servitù ai cavalieri che supportavano il signore nelle sue
scorribande atte a bloccare il passaggio di chiunque osasse avventurarsi lungo
la strada che correva sotto il maniero, ed anche per lo stesso nonno dal volto
sempre accigliato ed i cui tratti arcigni erano stati ammorbiditi proprio dalla
presenza della piccola che sempre sorridente correva da una parte all’altra del
castello. Arrivò un freddo inverno e Gardis si ammalò, le cure non sortivano
nessun effetto e la bambina era sempre in preda ad una febbre alta. Dopo sette
giorni di tormenta finalmente un potente vento scacciò le nubi ed il panorama
intorno al castello divenne di bianco ghiaccio. Su quel manto candido la luna
rifletteva la sua luce e fu durante una notte di luna piena che la vita della
bambina sembrava arrivata al termine. A vegliarla quella notte c’erano il nonno
e la serva più anziana del palazzo. Il cavaliere dopo alcuni tentennamenti
ordinò alla serva di far aprire le porte del castello e di
abbassare il ponte levatoio. La donna si allontanò per eseguire l’ordine e
svegliare gli altri servi, per aiutarla a fare quanto le era stato ordinato. Il
signore del castello intanto prese una coperta, avvolse il corpo della
febbricitante Gardis e fece per uscire dalla stanza, ma si imbatté nella figlia
che era stata svegliata dal trambusto e da un lamento. La figlia incontrò lo
sguardo del padre con la bambina in braccio ed esordì “Padre, ho udito un
lamento tremendo, come sta Gardis? “il padre le rispose “Non sta peggio di
qualche ora fa, ma devo portarla fuori dal castello”. La figlia non capiva,
vide solo il padre imboccare la grande scalinata e dirigersi verso l’uscita del
maniero, lei dietro cercava di fermarlo implorando di non uccidere la piccola
esponendola al gelo invernale. Arrivati entrambi di fronte al ponte, si innescò
una vera e propria lotta per appropriarsi del fagottino di quella povera
bambina. Il castellano urlava ai servi di tenere la figlia, la figlia invocava
aiuto per poter riportare dentro la bambina gravemente malata. Ma il padre ebbe
la meglio iniziò a correre fuori dal castello verso il bosco, fra alberi
carichi di neve e su un sentiero illuminato solo dalla luce della luna, la
figlia dietro mentre continuava ad invocare che le restituisse la bambina.
Arrivarono ad una casa la più vicina al castello, entrarono ed i contadini che
vi abitavano offrirono loro le possibili cure che la loro modesta situazione
permetteva. Passarono le ore e Gardis sembrava migliorare nonostante la folle
corsa notturna nel bosco. Passarono i giorni e la bambina si ristabilì
completamente e fu riportata al castello, la madre tentò invano di chiedere al
padre il perché, la motivazione di quel gesto folle in piena di alcune
settimane prima ma non ebbe mai risposta. Lui la liquidò sempre con un “Dovevo
fare così !”, lasciando domande aperte su quell’evento e sulla guarigione
inaspettata di Gardis. Ma una nuova ombra di morte gravava sul castello. Da lì
a poco la figlia del signore si ammalò e morì lasciando la piccola bambina con
il nonno, che la affidò alle cure di familiari esterni che potessero prendersi
cura di lei come molti anni prima avevano fatto con la figlia. Intanto la
vecchia domestica incominciò a domandarsi come mai tutte le donne del castello
di Pincana legate al cavaliere si ammalassero sino a morire. Passarono dieci
anni e Gardis fu richiamata al castello, era bella e spensierata, ed il suo
carattere gioviale e allegro aveva un effetto anche su quell’uomo burbero e
scontroso con il mondo che con lei acquisiva toni di accondiscendenza e
benevolenza inattesi. Gardis era giunta in età da marito per quel tempo ed il
nonno pensava di farle sposare un giovane e valoroso cavaliere che però era
senza famiglia, a loro alla sua morte avrebbe lasciato il castello in eredità.
Ma i piani del vecchio castellano subirono una battuta di arresto a causa di un
incidente.
Una mattina a colazione Gardis esordì con una domanda
che lasciò di stucco il nonno: “Nonno per caso stanotte hai sentito gli strani
rumori? Si sentiva una voce che sembrava uscisse da una tomba e poi le urla
disperate di più persone “Il nonno celò con difficoltà la preoccupazione, anche
le altre donne che entrate a vivere nel castello erano poi morte avevano
iniziato così, eppure non tradendo emozioni rispose “ No Gardis, non ho sentito
nulla, probabilmente saranno stati degli uccelli o il vento che spira dal
Sassolungo, creano rumori che spesso possono sembrare voci”.
La risposta fu esaustiva per Gardis e passò oltre quel
senso di disagio che la notte precedente le aveva lasciato. Ma la prima notte
di luna piena il cavaliere intorno alla mezzanotte sentì bussare fragorosamente
alla sua porta, era Gardis ”Nonno, nonno! Ho sentito di nuovo l’urlo ed ho pure
sentito salire qualche parola verso l’alto che ho distinto perfettamente!”
Tutta trafelata gli aveva riferito quel pensiero, d’ un sol fiato riprese “Deve per forza esserci qualcuno nel sotterraneo, fai chiamare gli uomini di
guardia!” Il nonno impiegò tutte le sue forze per calmare la nipote e per farla
demordere dal volere scendere lei a vedere cosa ci fosse giù sotto le cantine
del castello. Le assegnò anche una nuova camera, non più sullo strapiombo che
guardava alla strada sottostante di Pincana ma dal lato del bosco, vicina alla
stanza da letto della domestica, alla quale affidò la cura della nipote se
avesse ancora sentito qualcosa. Passò di nuovo del tempo ed alla successiva
prima notte di luna piena, intorno alla mezzanotte Gardis iniziò di nuovo a
sentire, lamenti, grida, e poi parole salire dai sotterranei. Si diresse
immediatamente verso la camera della vecchia serva che cercò di calmarla in
tutti i modi, ma nelle risposte che dava Gardis vide incertezza e titubanza,
capì subito che la donna sapeva più di quello che diceva. Iniziò a tormentarla
con domande senza fine, fino a che la domestica ammise che il castello aveva un
segreto. Le urla che si sentivano provenire ogni tanto, avevano origine sotto
la base del mastio, dove una botola dava accesso ad una prigione senza porte né
finestre. Gardis era raccapricciata da quel racconto, soprattutto non osava
pensare che suo nonno fosse la persona crudele di cui aveva sentito narrare da
voci di paese, alle quali non aveva mai voluto dare credito, perché per lei e
con lei l’uomo era il migliore nonno del mondo. Tradì presto il giuramento
fatto alla domestica e decise di mettersi a cercare quel luogo dimenticato da
tutti alla base del castello, il cui pavimento si trovava a quaranta piedi di
altezza dalla botola, e nella quale erano richiusi ladri ma anche semplici
viaggiatori e mercanti che avevano avuto la sfortuna di finire sulla strada di
Pincana. Da essi il vecchio signore sperava di trarre il massimo dai cospicui
riscatti che richiedeva alle famiglie di appartenenza. Nel frattempo la vecchia
domestica si sentiva perduta, e sapeva che presto il suo padrone l’avrebbe
giustiziata per quel segreto tradito. Il maniero celava un mistero che nessuno
del resto in tanti anni aveva mai compreso. Se i prigionieri urlavano, lo
facevano solo nelle notti di luna piena, e per di più solo a mezzanotte quando
da ancora più nelle profondità della montagna, fondamenta del castello, si
levava una parola che arrivava sino ai merli della torre più alta, ed in quel
momento il lamento si alzava forte. La cosa più terrificante era però il perché
i prigionieri iniziassero ad urlare; lo facevano per coprire quelli che
sembravano i gemiti di un bambino che stava per morire. Ma poco dopo,
esattamente come tutte le altre volte calava il silenzio più assoluto, ma
Gardis non intendeva venire meno all’impegno preso con sé stessa ed era quello
di scoprire una volta per tutto quelle grida, quei lamenti da dove e da chi
venissero. Raggiunse la base del castello, scese negli scantinati e trovata la
botola iniziò ad urlare con tutte le sue forze “Sono venuta in vostro aiuto, ho
una scala di corda!”La tirò in quella voragine nera e sentì tendere la scala da
chi l’aveva presa per un’estremità, sentì rispondere di tirare ma non aveva
forze sufficienti. I prigionieri allora la sollecitarono: “Trova un uncino,
qualcosa che spunti dal muro e a cui possa essere attaccata un capo della
scala”. Gardis iniziò ad andare a tastoni lungo il muro cercando un appiglio
che permettesse agli uomini di risalire da quell’oscura gola in cui erano
isolati dal mondo, ma nel buio della cantina perse l’equilibrio e scivolò lei
dentro la botola aperta, cadendo sul mucchio di paglia che posto al centro
esattamente sotto l’apertura attutiva le cadute dei prigionieri, al fine di non
ucciderli, altrimenti il signore del castello non avrebbe potuto trarre i
riscatti a cui mirava per aumentare il suo patrimonio e le sue ricchezze. Gardis
cadde ma nessuno se ne accorse poiché era svenuta e non si muoveva, gli uomini
nel buio della notte continuarono a chiamarla ma senza esito e pensarono che
forse sarebbe tornata la notte successiva. Il mattino seguente invece con
qualche rado raggio di luce che illuminava debolmente la profonda prigione, i
detenuti si resero conto del corpo della ragazza sulla paglia, con stupore
iniziarono a domandarsi chi fosse, intanto la giovane si era svegliata e
nonostante la paura iniziale di trovarsi in mezzo a molti ladri e furfanti,
rinnovò la sua volontà di aiutarli. A quel punto uno dei prigionieri chiese chi
fosse e lei candidamente rispose: “Sono la nipote del Signore del Castello”
ricevendo le battute di scherno e le risatine dei prigionieri che non si
capacitavano che un signore così arcigno e insensibile avesse una nipote così disponibile
e pronta al sacrificio. Intanto Gardis si era guardata intorno scorgendo sagome
di uomini immobili e realizzando che erano morti in decomposizione abbandonati
fra vivi sepolti là sotto nel buio di quella prigione, scoprendo tutto d’un
tratto di quali azioni era capace l’uomo che fino a poche ore prima per lei era
il caro nonno. Intanto era sorto un nuovo giorno e Gardis non si trovava, uno
scudiero fu mandato alla stanza del cavaliere ad avvertirlo della sparizione
della nipote. Su tutte le furie l’uomo iniziò ad informarsi se il ponte
levatoio fosse stato abbassato ma la risposta fu negativa, lo scudiero aggiunse
che Gardis era stata cercata ovunque anche nella fontana e nei fossati ma
nulla, la ragazza sembrava proprio scomparsa a meno che esordì lo scudiero:
“Non sia finita nelle segrete! Del resto già da qualche giorno diceva di voler
scendere fin là sotto” il cavaliere rispose in un sussulto “Cosa mi stai
dicendo? Che sapevi una cosa del genere e non mi hai avvertito?”. Indossò in
fretta i suoi abiti e chiamò a sé quattro uomini armati ai quali chiese di
munirsi anche di scale di corda. Si diressero tutti verso il cammino di ronda a
cui era già appesa una scala di corda e dalla quale la giovane Gardis aveva
perso l’equilibrio cadendo di sotto. Tutti però fecero finta di averla messa
già lì per la discesa, nessuno avrebbe osato dire al vecchio signore la verità,
solo all’idea sentivano la sua ira addosso ed il cappio intorno al collo.
Raggiunsero la base del castello da cui si apriva l’apertura alla prigione
sotterranea, lì si sentì la voce di Gardis provenire dabbasso. “Gardis, sei
tu?” con la voce rotta dall’emozione chiese il nonno. “Si nonno sono io, sto
bene stai tranquillo butta solo una scala di corda”. L’uomo si affrettò a fare
come richiesto dalla nipote e quando tirò su la scala c’erano due dei reclusi.
La ragazza li stava incitando a salire tutti quanti, lei sarebbe salita dopo,
suo nonno non l’avrebbe certo lasciata lì. Saliti i primi tredici uomini dalle
profondità del castello emerse anche Gardis, ma tutti gli occhi erano su di lei
e nella distrazione più completa, i detenuti disarmarono le guardie, il
castellano tentò di intervenire ma uno spintone gli fece perdere l’equilibrio,
Gardis nell’intento di non farlo cadere di sotto, lo afferrò per un braccio, ma
la sua esile figura fu trascinata dove da poco era riemersa e questa volta con
suo nonno. L’uomo si trasse subito in piedi, estrasse il pugnale che portava
sempre con sé pronto a difendersi in quella oscurità da chi là sotto era rimasto;
ma le intenzioni dei prigionieri rimasti non erano certo violente ed anzi erano
rivolte a Gardis che invece non si era alzata dal mucchio di paglia, aveva
riportato evidentemente ferite interne, non parlava, non emetteva suoni,
sbatteva solo le palpebre. Gli uomini, in quella flebile luce le dedicarono uno
sguardo ed il loro pensiero preoccupato era dedito a lei che si era presa cura
di loro, lì sotto isolati dal mondo, dalle loro famiglie, dalle loro vite,
lasciati in condizioni disumane, a lei che in quell’abisso di tristezza era
scesa a cercare di aiutarli.
Intanto sopra, le guardie erano state legate e rese
inoffensive. Le scale di corda che avevano permesso la liberazione di molti
uomini erano state utilizzate proprio per renderle inoffensive. I prigionieri
liberati iniziarono a scorazzare per il castello, si sentivano grida e risate a
scherno del signore che da aguzzino era divenuto prigioniero. Tornarono a
recuperare anche gli ultimi reclusi e non poterono fare a meno di beffeggiare e
prendersi gioco di quell’uomo per il quale avevano provato così tanto odio.
“Come si trova lì sotto? Belle le stanze che ha creato per noi vero? E l’appetito?
Per saziarsi avrà paglia e volontà e forse qualche osso dei nostri precedenti
succulenti pasti”. La schermaglia andò ancora avanti, alcuni uomini si erano
sdraiati a terra con la testa che guardava giù dall’apertura come si potrebbe
fare con un buco aperto nel ghiaccio, essi continuavano a fare battute e a
mostrare che conoscevano i segreti del castello. “Cavaliere!”. Continuarono
“Deve ringraziare che sua nipote non sia caduta nella botola già la scorsa
notte altrimenti avreste fatto un lungo balletto con il castello sin giù al
burrone…” Le parole sospese lasciavano comunque capire che essi conoscevano
molti segreti del maniero e lo confermarono quando dissero “E come mai molti
anni fa portaste via la vostra nipote in fasce? Il vostro castello non vi
sembrava così sicuro?” E giù a ridere ed a fare battute. “Maledizione!”. Pensò
il vecchio, loro sapevano e si capiva
perfettamente. Si alzarono dritti in piedi tutti intorno all’apertura buia e
cominciarono ad urlare saltando: “Signor Cavaliere noi conosciamo il segreto! ”. La libertà li aveva ubriacati, resi scatenati. Il cavaliere si domandò come facessero a conoscere il
segreto del castello, ma ben presto furono proprio loro a dargli risposta:“Signor cavaliere, la notte che voi riusciste a conficcare la prima pietra con
la strega, foste molto furbo. Il vostro castello sarebbe rimasto vergine ed
inattaccabile, inespugnabile. Quando invece costruiste il carcere vicino alle
fondamenta lo foste molto meno perché nelle notti di luna piena, come quella in
cui fu posta la prima pietra, le fondamenta gemono come un bambino che sta per
morire, parlano con la voce della giovane vergine che avete offerto alla
profondità della terra e dicono una parola alla volta che formano una frase
spettrale che mai vorremmo più sentire e quella frase la portiamo dentro e la
ricorderemo fino alla fine dei nostri giorni, tanto che la sappiamo a memoria:
“Sotto le fondamenta una vergine è murata e se un’altra vergine morirà il
castello precipiterà”. Il cavaliere spinto dalla rabbia più cieca prese ad
insultarli ancora di più nonostante la sua non fosse di certo una posizione
privilegiata, aspettava coloro che credeva i suoi fedeli servi, ma nessuno
accorse a trarlo in salvo, pensò quindi di chiedere a quei furfanti una scala
per poter salire con Gardis e soprattutto portarle aiuto, ma la reazione degli
uomini fu inaspettata e violenta ed invece di portare aiuto, iniziarono a
tirare pietre, prese dai muri intorno, in quel buco nero che li aveva
inghiottiti per così tanto tempo, cercando di colpire il signore del castello.
Il vecchio preso da una rabbia e da una voglia di vendetta esasperate sfilò il
pugnale che portava sempre con sé, tirò su Gardis che non emetteva un suono, le
puntò la lama alla gola e disse: “Se non volete che la uccida, visto che tutti
conoscete il segreto, buttate giù una maledetta scala, se no fra poco finiremo
tutti giù dal precipizio!“. Era perentorio il suo tono e la scena si sarebbe
evoluta al peggio quando dopo una breve consultazione i ladri si rivolsero all’uomo dicendogli “Va bene! Un
attimo solo e caliamo la scala”. Il signore pensando di essere riuscito nei
suoi intenti ripose di nuovo il coltello nel suo fodero, adagiò nuovamente la
nipote sul mucchio di paglia ed attese qualche minuto ma nulla, non si vedeva
nessuna scala e soprattutto era calato un silenzio che non faceva pensare a
nulla di buono. Chiamò a gran voce gli imbroglioni che invece se l’erano data a
gambe levate. Solo Tom una delle guardie del castello rispose: “Mio Signore,
non c’è più nessuno e noi, in quattro siamo stati legati saldamente”. Il
cavaliere li incitò a urlare più forte che potessero, per richiamare
l’attenzione dei loro compagni d’armi e così furono liberati e finalmente
l’anziano castellano e la nipote furono riportati alla libertà.
Passarono dei giorni ma Gardis non si riprendeva, il
castellano furente un giorno mandò a chiamare una Cristanna, donna che
conosceva le erbe salutifere e rimedi antichissimi contro qualunque male. La
donna venne condotta la sera stessa nella stanza di Gardis, ma presto sentenziò
che per la giovane non c’era più nulla da fare, poco prima di andare via si
rivolse al vecchio signore, gli disse che doveva dirgli qualcosa che non doveva
udire nessuno. Così si avvicinò all’orecchio e bisbigliò : “Un solo consiglio
ho da dare, andate via tutti prima che sia troppo tardi!”. Il vecchio con un
sobbalzo indietreggiò, la allontanò con un gesto repentino”Brutta strega, anche
tu allora sai del segreto! Vattene!”. La Cristanna senza farselo dire due volte se ne andò mentre la porta della stanza dove era in punto di morte Gardis
sbatté dietro di lei. Il signore, sentì mentre si allontanava, che si
intratteneva con la servitù con bisbigli e mezze parole, ma decise che non
avrebbe riaperto la porta. Intanto in cielo la luna si levava luminosa quasi al
massimo del suo splendore. Era la notte di luna piena ed era quasi mezzanotte,
e Gardis stava per morire, il nonno sentì una stretta, uno scoraggiamento
improvviso, nuovo per un uomo come lui, ricordò la notte che riuscì a posare la
prima pietra su quello sperone roccioso, ricordò la Strega. Aprì la porta della
camera, ma il castello oramai deserto attendeva solo la sua rovina. Tutti si
erano messi in salvo, lo avevano abbandonato al destino, a quell’epilogo che
mai aveva pensato sarebbe giunto. Rientrò nella stanza, la ragazza nel letto,
abbigliata di broccati giaceva immobile in un pallore marmoreo, rischiarato dalla luna che la illuminava. Si sentì un rumore di catene;
il castellano si sporse da una finestra del maniero, il ponte levatoio si stava
alzando, da solo, senza che nessuno azionasse gli argani a ruota che ne
gestivano il movimento. Il castello prima di vedere la sua fine era come avesse
deciso di isolarsi dal resto del mondo, unico attore della sua caduta mentre
una parola, l’ultima percorreva vibrando le pareti spesse fino ad arrivare alla
camera di Gardis, dove il cavaliere la udì nitidamente ’precipiterà’diceva. Attendeva il gemito, a quel punto, il gemito di
bambino morente che ogni volta seguiva le parole che dalle fondamenta si
levavano verso il cielo. Invece il gemito non ci fu, si udì un verso raccapricciante,
animalesco, selvaggio e violento, sembrava un animale pronto all’attacco. Il
cavaliere provò per la prima volta la paura della morte, pensò alla fuga, ma
poi dove? Gardis oramai spirata giaceva fredda ed immobile, lui uscì dalla
stanza, ma esattamente come per un attimo aveva pensato a scappare, il pensiero
successivo, fu che non poteva. Un uomo d’armi non abbandona il campo, mai!
Indossò il suo elmo, impugnò la sua spada, rientrò nella camera, e vicino al
corpo della nipote attese l’ineluttabile destino. I muri iniziarono a vibrare,
le cime turrite cominciarono a cedere sotto i potenti colpi di quel verso
terrigno e sotterraneo che sconquassava la montagna ed il palazzo crollò,
inghiottito dall’orrido sottostante. Il destino del castello di Pincana si era
compiuto.
Note
“Chi
percorre oggi l’antica Via pagana, in alto verso il monte Balèst, vede ancora
le rocce solcate da spaccature profonde e il precipizio di Pincana. Ma del
castello, che un tempo dominava la strada , non vede più alcuna traccia.”
Così scriveva per terminare la lunga narrazione della
leggenda de ‘Le fondamenta incantate” Kark Felix Wolff nel 1932 quando redasse
il racconto del signore del maniero e della leggenda legata al suo basamento.
Chissà da quale narrazione orale raccolta quà e là, nella sua ricerca alla
scoperta delle figure leggendarie e mitologiche dei Monti Pallidi, aveva
sentito parlare di questo castello, che si diceva fosse crollato rovinosamente
giù verso il Pinkenbach – Rio Pincan, e di cui mai nessuno però aveva trovato
tracce. La storia peraltro come riporta una stessa nota dell’edizione più
recente della Mursia, era sconosciuta nella sua valle e veniva narrata nelle
valli orientali delle Dolomiti, portata insieme ai commerci di cavalli e di
beni. Chissà in quali scorci di un tempo risalente a molti secoli prima quella
storia nacque; ma lui la rinarrò ridandole corpo e vita, nonostante come
scriveva del castello in quel momento non vi fosse nessuna evidenza. Si narrava
quindi di un palazzo dalle velate tracce storiche, di una costruzione che
sembrava prendere forma solo grazie alla fantasia di qualcuno che in una buia
sera si era messo a raccontarne per ingannare il tempo prima del riposo. Karl
Felix Wolff non poteva sapere, come molti prima di lui che avevano raccontato
ed avevano tramandato quella storia, che invece il castello dalle fondamenta incantate esisteva davvero
anche se più in basso di dove narra la sua versione della leggenda.

Grazie anche alle scarne indicazioni scritte da Marx
Sittich von Wolkenstein che lasciò comunque segnalazioni precise
sull’ubicazione del castello in documenti del XVII secolo, ed incrociando
versioni differenti della leggenda, nell’estate del 2000 l’archeologo Dott.
Herwig Prinoth del Museum Ladin di St. Martin in Thurn-San Martino in Badia,
iniziò a fare sondaggi in Annatal -Val d’Anna, sul colle Pinkan-Pincan, più in
basso dell’ubicazione sopra al monte Balèst che viene riportata nella leggenda,
proprio analizzando varie declinazioni del racconto, e fu lì che trovo evidenza di
importanti resti. Il colle sorge fra due torrenti, l’Annabach- (il) Rio Anna ed
il Pinkanbach- Rio Pincan a 1400 m. di altitudine in zona impervia da
raggiungere ed ideale come area difensiva. E fu nella zona che guarda a quella
Via dei Pagani di cui si narra, a quel Troi
Paian che corre da Säben-Sabiona a St. Ulrich-Ortisei unendo la Isacktal–Valle Isarco con la Grödnertal-Val Gardena che trovò resti di mura ed
attraverso scavi, in corso ancora oggi, riportò alla luce resti del XIII
secolo, con sicurezza facenti parte del Castello di Stetteneck. Gli scavi hanno
portato alla luce una struttura risalente al XIII secolo, la cui collocazione
permetteva il controllo della maggio parte del territorio di St. Ulrick-Ortisei e dell’alpe di Raschötz-Resciesa;
il maniero aveva una lunghezza di circa cinquanta metri, con fondamenta spesse
sino ad un metro e ottanta per un perimetro di sessanta metri ad oggi sono
stati ritrovati i resti del mastio, delle mura di cinta, un cancello ed una
porta romana di precedente costruzione. Fra i reperti si annoverano anche un
acciarino in selce tipicamente medievale,una pedina da gioco, una punta in
ferro di balestra insieme ad un’oolite lavorata molto probabilmente come
proiettile, resti in vetro finissimo di una lampada ad olio, oltre a varie ossa
di animali domestici ed a ceramica romanica risalente sempre al XIII secolo.

Il nome Von Stetteneck viene citato in uno scritto
datato 13 maggio 1256 custodito nell’archivio del castello vescovile di Brixen-Bressanone e con chiaro
riferimento a tale Gebhardus, il documento parla di un trattato di pace reso
necessario a seguito del fatto che non era stato rispettato il passaggio di
mercanti e venditori, con furti ed aggressioni, e si decretava che chiunque
avesse disatteso la legge nei cinque anni successivi avrebbe perso feudi e
possedimenti. Nel trattato allo stesso Gebehardus de Stetenekke viene chiesto
di rimborsare l’azienda agricola ‘Vishalco’. Il proprietario del castello, a
cui si fa riferimento anche in altri documenti
datati 1283, 1298, 1305 che riportano il suo nome, viene descritto a
partire dal 1277 come giudice di Guifidaun-Gudon oggi frazione del Comune di
Klausen- Chiusa all’Isarco, ed anche come ministeriale al servizio del Principe
Vescovo di Bressanone. Adelheid fu l’ultima erede della stirpe e figlia del
cavaliere, sposa di Regimbert IV di Säben-Sabiona; Gebhardus ebbe altri due
figli maschi oltre a lei, Iacob e Peter che morirono senza succedergli. Non si
conoscono ad oggi i motivi della completa distruzione del castello se non in
accordo alla tradizione popolare, secondo la quale il maniero fu distrutto da
una catastrofe naturale crollando nel dirupo del Pinken-Pincan. Sempre secondo
la leggenda nei pressi del rio l’unica cosa che fu rinvenuta intatta fu una
campana ‘L cusé da Sàcun’ e la scoperta fu ad opera di un animale che stava
pascolando. Questa campana tipica del XIII secolo, oggi si trova nella cappella
dei Caduti a St. Ulrich-Ortisei. E’ probabile che il castello possedesse una
cappella con tanto di campana e che questa sia riconducibile proprio al maniero
degli Stetteneck. Vi è poi un documento datato 1283 conservato al British
Museum di Londra ed in cui è attestata una ‘Cappellam
Sancti Jacobi Apostoli in Staetenecke’, che suffraga l’esistenza di una
precedente cappella sul terriorio della famiglia nobiliare e con grande
probabilità facente parte del castello.

La leggenda nella versione di Karl Felix Wolff è lunga e
particolareggiata ed è intitolata solo ‘Le fondamenta incantate’, titolo trasposto
da quello originale Tedesco Das Schloss
am Abgrund (Il castello sull’abisso),
sebbene del nome del castello a cui è dedicato, nel racconto non si faccia mai
menzione. La storia è raccolta in L’Anima
delle Dolomiti, volume edito da Cappelli nella sua edizione originale del
1967 e ripreso poi da Mursia nel Leggende
delle Dolomiti nella riedizione del 2013.
Immagini
*1 tratta dal Web
*2,3,4 tratte da www.geocaching.com
Didascalia
2 Il sito dove sorgeva Burg-Castel Stetteneck
3 L’area di scavo
4 Veduta invernale
Bibliografia e documenti
*Carlo Felice Wolff
L’Anima delle Dolomiti, Capelli Editore 1967 Pag.155,156,157,158,159,160,161,162,163,164,165,166,167,168,169,170,
171,172,173,174,175,176,177,178,179,180,181,182,183,184
*Karl Felix Wolff Leggende
delle Dolomiti, il Regno dei Fanes, Mursia Editore 2013
Pag.167,168,169,170,171,172,173,174,175,176,177,178,179,180,181,182,183,184,185,186,187,188,189,190,
191
*Stefan Planker- Hervig Prinoth
Relazione sulla scoperta archeologica del Castello Stetteneck in Val Gardena
Pag.13,14,15,16,17,18
Sitografia
*https://www.valgardena-groeden.com/it/cultura-e-territorio/castelli/castello-di-stetteneck/
*https://de.wikipedia.org/wiki/Burg_Stetteneck
*http://www.comune.ortisei.bz.it