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giovedì 28 dicembre 2017

Gli Gnomi artigiani e le scarpe del calzolaio




Fiaba rinarrata da Lujanta

Un calzolaio era diventato talmente povero, che aveva solo più il cuoio per confezionare un paio di scarpe. La sera, nella sua piccola bottega, sagomò la tomaia e la lasciò sul tavolo da lavoro, avrebbe lavorato a quelle ultime scarpe il giorno dopo, del resto era arrivata l’ora di andare a letto e così andò a riposarsi, affidando al sonno i suoi ultimi pensieri. La mattina successiva quando fu l’ora di rimettersi al lavoro, lo stupore lo colse. Sul banco da lavoro, dove solo la sera precedente aveva lasciato i pezzi di cuoio tagliati, esposte in bella mostra c’erano un paio di scarpe bell’e finite. Non sapeva cosa pensare e mentre era ancora assorto nel suoi pensieri di incredulità, entrò un acquirente, e voleva proprio quell’unico paio di scarpe, pagandole anche una cifra importante, cosa che gli permise di acquistare il cuoio per ben due paia di nuove scarpe. Quel pomeriggio e sino a sera tagliò la pelle per le nuove calzature e la pose sul tavolo da lavoro un’altra volta, prima di andare a dormire. La mattina seguente si verificò la stessa scena, le due paia di scarpe erano pronte, prodotte a regola d’arte, precise nei particolari e nelle rifiniture. Non mancarono i clienti che le acquistarono e così facendo il calzolaio ebbe i soldi per comprare il cuoio per quattro paia di scarpe. La scena si ripeteva uguale ogni sera; lui metteva sul tavolo da lavoro il materiale per la manifattura delle calzature ed al mattino le trovava pronte per la vendita a coloro che erano interessati all’acquisto e che sembravano aumentare di giorno in giorno. Una sera, prima di addormentarsi però, l'uomo nel frattempo diventato ricco, manifestò alla moglie la voglia di scoprire quale segreto si nascondesse dietro quelle produzioni artigianali tanto perfette. Così si nascosero dietro dei vestiti da lavoro ed allo scoccare della mezzanotte videro arrivare due piccoli uomini completamente nudi, che si misero subito all’opera. Che meraviglia vedere con quanta precisione e dedizione si dedicavano a dare la forma, ad unire i pezzi di cuoio alla suola, ad inchiodare perfettamente, a fare cuciture precise, fino ad aver completato tutte le paia di scarpe per cui il calzolaio aveva lasciato pezzi di cuoio sul tavolo, andandosene poco dopo. 




Il calzolaio e la moglie ritornando a letto, si resero conto che la loro ricchezza dipendeva dall’aiuto immenso di quei due piccoli uomini. La moglie ebbe un’idea, ringraziarli con degli abitini! Sì! Era l’idea giusta, inoltre era anche il Tempo di Natale e faceva freddo, vestiti nuovi avrebbero protetto i due gnomi dalle temperature rigide dell’inverno, e così il giorno successivo la moglie del calzolaio preparò pantaloni, camicia, panciotto, maglione e calze per  i due ometti laboriosi ed il calzolaio creò due paia di scarpe con cuoio di prima qualità per tenere i loro piedi al caldo. Alla sera lasciarono tutto sul tavolo da lavoro, ed attesero sempre nascosti, il ritorno dei piccoli esseri.  A mezzanotte in punto, gli gnomi entrarono nel laboratorio, appena videro i vestiti e le scarpe per loro ebbero una manifestazione di gioia, capirono che il loro supporto era stato gradito e che il calzolaio non aveva più bisogno del loro aiuto. Si vestirono ed uscirono così felici dalla bottega saltellando e danzando. Il calzolaio e la moglie si strinsero in un abbraccio, partecipi della gioia degli gnomi, ora l’attività avrebbe potuto andare avanti da sola, ma la loro gratitudine rimase immensa verso quegli amici giunti dal bosco, che ora sapevano esistere per davvero e che sicuramente sarebbero andati a dare sostegno a qualche altro artigiano in difficoltà, portando fortuna e ricchezza come avevano fatto con lui.




Note: 
Questa fiaba dei Grimm è la prima di un triplice racconto sugli gnomi ed è la numero 39. Il suo titolo originale è ‘Il calzolaio e il lavoro che fecero per lui’, mi sono ispirata nella riscrittura alla prima edizione degli autori datata 1812, rileggendo anche la traduzione del 2010 della Professoressa Dal Lago Veneri, nella sua raccolta eseguita sulla versione edita nel 1936, di Otto Ubbelohde, che curò anche l’illustrazione delle stesse fiabe. Ho trovato poi una versione di Marco Massignan, che manifesta alcune leggere differenze, e che la attribuisce ad una valle locale, la Gadertal -Val Badia con una aggiunta inerente il nome del calzolaio che si sarebbe chiamato Toni. Tale versione datata 2006 riporta come documento a cui lo scrittore si è riferito un sito non più esistente e quindi le fonti non sono comprovabili. Questa fiaba però, viene riportata esattamente come la versione del Massignan anche su un paio di siti della valle in questione di cui ho letto. Potrebbero esserci state due fiabe uguali che si siano sovrapposte per così forte similitudine oppure no, una cosa è certa nella versione ufficiale dei Grimm, la fiaba non è attribuita a nessun luogo in particolare. La mia versione è una rinarrazione, in cui il finale ha una aggiunta. In tutte le varianti lette, alla fine gli gnomi escono dalla bottega per non farvi più ritorno, nella mia versione il calzolaio realizza che gli amici del bosco possono rendersi visibili agli umani e dare aiuti concreti, quindi la mia parte terminale varia con la certezza che loro semplicemente andranno ad aiutare altri artigiani in difficoltà portando fortuna e serenità come hanno fatto con lui.




Immagini 

Tratte dal web

Bibliografia

*Jacob e Wilhelm Grimm – Tutte le fiabe. Prima edizione integrale 1812-1815 a cura di Camilla Miglio- Donzelli Editore, 2015 Pag. 180-181
*Grimm - Tutte le Fiabe, a cura di Brunamaria Dal Lago Veneri Newton Compton Editori, 2010 Pag. 143-144
* Marco Massignan – Il Piccolo Popolo. Elfi, gnomi, folletti e creature fatate – Xenia Edizioni, 2006 Pag. 54-56

martedì 26 dicembre 2017

Da un antico passato a Paracelso e oltre, gli Gnomi della Conoscenza





Legati fondamentalmente all’elemento Terra, entità ctonie, appena vengono nominati portano alla memoria piccoli esseri dal tipico cappello a punta, che fanno parte di una classe formata da quattro rami, legati ai quattro elementi: Terra appunto, Aria, Fuoco e Acqua. Queste entità degli elementi, fulcro insieme ad altre manifestazioni del sacro delle religioni pre- cristiane vennero poi anche riassorbite in dottrine ermetiche ed alchimiste sin dal Medioevo, in cui si asseriva che l’essere umano e tutte le creature fossero generate dalla composizione di queste quattro sostanze allo stato puro.  Gli gnomi spesso assimilati anche a nani ed elfi, che però mantengono peculiarità proprie, sono Esseri della Terra. Il loro nome deriva da Paracelso che li definì così, nel 1493, attribuendo tramite il loro nome la caratteristica degli stessi gnomi, che è quella della Conoscenza. Il termine deriva del resto da ‘gnosi’. Abili ed intelligenti, abitano in luoghi isolati, in cunicoli scavati sotto le piante, negli incavi dei tronchi o in grotte o ancora in miniere abbandonate dove lavorano i metalli insieme ai Nani, la loro capacità di muoversi nel sottosuolo è pari a quella che hanno gli esseri umani a muoversi sul suolo. Nel Rinascimento, quando le scienze sperimentali acquisirono rilievo, la credenza nei quattro elementi divenne desueta ma fu proprio il medico ed alchimista svizzero Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus Von Hohenheim detto Paracelsus o Paracelso, che andando controcorrente, nel suo libro edito postumo nel 1658 dal titolo ‘Liber de nymphis sylphis pygmaeus et salamandres et de ceteris spiritibus', descrisse in maniera dettagliata per la prima volta gli gnomi. Custodi dei tesori della Terra, leggendo di varie tradizioni ho potuto rilevare come ad esempio nel mondo britannico siano visti come entità capricciose e non particolarmente benigne, mentre nel mondo alpino e dolomitico ma anche appenninico invece si relazionino in maniera amichevole con gli umani, intervenendo talvolta con aiuti tangibili in quanto una delle loro caratteristiche è essere abili artigiani oltre a conoscere i magici segreti del mondo animale e delle piante in aggiunta a quello delle pietre e dei minerali, di cui si narra che custodiscano importanti tesori nei loro regni sotterranei. La loro statura non supera gli 80 cm hanno lunghe barbe e talvolta portano i baffi, le gnome spesso portano trecce. 





I loro cappelli conici sono tendenzialmente rossi ma possono essere anche di altri colori. In determinate zone traggono il loro nome dall’area di appartenenza come i Guriuz, gnomi piuttosto selvatici, robusti e con barbe irsute, che abitano l’area di Guriude (o Goriude), nei pressi dell’altipiano del Canin in provincia di Udine.








Immagini tratte dall’archivio personale


Bibliografia

*Catharine Briggs – Dizionario di Fate, Gnomi e Folletti e altri esseri fatati –  Pag. 214 Avagliano Editore, 2009
*Marco Massignan – Il Piccolo Popolo, elfi, gnomi, folletti e creature fatate- Xenia- 2006
*Dino Coltro – Gnomi, anguane, basilischi – Pag. 100 Cierre Edizioni, 2012

venerdì 1 dicembre 2017

La Willeweiß, l'Antica Signora delle Profezie delle Montagne (Schlern — Rosengarten/Sciliar — Catinaccio, BZ)




Va e viene, ma nessuno sa dove vada o da dove venga. Abita nelle radure di larici, o tra abeti e faggi, ma non pensate che abbia una casa come gli altri umani: lei non ha bisogno di quel tipo di dimora. Parla con gli animali e comunica con i massi nel bosco, interpretandone le linee del tempo. La si può incontrare in paese, con lo sguardo perso nel vuoto, mentre confabula sommessamente di ciò che scorge oltre il visibile.

A lei nulla è sconosciuto: né il passato né il futuro. Di ogni persona, di ogni evento, conosce le segrete trame del tempo. Di tempo, del resto, lei ne ha vissuto moltissimo. La Willeweiß è anziana, incredibilmente anziana: alcuni dicono che abbia centinaia di anni, altri migliaia. Le sue ossa fragili, bianche come porcellana, sembrano sul punto di frantumarsi da un momento all’altro. Eppure, lei non può morire. È la Guardiana del Tempo e di tutto ciò che sfugge alla conoscenza umana.

Nel suo corpo alberga perennemente il gelo. Forse è per questo che, specialmente in inverno, entra nelle case con un saluto appena accennato e si siede nella Stube, accanto al fuoco. Taciturna, raramente si esprime e solo per formulare i suoi vaticini. Le sue profezie, ben note alla gente della valle, si sono sempre avverate.

In quell’inquietante silenzio, i valligiani la lasciano accanto al fuoco per tutta la notte. Chi la ospita non può fare a meno di considerarla una presenza che suscita sorpresa, attesa e, al contempo, timore per un possibile atto di veggenza.

È viva ai limiti della vita, non morta ma tutto in lei parla di qualcosa di morto. Le famiglie del villaggio hanno tentato più volte di allontanarla, quella strana donna anziana, ma senza successo. Finché un giorno qualcuno scoprì che per tenerla lontana dalle abitazioni e dal loro calore bisognava stupirla. Certo, non era una cosa facile. Dopo lunghe riflessioni, fu suggerito di mettere sulla stufa dei gusci di uova rotte, e così fecero.

Quando giunse il mattino la vecchia ebbe un sussulto e disse:

"Sono la Willeweiß, lo Spirito più antico di queste montagne,

I miei occhi hanno visto ed ho udito di tutto

Nove volte bosco e nove volte prato

Il bosco come una palude

Lo Schlern come una noce

Il Gepleng come una lama di coltello

Il Rotwand come la mano di un bambino

Il Tschagerjoch come una gemma

Ma mai un focolare pieno di gusci di uova bianche come le mie vecchie ossa"

Dette queste parole si allontanò dalla casa, nessuno la vide mai più.

Lei è la Willeweiß, la Signora della Profezia che non può morire.



Note:

Di questa figura leggendaria è interessante quanto sia una figura di “confine”: molto anziana, ai limiti della vita, eppure incapace di morire. È proprio quella condizione liminare a renderla percettiva del passato e del futuro. Il suo sguardo non incrocia mai quello degli altri, eppure Lei vede tutto. 

Visionaria e misteriosa, la Willeweiß parla in modo strano, eppure ciò che dice trova sempre un senso per chi la ascolta: il tempo, infallibilmente, le dà ragione.

Questa profetessa, almeno secondo questa leggenda, è particolarmente legata a specifiche zone, tra cui Welschnofen — Nova Levante, Eggental — Val d’Ega, Tiers — Tires, Völs am Schlern — Fié allo Sciliar, Seis am Schlern — Siusi e Ritten — Renon. In particolare, vi sono alcuni masi che si collegano alla sua presenza, il più noto dei quali è il Geigenhof, che riporta la sua leggenda anche sul proprio sito.

Il personaggio mitico della Willeweiß trova attestazione in diverse opere: in Sagen aus Tirol (1891) di Ignaz Vinzent Zingerle ; nel testo di fine Ottocento di Johann Adolf Heyl, Volkssagen, Bräuche und Meinungen aus Tirol (1897); e agli inizi del Novecento nel libro di Franz S. Weber, Laurins Rosengarten, Sagen aus den DolomitenLa versione da cui ho tratto la mia rinarrazione proviene dalla Professoressa Dal Lago Veneri, che a sua volta si è ispirata all’opera di Heyl.

La mia scrittura è al presente, per sottolineare le peculiarità di questa Guardiana del Tempo. Sebbene la versione a cui faccio riferimento parli di un’epoca lontana, quando si narra che nessuno l’abbia più vista, la frase finale — in cui ribadisco che Lei non può morire—sottolinea il suo esistere ancora. Se questa leggenda insegna qualcosa, è che nessuno l’ha più incontrata, ma essendo Lei la Donna che non può estinguersi, la mia interpretazione si lega all’idea che questa Signora delle Montagne, figura invernale legata al Ghiaccio ma anche al Fuoco, sia stata progressivamente allontanata dall’immaginario collettivo.

In questa lettura, una donna che manifesta caratteristiche così straordinarie viene temuta e, di conseguenza, esclusa dalla comunità fino a non essere più incontrata. Provate a cercarla, la Willeweiß, nell’essenzialità della stagione fredda: vicino al focolare, nelle sere invernali, o su un sentiero, quando il silenzio è rotto solo dal rumore dei vostri passi sulla neve e un sussurro improvviso vi giunge alle orecchie. 

Un dettaglio curioso: nella leggenda, la Willeweiß scompare dalla vista di tutti dopo aver visto i gusci d’uova, bianchi come le sue ossa, aperti sulla stufa. Analogamente, in Piemonte, nelle valli occitane ai confini con la Francia — territori quindi molto lontani dai gruppi montuosi sudtirolesi — troviamo un’usanza simile legata ai Sarvanot, celebri figure locali che vivono in simbiosi con la natura. In Val Maira, si tenta di impedire loro l’ingresso nelle case ponendo davanti all’uscio gusci d’uova rotte; mentre in Val Varaita, si narra che i Sarvanot scomparvero dalla vista di tutti proprio dopo che qualcuno mise sulla stufa gusci d’uova bianche. Gli stessi che ritroviamo in questa leggenda locale.






Immagine

*Tratta da internet. Autore sconosciuto. Se sei l'autore dell' immagine pubblicata e desideri che venga aggiunto un credito o che l'immagine venga rimossa, ti prego di contattarmi.

Bibliografia

*Dal Lago Brunamaria, Fiabe del Trentino Alto Adige, Arnoldo Mondadori Editore, 1989