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giovedì 31 marzo 2016

Trumusiate Sainate, la Divinità del Santuario di Lagole (Calalzo di Cadore, BL)





Lagole di Calalzo si adagia sulla riva destra del Piave, immersa in un’area di straordinaria importanza storica e naturalistica. Per raggiungerla, bisogna allontanarsi dall’abitato e inoltrarsi tra le conifere, seguendo il sentiero che conduce ai bacini lacustri. Fu un luogo di culto frequentato, con certezza, tra il VI secolo a.C. e il IV secolo d.C. È considerato il sito archeologico più importante dell’Alto Bellunese, noto anche come la Fonte della Civiltà del Cadore. Si tratta di uno degli insediamenti più rilevanti dell’Antica Civiltà Veneta, secondo solo a quello di Este, nei pressi di Padova. Un unicum per l’archeologia contemporanea, poiché in esso si intrecciarono le Culture dei Venetici, dei Celti e dei Romani, rendendolo un crocevia di Popoli e Tradizioni.


1. Laghetto delle Tose, Lagole di Calalzo (BL)

Catubrium, l’antico nome di origine celtica del Cadore, designa un’area abitata stabilmente in origine dalle Genti Paleovenete, che parlavano una lingua da cui deriva il toponimo stesso. Successivamente popolato da Celti e poi dai Romani, il territorio, ricco di acque solforose, fu utilizzato per secoli dalla popolazione locale per curare patologie dermatologiche e favorire la cicatrizzazione delle ferite fino al IV secolo d.C., quando i culti pagani vennero proibiti

Giovanni Pais Becher, ricercatore auronzano, nel suo libro Il Cadore degli Emigranti evidenzia come coloro che egli definisce Catubrinos, fossero una Popolazione con Cultura e Tradizioni proprie, affini a quelle di altre comunità montane nel mondo.



2. Riproduzione di panoplia celtica


I Celti, secondo l'antico storico greco Polibio, come riportato nelle sue Storie (II, 17), differivano poco dai Veneti per usi e costumi, ma parlavano una lingua diversa. I rapporti stabili tra queste due popolazioni sono confermati da numerose testimonianze archeologiche.

Gli ultimi ritrovamenti e le più recenti scoperte, presentati nella mostra Venetkens — Viaggio nella Terra dei Veneti Antichi, ospitata nel 2013 al Palazzo della Ragione di Padova, raccontano di Antichi Veneti stanziati nella zona pianeggiante e collinare della regione. Questi erano alleati dei Romani e proteggevano il territorio di confine dall’avanzata di alcuni gruppi di Celti che premevano da nord. Fu proprio verso nord che, già nel VI secolo a.C., una parte dei Paleoveneti scelse di migrare, spinta dalla ricerca di minerali, dalla pastorizia e dalla necessità di sviluppare scambi commerciali e culturali. La storia della zona di confine, però, come narrano diversi ricercatori e storici locali, cela molte altre vicende ancora da approfondire.

Nell’edizione del 1940 del suo Storie del Popolo Cadorino, Giuseppe Ciani racconta che i Catubrinos, distaccatisi dai Reti, scesero lungo l’Adige e la Valsugana, attraversarono Feltre e Belluno, seguirono il corso del Piave e si insediarono ai piedi delle Marmarole e dell’Antelao, mescolandosi con tribù precedenti come gli Embrodunci e gli Aurunci.

Un’antica leggenda, riportata da Gianni Pais Becher, narra invece di un Popolo che, guidato da Re Ebrod, fuggì dall’Asia e seguendo il corso del Danubio, della Drava e della Rienza, giunse fino a Landro (Alto Adige), Misurina (Veneto) e nella Valle dell’Ansiei (Veneto). Questo popolo padroneggiava la metallurgia, conosceva la scrittura e scelse di stabilirsi tra le crode del Cadore, attratto dall’abbondanza di selvaggina e minerali, oltre che dalla bellezza incontaminata del territorio. Inoltre, rappresentava l’unico luogo tranquillo incontrato nel lungo cammino dal Caucaso alle Alpi.

Sul piano storico, gli Atti del Convegno tenutosi a Isola della Scala (VR) nel 2005, dedicato ai Venetici, confermano attraverso l’onomastica delle iscrizioni di Lagole che la presenza dominante in quell’area fosse costituita dai Celti.


3. Riproduzione di guerriero celtico con cavallo
                                      

I Celti esportarono modelli artigianali e culturali verso il mondo venetico, che si rivelò estremamente ricettivo agli stimoli esterni. Ne sono esempio le fibule ispirate a quelle Tardo—Hallstattiane o appartenenti alla Cultura di La Tène Antica. La mobilità delle genti favorì l’amalgamarsi di gusti e stili di lavorazione.

Anche i famosi Tre Ciottoloni Padovani — pietre di forma ovoidale con iscrizioni, rinvenute sia in contesti funerari che non funerari — testimoniano come, all’interno del tessuto sociale, i Celti immigrati abbiano dato origine a nuove generazioni di Venetkens, contribuendo così alla formazione di nuove linee di discendenza.



4. Mostra — Venetkens Viaggio nella Terra dei Veneti Antichi, 2013. Due dei tre Ciottoloni


Più a nord, nell’Alto Bellunese, i Celti raggiunsero la zona cadorina tra il IV e il III secolo a.C. Le necropoli di Lozzo testimoniano una presenza ancora più antica: gli oggetti rinvenuti risalgono addirittura all’VIII secolo a.C. (periodo Hallstattiano), mentre le sepolture più recenti appartengono al periodo di La Tène (III secolo a.C.—I secolo d.C.), come quelle di Pozzale, frazione di Pieve di Cadore. Tracce della loro presenza emergono anche dal deposito votivo di Vallesella di Domegge e dal santuario di Lagole di Calalzo.





  5.  6. Particolari di riproduzione di spada ed elmo celtico 


Le prime scoperte archeologiche a Lagole risalgono al periodo tra il 1949 e il 1952, quando fu rinvenuta una stipe votiva ricca di materiale figurativo ed epigrafico. Il ritrovamento si deve a Giovan Battista Frescura, operaio di un’occhialeria di Calalzo, che in seguito divenne assistente della Soprintendenza.

Oltre 600 reperti, oggi conservati presso il MARC — Museo Archeologico Cadorino, nel Palazzo della Magnifica Comunità di Cadore a Pieve di Cadore, testimoniano l’importanza di questo sito sacro. Lo studio del santuario fu avviato da Enrico De Lotto, che inizialmente collaborò con Frescura, e successivamente approfondito da Giulia Fogolari — tra le più autorevoli studiose della Civiltà dei Veneti Antichi — e da Giovanni Gambacurta della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto. Le loro ricerche hanno permesso di inserire Lagole all’interno di una più ampia rete di relazioni culturali tra la zona padano—adriatica e il versante alpino orientale. Negli anni ’50, il libero studioso di topografia antica Alessio De Bon si dedicò all'analisi del territorio, scoprendo che Lagole si trovava lungo un importante asse viario che collegava Feltre all’Alta Pusteria, proseguendo fino al Norico. Tra i riferimenti principali di questo tracciato figurava l’antica Littamum, l’attuale San Candido.

Le prime testimonianze votive, risalenti alla seconda metà del VI secolo a.C., comprendono oggetti tipici della Cultura di Hallstatt, diffusi in tutta l’area alpina orientale e giunti anche in territorio venetico. Inoltre, la presenza di panoplie di foggia celtica, databili tra il IV e il II secolo a.C., suggerisce l’esistenza di un insediamento celtico di probabile origine carnica. Questa ipotesi è avvalorata sia dai numerosi nomi celtici incisi nelle dediche votive, sia dallo stesso toponimo Cadore, che secondo il linguista Giovan Battista Pellegrini, deriverebbe dal gallico con il significato di colle della battaglia. Il nome farebbe riferimento a un insediamento fortificato situato sul Monte Ricco, a Pieve di Cadore, da cui si sarebbe poi esteso all’intera regione.

Oltre a essere santuario, Lagole fu anche un centro di aggregazione, come dimostrano le numerose dediche pubbliche che attestano l’esistenza di una Teuta, una comunità istituzionalmente organizzata. Questo suggerisce che il sito non fosse solo un luogo di culto, ma anche un punto nevralgico per la vita politica e sociale della regione.


7. Acque rosse solforose


A Lagole veniva venerata Trumusiate (o Tribusiate in latino) Sainate, Divinità associata al potere terapeutico delle acque, la cui efficacia è stata confermata anche da analisi medico—chimiche. Il sito si trovava in una località modellata da torrentelli, sorgenti e polle d’acqua, alimentate dal bacino meridionale del Monte Antelao. Qui sono presenti tre laghetti, il maggiore dei quali è il Laghetto delle Tose (delle ragazze, in dialetto veneto). L’odore sulfureo è percepibile nell’aria, mentre la vegetazione circostante risulta rigogliosa e accogliente.

Ubicato lungo un importante asse viario che collegava il nord alla pianura e i monti al mare, non era frequentato solo dagli abitanti del luogo, ma anche da mercanti, pastori e militari, come attestano alcuni ritrovamenti già menzionati. Come in tutta la Cultura Venetica, la scelta del luogo sacro avveniva con criteri precisi: il santuario doveva sorgere in un bosco, vicino a una fonte d’acqua, ed essere delimitato da cippi iscritti in venetico o da strutture murarie. L’alfabeto utilizzato nella zona di Calalzo presentava elementi comuni sia con quello di Este che con quello di Bolzano. Tra i rituali praticati, erano previsti sacrifici animali — prevalentemente ovini, caprini e suini — le cui ossa, insieme ad altri oggetti rituali, venivano offerte alla Divinità.

Il nome Trumusiate contiene nella radice il numero tre (tr-), mentre l’elemento mus- richiama il legame con l’umidità e con l’acqua di quest’area. A Lei, con i titoli di: Triforme, Triplice o Tre volte invocata, si rivolgevano richieste di grazie e favori, per sanare le ferite dei soldati di ritorno dalla battaglia e per propiziare una nascita.

Le offerte votive rinvenute nella stipe di Lagole comprendono diversi manufatti, tra cui i simpula o simpuli, mestoli rituali di origine etrusca, ampiamente diffusi nelle Alpi Centrali e Orientali nell’Età del Ferro. Questi strumenti erano utilizzati per compiere libagioni, bere l’acqua curativa e aspergersi il corpo partendo dalla testa. L’acqua veniva raccolta in situle o situli, tipici recipienti in bronzo dalla forma di secchio, caratteristici della Cultura autoctona. Il Culto dell’Acqua era centrale perché essa rappresentava sia la Vita che la Morte.

Tra gli strumenti divinatori utilizzati nel santuario vi erano le sortes, piccole ossa di maiale o monetine impiegate per predire il futuro: le donne chiedevano quanti figli avrebbero avuto, gli uomini se fossero tornati vittoriosi da una guerra. Le offerte votive come i simpuli, le spade e le armi, venivano incise con iscrizioni di dedica alla Divinità e prima di essere affidate all’Acqua Sacra, venivano defunzionalizzate, ossia spezzate, affinché nessun altro potesse riutilizzarle.

Ma la sacralità di Lagole non era destinata solo alla guarigione delle persone. Anche il cavallo, animale totemico della Civiltà Paleoveneta, trovava qui un luogo di cura e protezione. Robusto e veloce, il cavallo veneto era rinomato in tutto il Mediterraneo e apprezzato per le sue qualità. Oltre a essere un elemento chiave dell’economia e un prezioso alleato in guerra, meritava anch’esso offerte votive, come attestano le lamine dedicate alla sua salute. In alcuni casi, queste lamine potevano addirittura sostituire il sacrificio dell’animale.


8. Riproduzione della lamina che ritrae un cavallo con iscrizione venetiche, entrata del Santuario di Trumusiate


Trumusiate Triplice richiama, inoltre, il Culto della principale Divinità Venetica: Reitia, chiaramente femminile, nota anch’essa con gli appellativi di Sainate (sanante) e Pora (Signora delle fonti).  Governatrice dell’Acqua, ma anche della Terra e del Cielo, era definita Potnia Theron (dal greco, Signora degli Animali). Le affinità tra le due figure fanno ipotizzare un’omogeneità di Culto, con nomi diversi ma dal medesimo significato. Tuttavia, ad oggi, non vi è assoluta certezza che Trumusiate fosse una Divinità femminile, sebbene la Cultura da cui proviene, di chiara matrice Matriarcale, lo suggerisca. Un indizio significativo proviene da una rara lamina decorata a sbalzo con tre teste.

Nelle prime fasi di ricerca, Trumusiate fu associata a Ecate e ai suoi tre poteri — Vita, Salute e Morte — ma questa ipotesi fu presto scartata. In epoca romana, tuttavia, al Culto della Dea Sanante subentrò quello di Apollo, anch’egli Dio della Medicina, che finì per sostituirsi nelle dediche votive dei pellegrini. Del resto, la romanizzazione dell’area alpina orientale, iniziata con la fondazione della colonia di Aquileia nel 181 a.C. e conclusasi nel I secolo d.C., portò a un’integrazione pacifica tra le popolazioni locali e i nuovi Culti, che vennero assimilati e successivamente sostituiti.

Emblematico è il caso di Delfi, inizialmente consacrato a una Dea, poi divenuto il principale santuario di Apollo, tracciando com'era tipico di quel periodo storico, un percorso devozionale dal femminile al maschile. A Lagole, l’assenza di statue femminili dedicate alla Divinità, fatta eccezione per la placchetta a tre teste, ha sollevato dubbi sulla sua reale natura. Tuttavia, si è ipotizzato che gli abitanti del luogo traessero il mito direttamente dalle forze naturali circostanti, trasformandole poi in entità divine.

Ciò che è certo è che, anche in epoca romana, il simpulum rimase l’oggetto più rappresentativo dei riti offertori. Un’altra ipotesi sostiene invece che il Culto di Trumusiate fosse legato a un Dio, come sembrerebbero indicare i numerosi ritrovamenti di statuette raffiguranti soldati o singole parti anatomiche — braccia, gambe — offerte alla Divinità come segno tangibile della richiesta di guarigione. Tuttavia, considerando che i Romani giunsero per ultimi nella regione e che le Popolazioni Paleovenete erano strettamente legate a Reitia, la mia opinione personale propende per la prima ipotesi, ovvero che si trattasse di una Divinità Sanante Femminile. Questa interpretazione è suffragata anche dalla guida del Museo Archeologico del Cadorecon cui ho intrattenuto un'interessante dialogo. 

Oltre alla guarigione, un’altra richiesta frequentemente rivolta a Trumusiate era la fecondità: lo testimoniano le numerose statuine itifalliche e i ritrovamenti di corni di montone e cervo, simboli rituali legati a questo tema. Il corno, infatti, era assimilato al fallo in erezione, e anche in questo caso il Culto di Reitia presentava affinità con quello di Trumusiate


9. Riproduzione di spade defunzionalizzate e affidate all'acqua

10. Particolare di riproduzione di incisione

11. Riproduzione di simpuli


Il Culto della Divinità Sanante, con caratteristiche analoghe a quella di Lagole, è attestato anche in altri due Santuari: Bad Bergfall—Bagni di Pervalle, situato a Geiselsberg—Sorafurcia, frazione di Olang— Valdaora in Alta Val Pusteria (Provincia di Bolzano), e nella Valle della Gail, in Carinzia, presso Gurina. Questi bagni termali sono ricchi di solfati, sali minerali, calcio e magnesio; erano noti fin dall’antichità per le loro proprietà curative. Nel 1840 sono stati riportati alla luce i resti di una piscina termale, oltre a numerose offerte votive agli Dei risanatori e alle Ninfe delle Acque. Tali doni venivano lasciati in segno di ringraziamento per la guarigione di disturbi di natura reumatica e sciatica, patologie femminili, malattie della pelle e delle vie respiratorie.

I Fanes, mitologica popolazione di cui Karl Felix Wolf, agli inizi del Novecento, tramandò le ultime memorie, le cui radici affondano in un immaginario narrativo che si sviluppò lungo un’ampia fascia territoriale, estendendosi oltre il confine dolomitico fino alle pianure che digradano verso il mare Adriatico. Se esiste, del resto, un territorio che ha rappresentato un crocevia di culture e di genti differenti è proprio quello tra i Monti Pallidi e il bacino del Mediterraneo, dove si incontrarono Venetici, Euganei, Istriani e Celti, in particolare quelli insediati lungo il bacino della Drava. Questo intreccio di Popoli, Culture, Tradizioni ed Idiomi risulta rappresentato benissimo presso Lagole, che testimonia parentele di Culto e di Divinità fra l’attuale Este, nel padovano, e la Carinzia austriaca.



  12. Polla d'acqua
                             

Le Anguane, note anche come Longane, sono figure mitologiche strettamente legate a Lagole, insieme alla Divinità Trumusiate. Creature acquatiche, il loro mito si estende dalla Lombardia al Trentino, dal Sudtirolo al Friuli, fino alla Lessinia, alla Romagna, oltre che in varie regioni dell’Europa centro—orientale.

Conoscitrici del futuro e delle condizioni del tempo, talvolta bellissime e ammaliatrici, altre volte Madri dal volto più ancestrale, con lunghi seni che facevano ricadere all’ indietro per allattare i bambini nelle gerle. Vivevano in luoghi remoti e difficili da raggiungere, spesso in prossimità di fonti d’acqua. Svolgevano varie attività, prevalentemente notturne, e nella tradizione cadorina sono ricordate principalmente come lavandaie, sebbene in alcune leggende vengano descritte anche come abili filatrici. In altre, invece, assumono un significato negativo, diventando invidiose, ladre e persino assassine.

Secondo storici e antropologi, questa trasformazione negativa è legata all’arrivo del Cristianesimo, che reinterpretò la mitologia delle culture precedenti, sradicandola dal suo contesto originario e attribuendole una connotazione carica di pregiudizi. Un dettaglio simbolico di questa demonizzazione è la raffigurazione delle Anguane con zoccoli di capra, caratteristica tipica delle creature maligne nella tradizione cristiana.

Un esempio concreto di questa trasformazione iconografica si trova in un disegno di Tiziano, grande artista cadorino, che raffigurò un’Anguana così come veniva descritta nel Cinquecento, frutto della rilettura cattolica che ne accentuava i tratti demonizzati. Nei secoli, il Culto delle Acque Salutifere, radicato da oltre mille anni, fu progressivamente trasferito alla Madonna della Salute, a cui è dedicata un’antica chiesetta nei pressi di Lagole. All’interno, un altare è consacrato a Santa Lucia, protettrice della vista, e a Santa Apollonia, patrona di chi soffre di problemi ai denti. Questo legame con la salute è testimoniato anche dalla chiesa di Sant’Anna nella frazione di Rizzios, dedicata alla protezione delle donne incinte e dei neonati. Infine, il santo patrono di Calalzo è San Biagio, venerato come protettore dei malati di gola.



13. Riproduzione del disegno di un'Anguana realizzato dal famoso pittore Tiziano


Dal 2014, il Comune di Calalzo, ad opera del Sindaco Luca De Carlo e della sua Giunta, ha promosso una serie di scavi finalizzati non solo alla ricerca archeologica, ma anche alla valorizzazione del territorio dal punto di vista culturale e artistico, che, come diverse altre zone del Cadore, ha ancora molto da raccontare.

Sono stati realizzati due sentieri tematici, corredati da schede illustrative: una a carattere storico e una dedicata al mondo della leggenda. Un progetto pensato per offrire al visitatore non solo un’esperienza paesaggistica, ma anche un viaggio attraverso la storia e la mitologia locale, in un affascinante percorso nel Tempo.

Se c’è un unico punto su cui si potrebbe riflettere in merito a questa iniziativa — che rimane comunque estremamente pregevole, anche grazie alle accurate riproduzioni di reperti storici come statuine, simpuli, elmi, scudi, lance e spade — è la scelta di definire Trumusiate esclusivamente come un Dio. Alla luce delle fonti storiche e archeologiche disponibili, e considerando che nell’antichità il Culto delle Acque e della Guarigione era spesso legato a Numi femminili, sarebbe stato forse più corretto usare il termine Divinità in modo neutro, nel rispetto della Cultura originaria di Lagole, prima dell’affermarsi del Culto di Apollo in epoca romana.

Qualora non lo abbiate ancora fatto, visitate Lagole: un luogo straordinario, immerso nella natura e adatto anche alle famiglie. Qui, tra le acque, i sentieri e il silenzio carico di storia, troverete non solo un frammento di passato da riscoprire, ma forse — se vi fermerete ad ascoltare — l’eco di Trumusiate e delle Anguane, ancora pronte a darvi il benvenuto.









Immagini

* Tratte dall'archivio personale laddove con firma filigrana

* 4. Tratta da internet. Autore sconosciuto. Se sei l'autore dell' immagine pubblicata e desideri che venga aggiunto un credito o che l'immagine venga rimossa, ti invito a contattarmi.

Bibliografia

* De Falco Nicola — Kindl Ulrike, Miti ladini delle Dolomiti Ey de Net e Dolasila, Istitut Ladin Micura de Rü, 2012

* De Lotto Enrico, Una Divinità Sanante a Lagole (Calalzo di Cadore) nel III Sec. a.C., Comune Calalzo di Cadore, 2002

Fonti Locali

* MARC — Museo Archeologico Cadorino "Enrico De Lotto", Pieve di Cadore (BL)

Sitografia

* Cfr. Presa per mano attraverso Antichi Sentieri

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2016/03/presa-per-mano-lungo-antichi-sentieri.html

* http://www.magicoveneto.it/cadore/Calalzo/Calalzo-Lagole.htm

http://www.magnificacomunitadicadore.it/cadore/museo-archeologico-cadorino.php

Altre Fonti

* Gambari Filippo Maria, Bondini Anna, Poco differenti per usi e costumi: Veneti e Celti

http://www.academia.edu/19941385/Poco_differenti_per_usi_e_costumi_Veneti_e_Celti

* Pais Becher Gianni, Il Cadore degli Emigranti, Comunità Europea attraverso il Comune di Auronzo di Cadore, 2000





lunedì 28 marzo 2016

Presa per mano attraverso Antichi Sentieri





Ci sono momenti che restano impressi come soglie a una nuova comprensione. Negli anni, mi sono spesso chiesta cosa mi spinse quel venerdì 20 novembre 2009, in una giornata uggiosa che non invitava certo a uscire, a visitare un luogo sacro così particolare. Nessuna chiesa, nessuna cappella: un santuario a cielo aperto.

Abitavo soltanto da un mese sulle Dolomiti, in quel Cadore che fu la mia porta d’accesso ai Monti Pallidi. Quel giorno, senza saperlo, fui presa per mano e condotta attraverso sentieri antichi, vivi di storia, cultura, civiltà e sacralità. Fu l’inizio di una ricerca che ancora oggi continua e che mi ha portato a vivere nella Terra dove si consumarono le ultime vicende dei Fanes, la leggendaria popolazione dolomitica la cui storia si snoda tra le valli incantate del Veneto, del Trentino e del Sudtirolo.

Nel 1911 Karl Felix Wolff, colui che riportò in vita il ciclo narrativo sul tramonto della terra di Fanis e sull’epopea della sua popolazione, scrisse nella prefazione al noto Dolomiten Sagen che già un vecchio autore — di cui non cita il nome — pur senza conoscere le leggende, aveva definito la zona tra la Val di Landro e la Valle di Marebbe come una città incantata. E forse, davvero, di questo si tratta: di un luogo sospeso nel tempo, dove la leggenda continua a intrecciarsi con la realtà.

Chi leggerà troverà il risultato di un lavoro iniziato circa sette anni fa, fatto di incontri con il territorio, attraverso escursioni divenute poi lettura, studio, analisi e raccolta di appunti e riflessioni. Ogni passo ha aperto un varco, ha rivelato nuove connessioni, come in una matrioska di storia, mito e simbolismo. Perché l’ascolto genera la ricerca, e la ricerca diventa scoperta.

Così prende vita questa sezione, dedicata a un sentiero dolomitico che si estende oltre. Spazierà tra Veneto e Trentino, tra Sudtirolo e Austria, oltre i confini geografici, ma anche temporali, così come oggi li conosciamo. Un viaggio attraverso il quale accompagnare il lettore in approfondimenti su ciò che è stato, è e sarà legato a questa materia così vasta e complessa.

Gli antichi possedevano un linguaggio più profondo, un codice fatto di simboli e archetipi, una comunicazione alla quale oggi non siamo più abituati. Come sottolinea Ulrike Kindl, docente di germanistica all’Università Ca’ Foscari di Venezia: «Siamo figli dell’Illuminismo e non più capaci di decifrare le immagini e il loro potere evocativo

Eppure, quei simboli non hanno mai smesso di parlare. Negli scritti che seguiranno, affioreranno poco a poco, rivelandosi nelle leggende e nelle loro decodifiche. Vi guiderò lungo questo cammino, conducendovi non solo attraverso la storia — chiave essenziale per comprendere la cultura e le tradizioni — ma anche attraverso la mitologia, le Divinità, i segni lasciati dal tempo.

Infine, vi porterò con me in passeggiate e escursioni, in luoghi dove lo sguardo si posa su un Incanto che è ancora Incontro con qualcosa che continua a esistere, l’impronta invisibile e persistente dei luoghi sacri.






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* Tratta da internet: Monte Antelao dal Rifugio Laurin — San Vito di Cadore (Veneto, BL) Autore sconosciuto. Se sei l'autore dell' immagine pubblicata e desideri che venga aggiunto un credito o che l'immagine venga rimossa, ti invito a contattarmi.









mercoledì 9 marzo 2016

Sussulti d'Anima





Fermento interiore profondo, sono la Terra che genera e accoglie il Sorgere, il Cielo che attende il nascere del Nuovo.







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* Tratte da internet. Autori sconosciuti. Se sei l'autore di una o più immagini pubblicate e desideri che venga aggiunto un credito o che l'immagine venga rimossa, ti invito a contattarmi.





lunedì 7 marzo 2016

Intuito e Sguardi interiori





Ci sono fasi, nel corso della vita, in cui tutto sembra metterci alla prova. Frangenti di svolta, di domande senza risposte, di eventi che paiono privi di senso. Di fronte a questi attimi così preziosi, abbiamo due possibilità (ed è qui che credo risieda il vero libero arbitrio): possiamo cercare di capire, oppure ignorare, fingendo che nulla sia accaduto. Più di quindici anni fa, mi sono trovata davanti a questa scelta. E mi sono chiesta: come si fa a comprendere? La risposta è arrivata chiara: per dare un senso a ciò che accade fuori, bisogna prima guardare dentro. Perché senza questa consapevolezza, nulla può davvero funzionare. 

Non vi annoierò con il racconto del mio percorso, ma posso dirvi che ho trovato un valido sostegno nella meditazione e nell’ascolto di ciò che, più di ogni altra cosa, ci accompagna dal primo all’ultimo momento della nostra vita: il respiro. In un mondo che premia chi riesce a fare mille cose contemporaneamente, scegliere di rallentare e passare dal multitasking al monotasking è una sfida. Per noi occidentali, abituati a produrre, a correre, a riempire ogni momento di attività e frenesia, fermarsi per ascoltare ciò che davvero risuona dentro di noi può sembrare quasi innaturale. Eppure, è proprio lì che inizia la vera comprensione. Anche se, almeno all’inizio, non è affatto semplice.  

Passiamo spesso le nostre esistenze a ingurgitare azioni, come uso dire, senza percepire davvero l’emozione, che ci danno. Oppure ci troviamo travolti da emozioni che non riusciamo a ricondurre alla loro origine. Così, senza accorgercene, la nostra esistenza diventa più una fuga nevrotica da noi stessi che un viaggio di reale comprensione. Meditare significa scegliere il silenzio, ma non un silenzio di isolamento. È un silenzio che ascolta, che osserva, che studia i meccanismi della mente e le dinamiche che generano il processo degli eventi. Immaginate un bicchiere colmo d’acqua e sabbia: quella sabbia rappresenta i nostri pensieri. Se il bicchiere è in continuo movimento, l’acqua resta torbida. Ma quando si placa, la sabbia si deposita e la limpidezza riemerge. Così accade alla mente: quando il frastuono interiore si acquieta, il respiro diventa guida e si fa chiaro ciò che ci appartiene davvero e ciò che, invece, è solo una proiezione. È una questione di vibrazione.

Detto in altri termini, comprendo che per chi non abbia mai intrapreso un percorso simile è un po’ come cercare di spiegare il sapore di una mela a chi non l’ha mai assaggiata. Ma credo sia utile offrirvi almeno un piccolo sguardo su dove tutto è iniziato per me. Torniamo alla vibrazione, quella forza che possiamo percepire e che la scienza riconduce a un campo elettromagnetico, con variazioni misurabili e persino fotografabili. Non so dire con certezza cosa accada nei meccanismi più profondi dell’esistenza, ma una cosa l’ho compresa: ogni situazione ha un senso e un valore, anche quando non ci è immediatamente chiaro. 

Ogni giorno, attraverso i nostri atteggiamenti e gli incontri che viviamo, gettiamo ponti verso altri Esseri. Creiamo legami che non si esauriscono in una sola vita, ma che persistono finché l’esperienza condivisa non ha raggiunto la sua piena maturazione. Così, nell’ascolto profondo di cui parlavo, può accadere di imbattersi in visualizzazioni, déjà-vu o sogni ricorrenti, come se qualcosa dentro di noi cercasse di comunicare un messaggio. A volte queste immagini sono così vivide da sembrare reali: scene precise, emozioni intense, dettagli nitidi. E allora capita che una visione ci sembri familiare, che si trasformi e ci conduca oltre, permettendoci di vedere altro e altri. E il sentire? Il sentire è ciò che ci permette di accogliere tutto questo. È la chiave per accettare il linguaggio dell’intuito.

Abbiamo dentro di noi una capacità straordinaria, ma in Occidente ne siamo stati progressivamente privati: prima dalla cultura religiosa, poi da quella materialista. Eppure, siamo il riflesso delle nostre vicende interiori, e ciò che viviamo dentro si manifesta fuori, rendendoci esattamente ciò che abbiamo creato. Quando ho iniziato a osservare tutto questo nella mia vita, ho compreso che le nostre emozioni sono come connessioni invisibili, che attraversano spazi e tempi solo apparentemente definiti. E soprattutto, ho capito che siamo tutti interconnessi, indissociabili gli uni dagli altri. Nei sogni, nei déjà-vu, nelle visualizzazioni si nasconde un confine: la porta verso un archivio universale di esperienza. È attraverso questa consapevolezza che possiamo accedere a stati di coscienza più elevati, a una conoscenza che va oltre il tempo e oltre noi stessi.

Ma la vera questione non è questa, quanto il cammino stesso in quella direzione. Ogni giorno gettiamo ponti verso decine di persone, e questi sentieri si espandono in un tempo che è circolare, avvolto dall’Universo. Noi ne percepiamo solo una piccola frazione, ma è proprio questa frazione a essere essenziale per la nostra evoluzione. In questo viaggio, osservare la vibrazione — o, in termini più semplici, affinare l’ascolto dell’intuito — è fondamentale. Nella mia esperienza, ho incontrato in sogno e in meditazione persone appartenute a epoche lontane, attraverso immagini ricorrenti. E, in tempi sorprendentemente brevi, quei volti e quelle presenze si sono manifestati anche nella vita reale. È come varcare la soglia di una stanza inesplorata e trovare un frammento di noi stessi. È il riconoscere un’assenza, che all’improvviso si fa presenza. Sono segni che si intrecciano. Per chi non ha mai vissuto un’esperienza simile, posso solo dire che, nella maggior parte dei casi, anche l’altra persona coinvolta (se presente in questa dimensione) ha avuto riscontri onirici o da sveglio: immagini, frammenti, impressioni che si intrecciano. Ma ciò che trovo davvero straordinario non è solo il fatto che queste visioni spazio — temporali attraversino entrambi, bensì che, a volte, sia come leggere un libro insieme: uno inizia a raccontare un sogno e l’altro, riconoscendone la scena o i dettagli, prosegue il racconto.

Il cuore di tutto questo sta in un punto fondamentale: affinché tali esperienze accadano, entrambe le anime devono essere non solo pronte, ma anche realmente disposte a riprendere un discorso iniziato altrove, in un altro tempo, con una nuova forma. È un ricongiungimento che trascende il concetto di amore romantico: riguarda qualcuno con cui il cammino condiviso era rimasto sospeso.

E poi c’è la condivisione. Quando l’altro si manifesta, scegliere di raccontare ciò che si sta vivendo significa aprire una porta su un evento straordinario come il ritrovarsi. È un’occasione per entrambe le parti di riprendere un cammino di crescita e scambio, profondo e trasformativo. Ma la reazione di chi sperimenta questo incontro può variare. A volte nasce un senso di appartenenza ritrovata, un riconoscersi che conduce all’apertura e alla fiducia. Altre volte, invece, può emergere la paura: la realizzazione che l’evento riguardi anche noi nel profondo può essere destabilizzante, portando all’allontanamento. Ma anche questo è parte della propria libertà di scelta, e come tale va rispettata.

Imparate ad accogliere e ad amare il vostro intuito: vi porterà frammenti di memoria, e forse un giorno vi farà scoprire un mare di ricordi, emozioni e significati. Perché, in fondo, ogni intuizione, ogni segno, è un richiamo: un modo in cui due particelle dell’Universo si riconoscono di nuovo, anche solo per un breve istante.







Immagini

* Tratte da internet 

1. Autore sconosciuto. Se sei l'autore dell' immagine pubblicata e desideri che venga aggiunto un credito o che l'immagine venga rimossa, ti invito a contattarmi.

2. Montségur, Francia. Autrice o autore indicato: Cheeky Photography

Sitografia

* Cfr. Di Silenzi e Dialoghi

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2016/02/di-silenzi-e-dialoghi.html

* Cfr. Di Antiche Memorie

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2016/02/di-antiche-memorie_22.html

* Cfr. Di Conoscenza e Realizzazione

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2016/02/di-conoscenza-e-realizzazione.html

* Cfr. Di fenomeni esterni e di percezioni profonde

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2016/02/di-fenomeni-esterni-e-di-percezioni.html