Questo è il pensiero che mi accompagna quando mi accingo ad esplorare un territorio. In generale, la scelta di indagare una zona non è mai casuale. Apparentemente potrebbe sembrarlo, ma poi comprendo sempre di essere stata condotta esattamente dove avevo bisogno di essere portata.
1. Campill, Mühlental, Naturpark Puez—Gaisler/ Longiarù, Valle dei Mulini, Parco Naturale Puez—Odle
Così, inizialmente, la scelta cade su un luogo, una valle, e so che l’escursione diventerà viaggio, tracciando la differenza tra l’essere turista e l’essere viaggiatrice: una distinzione sostanziale che ha a che fare con la propria anima e con l’anima dei luoghi. La turista esplora, ammira monumenti, paesaggi, musei, laghi, montagne e corsi d’acqua. La viaggiatrice, invece, compenetra tutto questo, con l’intento di scoprirlo non solo visibilmente, ma anche invisibilmente. E così il viaggio può svolgersi anche accanto a casa, o a pochi chilometri da essa.
Perché è così che la strada percorsa diventa via d’accesso a sé: attraverso una storia, un racconto, un mito, una leggenda, una tradizione. Portando dentro ciò che sembra appartenere solo all’esterno e, al contempo, rivelando in chi esplora qualcosa che chiedeva di svelarsi.
Ed è allora che l’esperienza personale incontra il luogo e, nel silenzio interiore, sorge l’ascolto di uno spazio che, nel proporsi, offre anche tutte le impronte energetiche di chi lo ha camminato, vissuto, ritualizzato in un tempo che fu. Nel dialogare con esso si crea una connessione che, attraverso quello che io definisco guizzo d’intuito, può divenire fortemente ispiratrice.
È il sito che chiama ed accoglie, e io, accolta, accolgo a mia volta. Si crea una relazione, e gli elementi racconteranno una storia che scorre attraverso l’acqua, che è cantata dal fruscio del vento, dalla terra che ha custodito il ricordo e dalla storia che, come fiamma, attende solo di essere ravvivata per farsi riconoscere.
L’ingrediente fondamentale dell’esplorazione è il tempo, che, in un’epoca in cui viene elogiata la rapidità in ogni cosa, sembra quasi un paradosso. Ma un luogo, per essere accolto, va percorso e ripercorso. In genere, la prima visita è quella che considero apripista, quella che segnerà il tracciato da esplorare e che mi permetterà di raccogliere una serie di informazioni che affiorano dal silenzio interiore come piccole luci che delineano il cammino. Le annoto appena riesco, senza sapere ancora nulla del loro riscontro storico o tradizionale.
Perché il viaggio che intraprendo lo vivo nella non conoscenza del luogo, affinché si crei un dialogo il più autentico possibile, scevro, per quanto fattibile, da proiezioni costruite attraverso il sapere acquisito in precedenza.
Dopo questo primo contatto, una volta a casa, annoto sensazioni, percezioni, emozioni; lascio sedimentare il tutto. Da lì a poco inizia la seconda parte dell’esplorazione: la ricerca. Mi confronto con coloro che, prima di me, hanno studiato quel territorio dal punto di vista storico, archeologico, folkloristico. Mi reco nei musei dove posso osservare reperti riemersi dal passato e, in questa raccolta di informazioni multicolori, porto avanti lo scambio con il luogo attraverso anche il lavoro altrui. Se da una parte mi consente di acquisire conoscenze, dall’altra mi permette di verificare le mie intuizioni e le sfumature percepite.
Leggere chi è venuto prima, studiarne le opere, significa onorare il lavoro di chi, prima di me, ha camminato le stesse vie e le ha raccontate attraverso la propria sensibilità e cultura. In questo modo, onoro anche gli antenati di quei luoghi, narrati dalla voce e dagli scritti di altre ricercatrici e altri ricercatori. Ed è così che i miei passi si uniscono a quelli di anni, secoli e millenni precedenti, e il viaggio—racconto diventa un intreccio di istanti che si incrociano, tessendo e narrando l’apparente Tempo.
2. Percha—Perca, Pustertal—Val Pusteria
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