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venerdì 23 febbraio 2018

Il Burgkofel di Lothen, il luogo del cinturone dell'Offerta a Hepru






Sulla destra orografica del fiume Rienz-Rienza nel Comune di Sankt Lorenzen – San Lorenzo di Sebato sorgono le frazioni di Sonnenburg-Castelbadia, Fassing–Fassine e Lothen-Campolino. Partendo dal tracciato che dalla statale, a piedi, porta verso Fassing-Fassine, il primo sguardo incontra una falesia che costituisce la roccia a monte della quale sorge quello che oggi è denominato il Burgkofel di Lothen ad un’altitudine di 961 metri s.l.m. La piccola frazione con soli 40 abitanti è compresa territorialmente  fra due cappelle, quella di Santa Maria e quella di San Nicolò. La parete a strapiombo che l’ha resa nota è volta verso sud ovest, ed oggi è una palestra di arrampicata, ma la sua fama è dovuta ad un ritrovamento eccezionale, avvenuto a seguito di lavori di rifacimento stradale, a cavallo fra il 1939 ed il 1940, quando vennero ritrovati tutta una serie di oggetti di bronzo e ferro, fra cui fibule, collane, bracciali oltre a briglie ed a una spada. 




Spada in ferro con rappresentazioni di maschere celtiche, ritrovata a Lothen- Campolino. Fattura pregiata di La Tène  Museo Mansio Sebatum, Sankt Lorenzen-San Lorenzo di Sebato (BZ)



Ma l’oggetto più importante è senza dubbio un cinturone oggi custodito al Museo Mansio Sebatum e costituito da una lamina in bronzo che presenta due facce, una con iscrizione in lingua retica e l’altra con decorazione di due cervi rivolti verso destra. Misura 34 cm per 12,5 cm, il primo cervo più grande mostra un grande palco di corna e si sta nutrendo, il secondo posto sulla sinistra della lamina invece, seppur mostri caratteristiche maschili è dotato di grandi orecchie di cerva ed annusa il posteriore del primo animale. Sul rovescio della lamina l’iscrizione fu tradotta dal Prof. Alessandro Morandi, uno dei massimi esperti di lingua etrusca e quindi, di lingua retica. L’iscrizione recita:

XANUEL SURIES KALA HEPRU ?IA? ?IL KLUNTURUS             

XANUEL SURIES dedica a HEPRU un opera di KLUNTURUS



Non è ancora chiaro se Hepru fosse una divinità o una persona di alto rango. L’iscrizione del cinturone di Lothen una delle più lunghe trovate sinora ci mostra come le genti alpine locali entrarono in contatto, fra il VI° e V° secolo a.C. con genti dell’Etruria padana e sin dal V° secolo a.C. si assistette all’uso dell’alfabeto che sarà poi definito ‘alfabeto retico nord Etrusco di Bolzano’. E contrariamente a quanto si è spesso affermato l’utilizzo dell’alfabeto da parte di genti retiche appartenenti alla Cultura di Fritzens- Sanzeno è collocabile sia antecedentemente rispetto alla discesa dei Celti-Galli sia precedentemente rispetto alla frammentazione dell’Etruria padana. Ed infine non meno importante, le attestazioni di Livio che conferma l’origine etrusca dei Reti si allinea con le scoperte sinora fatte, mentre le dichiarazione di Plinio riguardo una fuga dei Reti dalle Alpi a seguito delle ondate galliche non ha riscontro archeologico. La scrittura era usata soprattutto per iscrizioni sacre e di ambito religioso e l’iscrizione di Lothen è anche la più antica dell’ambito alpino-dolomitico e si può collocare anteriormente a quelle di Lagole in Veneto e Sanzeno in Trentino. Il soggetto dell’incisione inoltre è collegabile ad altre incisioni simili nell’ambito artistico etrusco, in cui cervi sono stati incisi in posizioni analoghe.

La falesia di Lothen-Campolino vista dalla strada che conduce al Burgkopf attraverso 
Fassing-Fassine



Il paesaggio che conduce alla frazione di Fassing-Fassine e successivamente a quella di Lothen-Campolino


Sopra la cappella di Santa Maria all'inizio della frazione di Lothen - Campolino, sotto la cappella di San Nicolò che sorge su un promontorio all'interno della proprietà della famiglia Stadler
In lontananza la cappella di Kniepaß fatta edificare sempre dalla famiglia Stadler e dedicata a Santa Margherita



Il Burgkofel di Lothen

Inizialmente i reperti in mancanza di adeguata sorveglianza furono trafugati e venduti finendo sul mercato tedesco. Fu solo negli anni ’80  che grazie all’archeologo Reimo Lunz si poté rintracciarli e riportarli nel loro luogo di origine. Risalgono ad un periodo compreso fra il 450 ed il 370 a. C. per forma e foggia riconducibili alla Cultura di La Tène, appartengono ad un abbigliamento tipico del V° e IV° secolo a.C. La Cultura di La Tène ebbe come caratteristica una produzione metallurgica di valore con manufatti di pregio abbelliti da decorazioni accurate e particolareggiate. Inizialmente si pensò che questi oggetti potessero derivare da una frana della sommità del colle soprastante, ma la tesi più accreditata rimane quella del Prof. Hubert Stemberger che li definì come parte di un’offerta votiva alla piccola sorgente poco distante. Possiamo dedurre quindi che il deposito fosse un luogo di culto collettivo, collegato al resto del villaggio da diversi sentieri.









 Dalla sommità del Burgkofel, davanti uno strapiombo e la vista della Rienz-Rienza


La sommità del colle ha mostrato a seguito di scavi successivi resti di insediamenti e fortificazioni appartenenti a secoli diversi, sebbene i primi insediamenti risalgano all’Età del Rame come un po’ in tutte le zone del Comune (2600-1850 a.C). Abbiamo testimonianza che il Burgkofel di Lothen divenne anche un castrum a partire dal IV° secolo d.C., cioè un insediamento fortificato la cui parete nord era rafforzata da un’alta muraglia e da un profondo fossato. Di quell’insediamento faceva parte anche una necropoli e con probabilità anche una chiesa paleocristiana ma di cui al momento non se è ancora rilevata traccia. Ma soprattutto e ancora oggi parlare di Lothen significa ricordarne il suo cinturone e l’Offerta a Hepru.









Immagini 1 e 3 Museo Mansio Sebatum
Immagini altre tratte dall’archivio personale

Bibliografia e sitografia

*Ferruccio Bravi I Reto Etruschi, Centro di Documentazione Storica per l’Alto Adige 1975
*Rafaela Costantini  Sebatum, L'Erma Di Bretschneider, 2002
*Christian Terzer  Sebatum sulle Tracce dei Saevati – Guida al Museo
*Hubert Stemberger  San Lorenzo di Sebato, Editore Associazione Pro Loco di San Lorenzo di Sebato 1991 
*Mio articolo del 2017: St. Margareten- Kniepaß - St Lorenzen, Dea Ambeth (celtica)


sabato 3 febbraio 2018

La Dea Serpente di Bianco Cristallo






Nella borgata di Taisten—Tesido, una delle due che, insieme a Welsberg—Monguelfo, la borgata maggiore, compongono il Comune di Welsberg—Taisten, parte della Pustertal—Val Pusteria, si estende un altipiano baciato dal sole, la cui esistenza si perde nella memoria del tempo. Da sempre, quel luogo è stato considerato una terra di pura benedizione. Si tratta dell’Alpe di Taisten, situata ai piedi del Rudlhorn—la Roda di Scandole, che, insieme al Lutterkopf—Monte Luta e al Durrakopf—Monte Salomone, incornicia l’area in un quadro di bellezza e quiete.

Quel luogo era, più di ogni altro, il Regno della Regina di quei boschi e di quei prati, bianca come la neve, trasparente come il cristallo. La Regina Serpente era la Signora della buona sorte e della prosperità, Colei a cui i valligiani si rivolgevano con fiducia, portando offerte di latte freschissimo o conducendo direttamente il bestiame a pascolare su quegli alpeggi, durante le giornate più calde dell’anno. Al ritorno, ogni allevatore avrebbe visto aumentare la produzione di latte e dei suoi derivati, garantendo così un migliore sostentamento alle famiglie del villaggio. Anche i raccolti sarebbero stati abbondanti, i cereali per il pane di qualità eccellente, e il miele, dolcissimo, prodotto in gran quantità dalle laboriose api. Accudite con cura dagli abitanti, esse avrebbero donato non solo il nettare per addolcire i cibi, ma anche un rimedio prezioso contro i malanni portati dall’inverno.

La Signora dei Serpenti era bellissima: il suo corpo, possente nel diametro oltre che lungo e sinuoso, era candido e vitreo come ghiaccio. Sulla sua testa spiccava una corona d’oro. Custode di grandi tesori, soprattutto delle forze benefiche della terra, la si poteva scorgere mentre, seguita da altre serpi, si avvicinava a un corso d’acqua o indugiava, sonnecchiando all'ombra di un masso o in un anfratto. Chiunque l’avesse incontrata sapeva che, mantenendo la giusta distanza e portando con sé solo pensieri benevoli, quella stessa benevolenza sarebbe stata restituita in modo tangibile attraverso i doni della terra, garantendo alla comunità benessere, pace e floridezza.

La vita scorreva rispettosa degli equilibri che governavano le stagioni e il fluire del tempo, e la popolazione viveva in quiete ed armonia. Finché, un giorno, giunse da terre lontane un uomo. Lo straniero, dal fare grezzo e rude, non passò inosservato nel villaggio, né lo fecero le sue parole, che echeggiarono cupe nelle orecchie dei pacifici abitanti: «So che qui dimora una Regina dalla corona d’oro» tuonò «E io sono venuto per ucciderla. So che è il male, che con le sue spire può togliere la vita, ed io ho giurato al mio re di portargli la sua corona.» Intorno a lui si radunò un capannello di persone, incuriosite ma più che altro intimorite. Poco più dietro si levò una voce: era quella di un’anziana del villaggio che, sorretta dal suo bastone, esordì con fermezza: «Tu, straniero, che giungi da così lontano, porti con te pensieri violenti, che non ci appartengono, e soprattutto dimostri di non conoscere nulla della nostra Regina. È vero, le sue spire potrebbero stritolarti, ma solo se minacciata. Sei stato ingannato. Torna dal tuo re e riferiscigli che questa è una comunità serena, e che la nostra Regina è fonte di prosperità e pace.»

L’uomo rimase ammutolito. Sapeva bene quanto fosse preziosa la corona, e non voleva presentarsi a mani vuote al cospetto del suo signore. Capì anche che la gente del luogo, però, non gli avrebbe permesso di portare a termine il suo compito. Decise dunque di tornare dal suo re, ma non certo con l’idea di abbandonare il suo intento.

Le stagioni si susseguirono, e la vita della comunità continuò a scorrere armoniosa, cadenzata dal ritmo immutabile del tempo. Ma un giorno, lo straniero fece ritorno. Non era solo: al suo fianco marciavano altri guerrieri. La comunità non era abituata a combattere, fu facile avere la meglio su di loro uccidendo tutti. Salirono poi all’Alpe per cercare la Regina dei Serpenti e tutte le serpi che vi abitavano. 

La battaglia fu lunga e cruenta, gli uomini rimasero accampati per giorni, determinati a sterminare tutte le serpi. Agirono con la fierezza ignobile di chi devasta senza comprendere, spinti dalla cupidigia, mossi dalla ferocia bellicosa a cui erano stati educati. Tornarono infine dal loro re con il trofeo promesso: la corona d’oro. Da quel giorno, nessuno sentì mai più parlare di loro. La zona rimase desolata, spogliata di uno dei massimi simboli di conoscenza, saggezza e prosperità. Eppure, la memoria della sua impronta di regalità, buon auspicio, rinnovamento e fortuna sopravvisse nel tempo. Tanto che nei secoli, in Valle, un bastone a forma di serpente venne usato sino al XX secolo per annunciare i matrimoni nelle case. Quel bastone, forse inconsapevolmente, ha ricordato fino a tempi recentissimi il Culto della Dea Serpente, Signora di ricchezza, felicità e benessere.





Note

Un paio di anni fa, in maniera del tutto fortuita, mi imbattei nell’immagine del bastone di cui parlo nel racconto. Nel tempo, analizzando leggende locali, non lessi nulla che fosse privo di contaminazioni successive, pressoché totali, che distoglievano la narrazione dalla vera natura della Dea Serpente. Inoltre, non trovai riferimenti diretti che potessero correlarsi a quell’oggetto tanto significativo, verosimilmente eredità e testimonianza di un antichissimo Culto dedicato a questa Divinità. Il suo utilizzo, ufficialmente riconosciuto, ha mantenuto viva quella Tradizione, sebbene in modo discreto e silente. Con il tempo, vi si sono sovrapposte nuove letture simboliche e religiose, ma il semplice gesto di annunciare i matrimoni contadini con una verga serpentina ha continuato a legare gli abitanti della Pustertal—Val Pusteria ai concetti di rinnovamento e prosperità della Signora dei Serpenti.

Questa narrazione nasce come omaggio al paese in cui vivo oramai da anni, alla sua gente e all’Antica Cultura di questa Terra. Taisten—Tesido, la più antica delle due borgate che formano il Comune, custodisce tracce di un passato remoto, con ritrovamenti archeologici che suggeriscono la presenza di luoghi di culto preistorici.

A questa ispirazione si è aggiunta la lettura della leggenda della Wipptal—Alta Valle Isarco, Il Serpente Bianco di Brunamaria Dal Lago, che ha suscitato in me il desiderio di dedicare un racconto a questa zona. Un racconto che attingesse non solo alle conoscenze archeologiche ma anche alla rappresentazione serpentiforme come elemento di culto e tradizione precristiana, con un significato ben diverso da quello attribuitole in tempi più recenti.

Questa leggenda, ispirata alla versione di J. A. Heyl, mette in luce un aspetto che la stessa autrice sottolinea in una nota del medesimo libro, seppur riferendosi a un altro racconto: molte narrazioni hanno perso nel tempo quella che viene chiamata la magia dei racconti di montagna. È risaputo che in molte storie giunte fino a noi si sia smarrito il senso originario del racconto, frutto di una cultura profondamente diversa dalla nostra. In essa, il serpente non era affatto una figura malvagia né tantomeno un simbolo diabolico, come tramandato dalla concezione cristiano — cattolica, ma piuttosto un portatore di fortuna e benessere. Questa trasformazione ha alterato la percezione stessa del mito, offrendoci una lettura lontana dalle sue vere radici e privando le storie della loro autentica essenza simbolica e interpretativa.

Così l’Alpe di Mittewald de Il Serpente Bianco è diventata l'Alpe di Taisten, e il mio racconto segue il filo di molte leggende delle valli circostanti: l’arrivo di uno straniero, non solo forestiero, ma portatore, spesso, di una cultura bellicosa e patriarcale. Il contatto tra la cultura autoctona europea e quella nuova inizialmente portò a una fusione di usi, riti e conoscenze pregresse. Con il tempo, però, questa sintesi venne progressivamente sostituita da una visione completamente diversa, che risemantizzò il valore simbolico e strutturale di culti, oggetti e rituali.

In alcune aree, particolarmente radicate nelle proprie tradizioni più autentiche, questo processo avvenne solo in parte. In questo caso specifico, infatti, per quanto riguarda l' oggettistica e la ritualità, le antiche tradizioni non sono andate completamente perdute. Anzi, in questo raro esempio del "bastone—serpente", si conserva ancora intatta la sacralità del rito di passaggio, strettamente connessa al suo significato simbolico.

Il matrimonio, che coinvolgeva l’intera famiglia, iniziava già con l’invito: il cerimoniere andava di casa in casa annunciando la celebrazione. Ricordiamo che quest'unione, sino al XIX secolo, e anche più tardi, nelle zone rurali e montane era vista e vissuta non tanto come il gesto romantico che gli attribuiamo oggi. Era anzitutto un patto sociale, il legame tra due individui che avrebbero assicurato quel ricambio generazionale, il quale diveniva vincolo essenziale a garanzia del sostentamento per la comunità tutta.






Immagini

* 1. Tratta da internet. Autore sconosciuto. Se sei l’autore dell’immagine pubblicata e desideri che venga aggiunto un credito o che l’immagine venga rimossa, ti prego di contattarmi.

* 2. Proprietà del Stadtmuseum Bozen—Museo Civico di Bolzano

Bibliografia

* Dal Lago Bruna Maria, Fiabe del Trentino Alto Adige, Mondadori 1997