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domenica 30 aprile 2017
Ciò che già fui
mercoledì 26 aprile 2017
Percorrendo Strade, riscoprendo Storie
Questo è il pensiero che mi accompagna quando mi accingo ad esplorare un territorio. In generale, la scelta di indagare una zona non è mai casuale. Apparentemente potrebbe sembrarlo, ma poi comprendo sempre di essere stata condotta esattamente dove avevo bisogno di essere portata.
1. Campill, Mühlental, Naturpark Puez—Gaisler/ Longiarù, Valle dei Mulini, Parco Naturale Puez—Odle
Così, inizialmente, la scelta cade su un luogo, una valle, e so che l’escursione diventerà viaggio, tracciando la differenza tra l’essere turista e l’essere viaggiatrice: una distinzione sostanziale che ha a che fare con la propria anima e con l’anima dei luoghi. La turista esplora, ammira monumenti, paesaggi, musei, laghi, montagne e corsi d’acqua. La viaggiatrice, invece, compenetra tutto questo, con l’intento di scoprirlo non solo visibilmente, ma anche invisibilmente. E così il viaggio può svolgersi anche accanto a casa, o a pochi chilometri da essa.
Perché è così che la strada percorsa diventa via d’accesso a sé: attraverso una storia, un racconto, un mito, una leggenda, una tradizione. Portando dentro ciò che sembra appartenere solo all’esterno e, al contempo, rivelando in chi esplora qualcosa che chiedeva di svelarsi.
Ed è allora che l’esperienza personale incontra il luogo e, nel silenzio interiore, sorge l’ascolto di uno spazio che, nel proporsi, offre anche tutte le impronte energetiche di chi lo ha camminato, vissuto, ritualizzato in un tempo che fu. Nel dialogare con esso si crea una connessione che, attraverso quello che io definisco guizzo d’intuito, può divenire fortemente ispiratrice.
È il sito che chiama ed accoglie, e io, accolta, accolgo a mia volta. Si crea una relazione, e gli elementi racconteranno una storia che scorre attraverso l’acqua, che è cantata dal fruscio del vento, dalla terra che ha custodito il ricordo e dalla storia che, come fiamma, attende solo di essere ravvivata per farsi riconoscere.
L’ingrediente fondamentale dell’esplorazione è il tempo, che, in un’epoca in cui viene elogiata la rapidità in ogni cosa, sembra quasi un paradosso. Ma un luogo, per essere accolto, va percorso e ripercorso. In genere, la prima visita è quella che considero apripista, quella che segnerà il tracciato da esplorare e che mi permetterà di raccogliere una serie di informazioni che affiorano dal silenzio interiore come piccole luci che delineano il cammino. Le annoto appena riesco, senza sapere ancora nulla del loro riscontro storico o tradizionale.
Perché il viaggio che intraprendo lo vivo nella non conoscenza del luogo, affinché si crei un dialogo il più autentico possibile, scevro, per quanto fattibile, da proiezioni costruite attraverso il sapere acquisito in precedenza.
Dopo questo primo contatto, una volta a casa, annoto sensazioni, percezioni, emozioni; lascio sedimentare il tutto. Da lì a poco inizia la seconda parte dell’esplorazione: la ricerca. Mi confronto con coloro che, prima di me, hanno studiato quel territorio dal punto di vista storico, archeologico, folkloristico. Mi reco nei musei dove posso osservare reperti riemersi dal passato e, in questa raccolta di informazioni multicolori, porto avanti lo scambio con il luogo attraverso anche il lavoro altrui. Se da una parte mi consente di acquisire conoscenze, dall’altra mi permette di verificare le mie intuizioni e le sfumature percepite.
Leggere chi è venuto prima, studiarne le opere, significa onorare il lavoro di chi, prima di me, ha camminato le stesse vie e le ha raccontate attraverso la propria sensibilità e cultura. In questo modo, onoro anche gli antenati di quei luoghi, narrati dalla voce e dagli scritti di altre ricercatrici e altri ricercatori. Ed è così che i miei passi si uniscono a quelli di anni, secoli e millenni precedenti, e il viaggio—racconto diventa un intreccio di istanti che si incrociano, tessendo e narrando l’apparente Tempo.
2. Percha—Perca, Pustertal—Val Pusteria
mercoledì 12 aprile 2017
Ostara, la Dea della Primavera che diede il nome ad Ostern, la Pasqua
1. L’Origine dei Simboli Pasquali: lepre, uovo e gallina
Narra la leggenda di Ostara, Dea della primavera e della fertilità, la quale in una passeggiata in un bosco ancora avvolto dal gelo dell’inverno, notò un uccello incapace di spiccare il volo a causa del freddo pungente. Mossa da compassione, decise di trasformarlo in un leprotto, sapendo che i piccoli di lepre a differenza di quelli dei conigli, nascono già formati e dotati di pelliccia, consentendo così al piccolo di sopravvivere agli ultimi giorni di rigore invernale. Sorprendentemente, nonostante la trasformazione, l’animale continuò a deporre uova che da quel momento ebbero i colori dell’arcobaleno, in onore e ringraziamento alla Dea. La lepre e l’uovo diventarono così simbolo della stagione primaverile.
Nei contesti culturali del centro Europa, incluso il Sudtirolo, la lepre ancora mantiene un ruolo di preminente importanza come simbolo della Pasqua, eredità diretta delle tradizioni legate alla Dea Ostara, dove simboleggiava fertilità e rinascita.
Al contrario, nelle altre Province italiane, si assiste a una significativa trasformazione di questi simboli iniziali. In una profonda risemantizzazione della simbologia legata alla stagione di rinascita, la lepre, tradizionalmente legata ai riti primaverili, cede il posto al coniglio nelle celebrazioni pasquali. Inoltre, l’uccello che nella tradizione “mitteleuropea” viene associato alla gallina, subisce una trasformazione nella colomba che non solo acquisisce un significato diverso, divenendo portatrice di pace, ma attinge anche da un contesto religioso e cultuale completamente diverso. Questa transizione simbolica è ancor più rilevante considerando l'origine del termine “Pasqua”, che in Italiano deriva dall'ebraico “Pesach”, integrando così simboli con radici culturali diverse.
Nonostante lepre e coniglio appartengano entrambi alla famiglia dei leporidi, le loro peculiari caratteristiche, sia biologiche che comportamentali, apportano sfumature distinte ai simboli che rappresentano. La sostituzione della lepre con il coniglio nelle Tradizioni Cristiane Cattoliche del resto delle regioni italiane non rappresenta soltanto un cambio iconografico, ma segnala un’ evoluzione nella percezione dei valori simbolici associati alla Pasqua. Da un lato, il mantenimento della figura della lepre nelle aree centro, nord ed est europee riflette una continuità con le origini pagane della festività, a cui si è stratificata la ritualità pasquale; dall’altro, l’adozione del coniglio come simbolo pasquale in aree come il resto dell’Italia segna una reinterpretazione che si allinea più strettamente ai cambiamenti culturali e alle influenze religiose che hanno plasmato la celebrazione nel tempo.
Così, la figura della lepre, e successivamente quella del coniglietto, insieme all'uovo, assumono dunque un significato profondo come simboli di rinascita e fertilità associati alla stagione primaverile. Questi elementi, radicati nella mitologia e nelle tradizioni legate a Ostara, si riflettono nelle moderne celebrazioni della Pasqua, ricordandoci l'eterna ciclicità della vita e il risveglio della natura.
2. La lepre: simbolo di fertilità, divinazione e transizione fra i Mondi
Ostara è spesso raffigurata come una lepre o come una donna dalla testa di lepre, non di rado anche con questo animale a fianco, sottolineando il forte legame della Divinità con questo leporide. Simbolo lunare, la lepre di giorno si nasconde, per rendersi visibile alle prime luci dell’alba, muovendosi agilmente nell’erba alta, in un gioco di corsa e danza con le sue compagne, ricordandoci la lepre marzolina di Alice nel paese delle Meraviglie. Rappresenta insieme al coniglio, gli aspetti della fecondità e del rinnovamento. La sua tendenza a mostrarsi maggiormente in momenti di luce incerta, in quelle ore che vengono considerate “di confine”, ha fatto sì che fosse considerata intermediaria fra questo Mondo e gli altri, collegandola ad Ecate, Divinità a cui era sacra proprio in nome degli stessi attributi lunari.
3. La lepre per i Celti
Per i Celti, la lepre era vista come animale divinatorio e depositaria di antica saggezza per questo strettamente legata a fate e streghe. Essi interpretavano i presagi dal suo modo di correre. Sebbene fosse allevata in zone quali la Bretagna e l’Irlanda, la sacralità dell’animale ne vietava il consumo della carne, eccetto che durante la caccia rituale dell’equinozio, quando diveniva cibo sacro per il pasto rituale della comunità, che ne ne assumeva simbolicamente le virtù.
Vale la pena ricordare come nel corso dell'inverno, la lepre adatti il colore del suo manto, passando dalle tonalità bruno-grigiastro simile alla roccia, ad un bianco candido, per meglio confondersi con il terreno ricoperto di ghiaccio e neve. Nelle regioni più settentrionali, la lepre mantiene il suo manto bianco tutto l’anno per mimetizzarsi al meglio con l’ambiente circostante.
4. La lepre nella mitologia mondiale: simbolo di Primavera, Fertilità e Cicli Lunari
Rivolgiamo ora la nostra attenzione ai simboli legati all'equinozio di primavera, noto nel Druidismo come Alban Eilir o Eiler-Luce della Terra. Questo momento, caratterizzato da un perfetto equilibrio fra giorno e notte, è espresso dal termine latino aequus nox-notte uguale. L'equinozio primaverile, noto anche come vernale, avviene quando il sole attraversa l'equatore, ed è tradizionalmente celebrato tra il 20 e il 23 marzo, segnando il passaggio dalla introspettiva stagione invernale, alla rinascita segnata dallo sbocciare di fiori e frutti. In questo contesto la lepre diviene simbolo di una fertilità rigogliosa, riflettendo la prontezza del terreno per la semina e il sorgere dei frutti della sua gestazione.
La lepre si manifesta in numerose tradizioni in tutto il mondo, spaziando dalle culture europee a quelle asiatiche ed africane. Si dice che i disegni sulla superficie lunare siano impronte di lepri, o addirittura le lepri stesse, a testimonianza dell'associazione lunare di questo animale. Nella tradizione buddhista, è raccontato di come Buddha incontrò una lepre disposta a sacrificarsi balzando nel fuoco per placare la sua fame e in onore a tale gesto impresse l'immagine dell'animale sulla superficie lunare. In Cina, la lepre è simbolicamente rappresentata con un mortaio e pestello per preparare l'elisir dell'immortalità. Ancora in Cina e più diffusamente nel resto d’Oriente, a sottolineare il suo legame con la Luna, credenza vuole che la lepre possa partorire solo guardando il satellite. Persiste in queste Culture, la superstizione che collega la visione lunare al parto umano: si riteneva che se una donna avesse partorito guardando il satellite terrestre, il nascituro avrebbe potuto avere il labbro leporino. Nell’Antico Egitto, Osiride, dopo essere stato smembrato e gettato nelle acque del Nilo, assume talvolta le fattezze di lepre, conferendole una sacralità tale da vietarne la caccia.
Nelle tradizioni europee, nella Mitologia Norrena, la Dea Freya è descritta con lepri come ancelle. La lepre nell'antichità, oggi parzialmente sostituita dalle rappresentazioni popolari del coniglietto, condivide con quest'ultimo un tratto distintivo: la notevole fertilità, simboleggiata nell'iconico dono dell'uovo.
5. Due strade per una parola: l'evoluzione etimologica di “Lepre” in Italia e Germania
L’etimologia, ovvero lo studio dell’origine delle parole e della loro evoluzione nei secoli, offre il prezioso vantaggio di fornire una panoramica su come, riflettendo le variazioni di un contesto culturale, i termini si trasformino in forma, significato e uso all’interno di una lingua o fra lingue diverse.
Esaminando la radice più antica nota, possiamo cogliere non solo il principio di utilizzo di un termine, ma, più significativamente, la cultura e la visione del mondo che esso manifesta. Di conseguenza, l’origine di una parola diventa un ponte tra il linguaggio e la percezione di una cultura che esprime quel termine.
Ci accingiamo ora ad analizzare l’etimologia del termine "lepre", comune a molte lingue europee, che ci fornisce un esempio emblematico di come uno stesso concetto possa radicarsi in modi linguisticamente differenti, evidenziando specifici percorsi storici e culturali.
Partendo da questo assunto, focalizzeremo l’attenzione sulle varianti italiana e tedesca del termine; questo al fine di esplorare e confrontare le etimologie con l’intento di comprendere più profondamente sia le differenze che le somiglianze. Proprio attraverso i confini linguistici che analizzeremo, il termine “lepre” rivela significati che, sebbene convergano verso lo stesso animale, seguono percorsi distinti.
Il termine “lepre” in Italiano si riferisce ad un animale appartenente alla famiglia dei leporidi, all’interno dell’ordine dei mammiferi lagomorfi. La lepre è caratterizzata da un manto tendenzialmente grigio scuro, una coda corta, orecchie lunghe e zampe posteriori adatte ad effettuare lunghi salti. La voce latina “lēpore” attinge, secondo un primo collegamento linguistico, probabilmente dal substrato libico-iberico. Secondo un diverso nesso etimologico, fu adottato dai rimatori del Trecento nella forma dotta di “lepore” ed in quella francese di “lièvre” come in Dante.
Molto ricercata per la prelibatezza della sua carne, se ne trova attestazione documentaria già prima del 1321, come anticipato sopra, in Dante, oltre che in ricettari romani della prima metà del 1400 nella denominazione di “lepere”. Il termine compare già in differenti espressioni trecentesche: lepre, levre, lièvre, lievore. La prima documentazione scritta di “leprotto”, inteso come lepre giovane, la rileviamo nel 1560.
Il vocabolo tedesco “Hase”, invece, compare antecedentemente l’8° secolo. In Medio Alto Tedesco, "has(e)", così come in Antico Alto Tedesco "has(o)" e in Basso Tedesco Medievale "hase", deriva dal proto-germanico "*Hasôn1", che significa proprio "lepre". Questo termine proto-germanico si affianca a una variante con un leggero cambiamento grammaticale, "*hazôn", che si ritrova in Antico Nordico come "heri" e in Anglosassone come "hara". La diffusione del termine attraverso le lingue germaniche mostra l'importanza culturale e ambientale della lepre nelle società antiche.
Interessante è il legame con il Proto-Indoeuropeo "*koso-/ón", che suggerisce una radice ancora più antica per "lepre", condivisa anche in Antico Indiano ("śaśá-", dove la seconda "ś" deriva da un processo di assimilazione), in Prussiano Antico ("sasins") e trovando una corrispondenza in Gallese con "ceinach". Questa connessione indoeuropea amplia la nostra comprensione di come la lepre fosse percepita nelle diverse culture antiche.
La parola "lepre" sembra originariamente significare "il Grigio", un riferimento al colore del manto dell'animale. Questo legame tra l'animale e il suo colore è evidente in diverse lingue, come nel Lituano "širvís" (lepre) derivato da "širvás" (grigio), e si ritrova in Anglosassone come "hasu" (grigio-marrone), in Antico Nordico come "hǫss" (grigio), e oltre il Germanico, nel Latino "cānus" (grigio), che proviene dalla radice "*kasno-2".
Il termine ha trovato la sua strada in molte lingue moderne, come dimostrano l'Olandese "haas", l'Inglese "hare", lo Svedese "hare" e l'Islandese "heri", attestando la persistenza e l'adattabilità di questa parola attraverso i secoli.
L’analisi di cui sopra esplora le profondità storiche e linguistiche del termine “lepre”, permettendoci di aver visione di come il linguaggio umano, sia riflesso ed al tempo stesso componga il mosaico dell’interazione umana.
6. La Lepre e l'Uovo: Viaggio Simbolico tra Cultura, Tradizione e Trasformazione
Nel contesto ebraico-cristiano, purtroppo, la lepre assume connotazioni negative: considerata impura nel Deuteronomio e nel Levitico, nel Cristianesimo viene spesso associata a paura e timidezza. In diverse opere artistiche è spesso raffigurata sotto i piedi di una santa, rappresentando la dicotomia tra verginità e peccato della carne.
Nel Medioevo, la lepre divenne simbolo di sventure e si riteneva che le streghe potessero trasformarsi in questi animali. Si affermava che le ferite inflitte alle lepri fossero rinvenibili sui corpi delle donne accusate di stregoneria il giorno successivo. La lepre bianca, in particolare, era considerata presagio di morte.
Tuttavia, in altre Culture, la narrazione cambia significativamente. Presso i Nativi Americani, la Grande Lepre è venerata come simbolo eroico dell’alba nascente, capace di creare e trasformare. Per i Greci era sacra ad Afrodite ed a suo figlio Eros.
Similmente, nel contesto pagano, la lepre di Ostara, rappresenta rinascita e fertilità, incarnando la capacità di trasformazione emblematicamente rappresentata dall’uovo. L’uovo, antichissimo simbolo cosmico pre-cristiano, esprime la doppia nascita: la prima volta al momento della deposizione, e la seconda alla schiusa. Questo ciclo riflette lo spuntare dei primi germogli, metafora del guscio che il pulcino dovrà rompere per venire alla luce. L’uovo, similmente alla terra, protegge e nutre la vita che contiene sino alla sua piena manifestazione. Nei tempi antichi, quando gli Dei erano onorati, le uova venivano scambiate sotto un albero ritenuto “magico” nel villaggio, legando così Ostara ai culti arborei.
7. Uovo Cosmico e cicli di rinascita: simbologia antica della Primavera
Sumeri e Babilonesi condividevano la credenza in un principio cosmico comune, secondo cui una colomba sorvolava le acque del caos, infondendo loro vita, trasformando così la potenzialità in esistenza concreta. Nei miti di queste due Civiltà la colomba era associata, però, ad un altro animale: il serpente, quindi rifacendoci a queste Tradizioni, l’uovo primordiale era un uovo di serpente. Analogamente, nella mitologia egizia, l’uovo cosmico emerge dalla bocca di un serpente di nome Kneph. Parimenti, la mitologia greca, in particolar modo nell’Orfismo, racconta di un uovo a cui è legato il mistero dell’esistenza, sovente rappresentato avvolto dall’Ouroboros, mitico serpente che si morde la coda in manifestazione di eterno ritorno.
Questi simboli, intrisi di significati legati alla rinascita ed al rinnovamento, persistono nelle celebrazioni della primavera e della Pasqua, conducendoci attraverso tutta una serie di ritualità che, per le aree germanofone dell’Europa, ci riportano a un passato remoto, decisamente anteriore all’era cristiana.
Tra le tradizioni europee pre-cristiane legate alla primavera, vi era quella che prevedeva uomini mascherati con pelli di animali e paglia, aggirarsi per i boschi, per indurre l’inverno ad allontanarsi. Parallelamente, giovani fanciulle vestite di bianco e ornate di fiori, spuntavano da rocce ed anfratti invocando l’avvento di Ostara.
8. Ostara: Radici e Riflessi di una Divinità della Primavera
Le informazioni disponibili su Ostara o Eostre/a nella forma inglese del suo nome, da cui deriva Easter (Pasqua in Inglese), sono piuttosto scarne. Le prime menzioni risalgono a Beda il Venerabile, storico e monaco vissuto tra il 673 e il 735, divenuto poi santo della Chiesa e celebrato il 25 maggio. Negli studi riportati nel suo libro “De Temporum Ratione”, nel capitolo XIII, Beda cita brevemente e senza particolari descrizioni, due Divinità: Ffrede (Rhede) ed Edstre (Eostra), come le eponime dei mesi di marzo e aprile, definendole espressamente “Antiche Dee della sua gente” che diedero origine ai nomi di Redmonath (marzo) e Eosturmonath (aprile).
Un
ulteriore riferimento storico ci viene dall’autore
latino, Eginardo (Fr. Eginard, Ted. Einhard, Lat. Einhardus 770 — 840), il principale biografo di Carlo
Magno, che identificò il mese di aprile come Dstarmdnoth.
Ancora oggi, in Tedesco, il mese tipicamente associato alla Pasqua è
aprile, ed è anche denominato Ostermonat.
Ciò suggerisce quanto il culto di
questa Dea fosse radicato.
Il nome Ostara contiene nel suo nome la radice "Ost" che ancora oggi in Tedesco indica l’oriente, e la cui etimologia sembrerebbe provenire da "aus" o "aes" ovvero l’est; sarebbe dunque la Dea dell’alba o del sole nascente. Questa divinità, in effetti, è rappresentativa di maggiore calore, luce, rinascita e crescita. È manifestazione quindi di ciò che con la Festa di Imbolc pulsava sotto la terra e timidamente iniziava ad emergere.
9. Ostara: crocevia di albe e Tradizioni nella ricerca germanistica
Friedrich Kluge (Colonia 1856 — Friburgo in Brisgovia 1926), eminente germanista, ha sostenuto la tesi di Ostara come Divinità germanica. Nel suo rinomato Etymologischen Wörterbuch der deutschen Sprache (Dizionario etimologico della lingua tedesca), fa riferimento al ricercatore Leopold von Schroeder (Indianista: Tartu, Estonia 1851 — Vienna 1920), il quale evidenzia come Ostara non sia l’unica Divinità dell’alba e del nuovo giorno. Von Schroeder traccia parallelismi con Divinità quali: la lituana Ausrine, la lettone Auseklis, la romana Aurora, la greca Eos e l’indù Ushas, tutte figure divine accomunate dalla stessa caratteristica del nuovo sorgere.
È interessante notare come, nelle regioni del nord della Germania, in Basso Tedesco, il termine "Paschen" (Pasqua) fosse utilizzato nel Medioevo, molto probabilmente derivando dalla parola ebraica Pesach.
Tuttavia la natura precisa di Ostara-Eostre rimane avvolta nel mistero, con alcune teorie che la indicano come una Divinità regionale, forse venerata in zone collinari e montuose. Le critiche riguardo la mancanza di fonti certe nelle attestazioni di Beda il Venerabile, con la motivazione che non si conoscono le sue fonti, rischiano di diventare tendenziose. Del resto studiosi del calibro di Max Manitius (filologo e storico Dresda 1858 — 1933), lo elogiò come «il più grande erudito dell’Alto Medioevo». Michael Lapidge, nella sua prefazione del 2006 all’opera Storia degli Inglesi, enfatizza l’impegno di Beda nella ricerca, nell’insegnamento e nella scrittura, citando la toccante lettera che Cuthbert, suo allievo e discepolo scrisse a testimonianza della sua eccellenza letteraria, negli anni immediatamente successivi alla morte del maestro nel 735 (pag. XLIV) «[…]Ciò che è sicuro, invece è che dedicò la sua vita, come lui stesso ci dice nell’Historia Ecclesiastica (V XXIIII 2) a studiare, insegnare e scrivere; del suo livello come scrittore è testimonianza il vastissimo corpus delle opere pervenute fino a noi[...]».
Pertanto, Beda, noto anche per la raccolta delle tradizioni orali del suo tempo, merita fiducia, riguardo le seppur poche informazioni su Ostara.
10. Ostara nelle Tradizioni: Da Beda ai Fratelli Grimm e il Sincretismo Pasquale
Un millennio dopo il Venerabile Beda, i fratelli Wilhelm (Hanau 1786 — Berlino 1859) e Jakob Grimm (Hanau 1785 — Berlino 1863), raccolsero tradizioni orali in quella Regione che sarebbe poi diventata la Germania, scoprendo attestazioni che narravano di Ostara e delle sue celebrazioni che cadevano dopo la luna piena successiva all’equinozio di primavera.
Con il Concilio di Nicea del 325, venne deciso che la Pasqua cristiana si festeggiasse indipendentemente da quella ebraica, la prima domenica dopo il plenilunio che seguiva all’equinozio. Specialmente Jacob nella sua Deutsche Mythologie Vol. I sostiene che l’idea della resurrezione fosse un elemento fondamentale della celebrazione della Dea Ostara e che Ostara o Eastre può quindi esser stata una divinità dell’alba radiosa e della luce nascente, una Divinità gioiosa quanto salvifica, la cui concettualità è stata usata per la festa della resurrezione del Dio cristiano.
11. Ostara: Tra Antiche Consacrazioni e Radici Proto-Germaniche
Una nuova ipotesi sull’origine della parola Ostern emerge dagli studi di Jürgen Udolph, filologo dell’Università di Lipsia. Questi studi mostrano una possibile correlazione del nome Ostara anche con il proto-germanico Austr che non solo significa est ma anche acqua, collegandosi al termine Ausa che significa versare acqua. Questa associazione richiama un concetto oggi noto come battesimo.
Del resto Germani e Celti, interagendo lungamente specialmente nelle aree lungo il Reno, influenzarono vicendevolmente le proprie Culture. Tra gli Antichi Scandinavi, era diffusa una pratica chiamata appunto Ausa vatni, un rito di consacrazione dei neonati, che prevedeva il bagno del capo bagnandone il capo con acqua di fonti particolari, e l’attribuzione di un nome, che ricorda per similitudine il battesimo cristiano.
Da punto di vista linguistico sappiamo che il termine Austro ed il suo femminile Austra, sono forme proto-germaniche, presenti nella Cultura Norrena appunto, nella forma del Nano Austri, entità maschile legata alla direzione dell’est.
Nel 1958, nella zona di Morken-Harff nella Bassa Renania, non lontano da Colonia e Bonn, sono state scoperte ben centocinquanta pietre ed un altare votivo chiaramente dedicato a tre Matrones, Divinità nel numero di tre ed in età matura (in rari casi due donne più vecchie ed una più giovane) spesso rappresentate con attributi di fertilità, come cesti di frutta, pani, bambini. Questo altare che riporta l’acronimo latino V.S.L.M. rappresenta il ringraziamento per un voto esaudito da queste Divinità, che seppur oggi possiamo confermare essere di origine germanica e non celtica, sappiamo avere come epiteto Austriahenae — Le Madri delle Tribù dell’Est.
Queste scoperte supportano l’ipotesi di una correlazione fra la Ostara/Eostre celtica e le Matrone germaniche legate all’Est, il cui culto si estendeva a popoli vicini ma etnolinguisticamente diversi.
Località tedesche che riflettono la connessione con Ostara le troviamo in: Bassa Sassonia ad Osterode am Harz, Osterholz, Osterbruch, Ostercappeln, Osterwald; Osterburg, Osterfeld, Osterwiek in Sassonia-Anhalt e Osterburcken nel Baden-Württemberg. In Baviera troviamo Osterofen, mentre l’Austria-Österreich il cui nome evoca la Dea della Primavera ospita località come Osterwitz in Stiria e Ostermiething in Alta Austria, legando ulteriormente, il Culto di Ostara al territorio germanico.
12. Rituali di Primavera: Tradizioni di Fertilità e Rinascita
Nel cuore delle celebrazioni primaverili e pasquali, questa che è e rimane una Festa del Fuoco, si distingue per la ricchezza di tradizioni e rituali che la animano, particolarmente vivi in questa Regione, come anche in Austria e Germania.
12.1 Feldweihe, la consacrazione del campo
È un rituale che i contadini celebrano ancora adesso, avviene in concomitanza con l’equinozio di primavera. Si tratta di disperdere ai quattro angoli del campo: menta piperita, rami di salice, erbe aromatiche e primule, dedicandole alla "primavera". Al centro del campo si conficca e accende una candela bianca chiedendo un tempo bello che porti raccolti ricchi e rigogliosi e per proteggerli da tempeste. Anche la forma di questo rituale ricorda l’unione del Femminile e del Maschile, la candela un chiaro simbolo fallico che penetra il terreno, è accesa a rappresentare il calore del fuoco, e l’invocazione ai quattro angoli del campo, richiama gli auspici di fertilità massima e di protezione di tutto ciò che potrà nascere dall’utero-madre della profondità del suolo.
12.2 Scheibenschlagen o lancio dei dischi ardenti
È una tradizione radicata nella cultura alpina tirolese estendendosi anche in Baviera, in Svizzera ed in Friuli sulle Alpi carniche, dove è chiamata Tir des cidulis. Questa pratica si svolge generalmente la prima domenica di Quaresima, trovando particolare risonanza nella Vinschgau-Val Venosta, in località di Planol/Pianvenna a Malles.
Questa domenica chiamata tradizionalmente Holepfannsonntag o Funkensonntag si rivive e tramanda una tradizione di origine celtica che consiste nello sbattere, posizionati su colline scelte precedentemente dalla comunità e denominate Scheibenbichl, dischi o piatti, gli Scheiben appunto giù dalla collina. Il rumore prodotto dai dischi incendiati e fatti oscillare prima del lancio, serve a scacciare definitivamente l’inverno, e a propiziare la fortuna del lanciatore e del territorio circostante, con la distanza del lancio a simboleggiare l’auspicio di prosperità.
Oggi la festa coinvolge prevalentemente i giovani, impegnati nel taglio dei giovani alberi, per creare i Larmstangen o Kasfängga o Hex che assumono forme geometriche specifiche: il triangolo, il rombo o la croce, che vengono issati con metodi che riportano a tempi antichi e rappresenteranno un falò ancestrale visibile da distanze considerevoli.
Con il calare del crepuscolo, il fuoco divampa sulla collina mentre i giovani impugnano verghe di nocciolo su cui verranno messi i dischi di legno di betulla spessi circa 2 cm, di forma circolare o quadrangolare, dal diametro variabile dai 6 ai 15 cm e con un foro al centro che permetterà di fissarli su bastoni dalla lunghezza di 1-2 metri e che sono lasciati su braci e trasformati in tizzoni ardenti.
Così prima il tiratore creerà suggestive forme circolari, generate dall’oscillazione dei bastoni, che batterà poi su un angolo a creare il lancio, accompagnato dall’urlo di una cantilena talvolta in rima, volta ad attirare fortuna e fertilità, o esprimere sentimenti di amicizia quanto di antipatia. Dalla vetta della collina, il falò testimonia questa pratica millenaria, collegata a culti della fertilità e considerata di buon auspicio per i futuri raccolti, che in questa zona erano particolarmente importanti, in quanto considerata il granaio di questa regione alpina. Più a lungo, dunque, arderà il falò, mentre i dischi vengono lanciati più lontani possibile, più grande sarà l’augurio di un raccolto rigoglioso nella stagione a venire. Oggi le cantilene sono rivolte al Signore, ma i falò che testimoniano questa ritualità talvolta possono assumere forme simboliche ed essere fatti con alberi ricoperti di paglia in forma di croce, o effigi di strega, o rappresentare immagini di vulva, la vulva di questa Madre di Fertilità.
ich schlag sie weit ins Land
dass Friede und gute Erntezeit
der Herrgott hier ins verleiht"
12.3 Holepfannsonntag nel Voralberg (A)
12.5 Palmbusch
Il Palmbusch è una tradizione che ha luogo la Domenica delle Palme. Prima di questa festa, vengono preparati dei mazzi di rami di gattici chiamati Palmkätzlein, che sono in realtà rami di salix caprea — il salice delle capre. L’ etimologia di questo nome ci ricollega a due parole celtiche: sal con il significato di vicino e lis con quello di acqua, in quanto la pianta cresce tendenzialmente nei pressi di corsi d’acqua.
A questi rami, oltre ai gattici, sono aggiunti bosso, ginepro, tasso, abete o tuia e fiocchi colorati. Il complesso viene poi fissato a lunghi bastoni e portato in chiesa dai bambini, per ricevere la benedizione. Queste composizioni cariche di significato, sono viste come protettrici della casa dal maltempo, in particolare dai temporali estivi. Una volta essiccate, queste composizioni vengono impiegate nelle fumigazioni tradizionali delle Raunachte, le cosiddette Notti Fumose, corrispondenti alle Dodici Notti Solstiziali d'Inverno.
È particolarmente rilevante la scelta del salice, considerata una delle piante magiche, a partire dalle sue proprietà curative utilizzate ancora oggi, e per la sua capacità di proteggere dai malefici, e tradizionalmente è la pianta usata anche per la costruzione delle scope delle streghe. È una delle prime piante a fiorire, da febbraio ad aprile, predilige il sole e terreni umidi e cresce in aree prettamente montane, fino ai 1600 metri sul livello del mare, mentre è completamente assente nelle zone costiere. Le sue infiorescenze sono dette amenti.
Interessante è anche notare come la corteccia con il passare degli anni, mostri fessure longitudinali di forma romboidale, richiamando i falò pasquali di cui abbiamo parlato più sopra.

12.6 L’Osterbaum: l’albero di Pasqua
Il Giovedì Santo, nelle famiglie di Tradizione Cattolica, soprattutto in quelle in cui vi è la presenza di bambini, vengono decorate le uova che saranno apposte sull’ Osterbaum-l’albero di Pasqua: una composizione di rami di gattici messi in vaso ed addobbati per l’occasione con uova appese. L’addobbo potrà essere fatto anche all’esterno dell’abitazione, decorando un albero appartenente alla casa. Uova sode colorate, spesso nei colori dell’arcobaleno, si trovano in vendita fin dalla fine di febbraio o inizio di marzo, in negozi e supermercati, insieme a leprotti e galline di cioccolata o comunque dolci di ogni forma, tendenzialmente non troppo grandi. Sebbene nei supermercati, specialmente delle città più grandi, sia possibile trovare uova con sorpresa di dimensioni più generose, queste non riflettono la tradizione più autentica della zona, caratterizzata da dolci dalle misure più contenute. Le uova sempre di cioccolata di piccola o media dimensione, saranno nascoste e cercate, dopo il pranzo di Pasqua, in giro per il giardino di casa dove un leprotto birichino, l’Osterhase, li ha nascosti. Curioso anche notare come madrine e padrini usino regalare pandolci a forma di leprotto ai nipoti maschi e di gallina alle nipoti femmina.
12.7 L’Eierpecken
Un’altra curiosa tradizione è quella dell’ Eierpecken, conosciuto anche come Osterpecken, Preisguffen o Goggele pecken, che si traduce nel gioco del combattimento con le uova. In questo gioco due bambini si sfidano a colpi di uovo, usano le punte prima e poi la parte piatta. Vince chi rimarrà con l’uovo intatto più a lungo.
Conclusioni
L’articolo intende esplorare la simbologia e le tradizioni legate ad Ostara, radicate nell’antichità pre-cristiana, che ancora oggi risuonano nelle celebrazioni pasquali specialmente di area germanofona. Ostara, con i suoi emblemi della lepre e dell’uovo incarna il risveglio della natura e la rinascita della primavera, riflettendo i cicli di vita, morte e rigenerazione che regolano l’esistenza.
Il testo mira ad evidenziare la distinzione tra le radici di Ostara celebrata nei mesi di marzo ed aprile e la Pasqua cristiana, una festività mobile che cade nello stesso periodo, ma che originano da presupposti cultuali distinti. Evidenzia come il Cristianesimo abbia integrato, attraverso un processo di appropriazione culturale già visibile nelle celebrazioni natalizie, elementi di tradizioni arcaiche. La trasformazione della lepre in coniglio e l'adozione dell'uovo pasquale rappresentano un ricalco dei temi di fertilità e rinascita, riconfigurati nel contesto della resurrezione e redenzione cristiana.
Attraverso questa analisi, si invita ad una riflessione critica su come simboli e riti millenari siano stati reinterpretati ed adattati.
Riconoscere queste intersezioni e trasposizioni non solo serve a rendere giustizia al patrimonio storico, ma anche ad arricchire la comprensione della nostra eredità collettiva, intrisa di significati profondi e simbolismi anche nelle festività moderne.
Tutte queste usanze che si perdono nella notte dei tempi, ci mostrano come attraverso i suoi simboli e rituali ancora vividi di significati, Ostara sia ancora ben presente nelle ritualità primaverili. Ostara colei che sorge con i raggi più caldi del Sole della primavera, dopo il freddo ed il buio dell’inverno. Ostara la Dea che risorge a sé stessa.
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1 L'asterisco prima di una parola nell’analisi etimologica indica che questa forma è una ricostruzione della radice del termine, non un termine effettivamente attestato in fonti scritte. Gli studiosi utilizzano l'asterisco per segnalare una radice ipotetica o una forma ancestrale di una parola che è stata ricostruita sulla base di comparazioni linguistiche e non è direttamente testimoniata.
2 Il termine latino "cānus" si traduce in "grigio" o "bianco" e viene utilizzato per descrivere il colore dei capelli o della pelliccia che si schiarisce, spesso associato all'invecchiamento.
* Tratte dall'archivio personale laddove con firma filigrana
* 19. e 23. guidaaltoadige.blogspot.com
* 29. meinekirchenzeitung.at
* 30. press.austria.info/de
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