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domenica 24 novembre 2024

Il Rito del cero commemorativo per i defunti dell’ultimo anno. Una tradizione del Sudtirolo in Allerseelen – nel Giorno dei Morti






Il primo novembre rappresenta, a tutti gli effetti, uno spartiacque all’interno del calendario agricolo. Termina un anno, completato il tempo del raccolto, la terra entra in un profondo sonno, avvolta dal silenzio della stagione fredda. 

Secondo il calendario cristiano cattolico, questa data introduce un periodo di riflessione e memoria: il primo e il due novembre sono dedicati alla celebrazione dei Santi e dei Morti. Ma queste ricorrenze affondano le loro radici in un passato più remoto. Del resto, il “culto degli antenati” rappresenta l’origine di ogni religione (Spencer 1877). Lo stesso culto degli eroi deriverebbe dalla divinizzazione degli antenati, e le Divinità trarrebbero origine da un processo affine. Tra i Celti, infatti, questo momento dell’anno aveva un’importanza centrale nella vita comunitaria: Samonios o Samhain — come oggi è meglio conosciuto — rappresentava il Capodanno, una festa in cui si rinnovava il legame profondo tra vivi e morti. Non esisteva una netta demarcazione fra il mondo dei vivi e quello dei defunti, ed un morto non era mai completamente morto, poiché morire non era lasciare la vita ma solo mutare uno stato all’interno di essa. Le celebrazioni iniziavano il 31 ottobre e si prolungavano per undici giorni, fino a quello che oggi è noto come il giorno di San Martino. Con l’avvento del Cristianesimo, molte di queste tradizioni furono assorbite e rielaborate nel calendario liturgico.




La Chiesa seguì diversi passi per giungere alla celebrazione che conosciamo oggi. Nel VI secolo fu istituita una giornata dedicata alla commemorazione dei martiri della Chiesa latina, fissata in prossimità della Pasqua per richiamare il legame della sofferenza — comune ai martiri e a Cristo — al tema della resurrezione. 

Durante il pontificato di Papa Bonifacio IV (608-615), questa celebrazione fu spostata al 13 maggio. Solo due secoli più tardi, Gregorio IV, pontefice dall’827 all’844, stabilì che la festa fosse celebrata il primo novembre, sperando di portare un cambio di passo nel diffuso “anno celtico”. Sebbene questa festa, dedicata a tutti i Santi, esistesse già in alcune aree, con Gregorio IV fu estesa a tutta la Chiesa Cattolica. Questa ricorrenza pur essendo rivolta ai Santi, evoca già il ricordo dei Defunti.

La prima celebrazione del Giorno dei Morti si attribuisce a Sant’Odilone di Cluny, che il 2 novembre del 998 introdusse questa ricorrenza nel monastero omonimo con l’intento di pregare per le anime dei defunti, soprattutto per quelle che si trovavano in Purgatorio, in modo da favorire il loro passaggio verso la salvezza eterna. Tuttavia, secondo il teologo e scrittore Isidoro di Siviglia, le origini di questa festa risalirebbero già alla prima metà del VII secolo. La celebrazione fu poi ufficialmente istituita nel 1006 da Papa Giovanni XVIII.

Oggi, tra le montagne del Sudtirolo e nelle regioni germanofone, il Giorno dei Morti è un’occasione per rinnovare il legame con coloro che non ci sono più, attraverso tradizioni che coniugano fede, memoria e comunità.

Il Giorno dei Morti, o Commemorazione dei Defunti, è conosciuto in Sudtirolo e nel mondo germanofono come Allerseelen, che significa letteralmente “Tutte le Anime”. Questo momento dell’anno rinnova una tradizione molto particolare: quella del "cero commemorativo" per i defunti dell’ultimo anno. Fra queste montagne, i cimiteri sono particolarmente curati, e il periodo dei Morti esprime un forte senso di comunità.




Le bacheche esterne alle chiese sono ornate con le foto di coloro che hanno lasciato questo piano d’esistenza, decorate con foglie secche o rametti di sorbo, e accompagnate da scritte che, con delicatezza e profonda malinconia, esprimono il senso della morte all'interno della vita. Tra queste si leggono frasi come: “Leise weht ein Blatt vom Baum und nichts ist mehr so, wie es einmal war”(‘Una foglia cade piano dall’albero e nulla è più come prima’), oppure “…und bis wir uns wiedersehen, halte Gott Dich fest an seiner Hand”(‘…e finché non ci rivedremo, possa Dio tenerti stretto nella sua mano).




In questo giorno, gli altari delle chiese espongono un cero per ogni defunto dell’anno passato, che al termine di una celebrazione viene donato a figli o parenti per essere acceso sulla tomba.




Ricordo ancora molto bene quella mattina di fine ottobre, mentre ero indaffarata a svuotare la casa di mamma, circa un mese dopo la sua morte. Suonò il campanello: era una signora che già conoscevo. Dopo aver rinnovato le sue condoglianze, mi porse un bigliettino, spiegandomi che il 2 novembre, nella chiesa parrocchiale, ci sarebbe stata una liturgia della Parola per ricordare i defunti dell'ultimo anno. Presi il biglietto, immaginando una messa simile a quelle a cui ero abituata.




Così, puntuale, il 2 novembre mi recai all'appuntamento e, entrando, notai subito dei piccoli ceri bianchi disposti in fila, di cui ignoravo la funzione. Non c'erano molte persone, sparse tra i banchi della chiesa barocca dedicata a Heiligen Margareth (Santa Margherita). La prima cosa che mi colpì fu che l'intera liturgia era officiata al femminile: furono donne a leggere le Scritture e a ricordare, mese per mese, chi ci aveva lasciato, in un silenzio carico di malinconia che rendeva ancor più intenso il senso della Morte.




Al termine della celebrazione, mi avvicinai alla signora che mi aveva invitata. Intanto osservavo come, man mano che i parenti dei defunti si avvicinavano all'altare, venisse loro consegnato un piccolo cero collocato in un semplice vasetto di vetro. Nessuna scritta, nessuna immagine, solo un cero bianco, il cui stoppino, annerito, indicava che era già stato acceso.




La signora mi spiegò che quella piccola candela era stata accesa con la fiamma del cero pasquale e che, secondo la tradizione, doveva essere portata sulle tombe. Sebbene mia madre non fosse sepolta in questo paese, anziché tornare subito a casa, seguii il piccolo corteo di una decina di familiari che si dirigevano al cimitero; ero curiosa di vedere di cosa si trattasse. Nel frattempo era calato il buio più completo. Arrivati al cimitero, deserto a quell'ora, i familiari dei defunti dell’anno – coloro che erano mancati tra il 2 novembre dell'anno precedente e quello corrente – accesero il cero e lo aggiunsero alle altre candele che qui illuminano quotidianamente le tombe, raccogliendosi poi in preghiera. Nel periodo dei defunti, queste luci si uniscono a composizioni di piante simboliche — come l’abete, il melograno e il cardo selvatico — diffuse in tutta l'area germanofona, dal Sudtirolo all'Austria e alla Germania. Con il tempo, ho notato come la tradizione del “cero commemorativo” si diversifichi da una chiesa all’altra. In alcune, i ceri bianchi lasciano spazio a versioni più grandi, decorate con croci dorate o colorate, con i nomi dei defunti e, talvolta, con scritte legate al periodo, come preghiere o pensieri dedicati.




Le usanze legate alla morte testimoniano il profondo legame tra vivi e defunti, specialmente nel contesto sudtirolese, dove i cimiteri, generalmente, sorgono intorno alla chiesa parrocchiale, la quale è parte integrante del tessuto comunale e comunitario. 




Questa zona non si uniforma alle disposizioni dell’Editto di Saint-Cloud, emanato da Napoleone Bonaparte nel 1804, che impose l’obbligo di collocare i cimiteri fuori dalle mura comunali per ragioni igienico-sanitarie, estendendo la norma dalla Francia ai territori sotto il suo controllo. In Sudtirolo, invece, i cimiteri restano nei centri abitati, intorno alle chiese, rappresentando una particolarità storica e culturale che differenzia questa Provincia dal resto d’Italia.

La particolare conformazione climatica e territoriale dell’area, soprattutto nei piccoli centri e nelle zone di montagna, ha contribuito a evitare problematiche sanitarie legate ai luoghi di sepoltura, rendendo inutile uno spostamento forzato. Inoltre, in questa Provincia come in Austria, Germania e Svizzera, separare i cimiteri dalle chiese avrebbe significato rompere il legame tra i defunti e la loro comunità, una scelta ritenuta inaccettabile. I cimiteri, infatti, rappresentano un’estensione del rapporto tra vivi e morti, un vincolo che li unisce come parti di una stessa collettività. 




Dopo aver descritto questa tradizione legata al Tempo dei Morti, è interessante riflettere su alcuni simbolismi più ampi in un’ottica di tipo culturale. Da tempi antichissimi, infatti, il fuoco ha ricoperto un ruolo centrale nei rituali e nelle credenze dei popoli, simboleggiando non solo la luce, ma anche la purificazione, la trasformazione e la protezione. 

Ogni azione di tipo rituale, qualunque sia la sua matrice, racchiude una serie di valenze che rivelano lo "stato" profondo delle cose. Esaminiamo ora il termine, concentrandoci sui riti funerari da un punto di vista strettamente antropologico, indipendente da collegamenti liturgico-religiosi, già introdotti in precedenza. 

Un rito è un insieme di comportamenti, parole, canti e oggetti utilizzati o trattati in modo specifico — creati o distrutti — che possiedono virtù intrinseche e producono effetti simbolici o reali. Derivante dal latino ritum, a sua volta di origine indoeuropea, con il doppio significato di “cerimonia religiosa” e “costume, abitudine” (Zanichelli 2022). Come evidenziato dalla Treccani, è semanticamente affine al greco ἀριθμός, termine con il significato di numero, che richiama i concetti di ordine e regolarità, elementi che ritroviamo nei riti come atti stabiliti e ripetuti. In Sanscrito, il termine ha una doppia valenza: indica sia “misurato” sia “ordine cosmico”. Questo significato sia oggettivale che nominale, rimanda a un “ordine” stabilito dalle Divinità, che funge da legge universale per regolare il Mondo. 

Da tempi antichissimi, il fuoco ha rappresentato un simbolo universale, associato a molteplici significati: purificazione, rigenerazione, protezione e continuità. Elemento materiale e insieme simbolico, funge da ponte tra mondi diversi, creando punti di connessione capaci di generare trasformazioni. Questo simbolismo si riflette anche nella tradizione cattolica locale del “cero commemorativo”, acceso con la fiamma del cero pasquale. Questo gesto richiama la luce di Cristo e il rinnovamento spirituale, ma riecheggia anche i fuochi rituali arcaici diffusi tra le popolazioni europee, invocati per protezione divina e trasformazione, aspetti cui accenniamo senza addentrarci oltre in questa sede. Ogni rito, in ogni epoca, ci ricorda che la nostra esistenza è intrecciata in un ordine universale che connette il visibile e l’invisibile. I "ceri commemorativi" non sono esclusivamente ricordo: sono trasformazione, continuità e il filo che unisce in maniera indissolubile noi e la nostra ascendenza. Il fuoco ci ricorda che la memoria non appartiene solo al passato: è una fiamma viva che brucia nel presente, unendo ciò che, solo all’apparenza, sembra distante e separato. Ancora una volta unisce, creando un legame profondo tra vivi e defunti, tra materia e spirito, tra umanità e divinità.





Immagini

* Tratte dall’archivio personale

Bibliografia

*Cortellazzo Manlio e Zoli Paolo (a cura di), DELI Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Zanichelli 2022 

*Dal Lago Veneri Brunamaria, Alto Adige. Terra di feste, riti e tradizioni, Giunti 2002 

*Eliade Mircea, Dizionario dei Riti, Jaka Book 2020 

* Eliade Mircea – Couliano Ioan P. (a cura di), Dizionario dei simboli, Jaka Book 2020
 
*Eliade Mircea – Ries Julian, Dizionario delle Feste, Jaka Book 2021

*Greger Michael J., Brauch und Jahr, Verlag Verein Schloss Trautenfels 2008 

*Mangold Guido – Griessmair Hans, Usi e costumi del Sudtirolo, Athesia 2001 

Sitografia

*cfr. Samhain, la Porta di Eternità di ciò che non è mai separato

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2016/10/samhain-la-porta-di-eternita-di-cio-che.html

*cfr. Dall'Oscurità di Novembre e Dicembre alla Scintilla del Nuovo che verrà

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2017/11/dalloscurita-di-novembre-e-dicembre.html

*Treccani.it