Lagole di Calalzo si adagia sulla riva destra del Piave, immersa in un’area di straordinaria importanza storica e naturalistica. Per raggiungerla, bisogna allontanarsi dall’abitato e inoltrarsi tra le conifere, seguendo il sentiero che conduce ai bacini lacustri. Fu un luogo di culto frequentato, con certezza, tra il VI secolo a.C. e il IV secolo d.C. È considerato il sito archeologico più importante dell’Alto Bellunese, noto anche come la Fonte della Civiltà del Cadore. Si tratta di uno degli insediamenti più rilevanti dell’Antica Civiltà Veneta, secondo solo a quello di Este, nei pressi di Padova. Un unicum per l’archeologia contemporanea, poiché in esso si intrecciarono le Culture dei Venetici, dei Celti e dei Romani, rendendolo un crocevia di Popoli e Tradizioni.
Catubrium, l’antico nome di origine celtica del Cadore, designa un’area abitata stabilmente in origine dalle Genti Paleovenete, che parlavano una lingua da cui deriva il toponimo stesso. Successivamente popolato da Celti e poi dai Romani, il territorio, ricco di acque solforose, fu utilizzato per secoli dalla popolazione locale per curare patologie dermatologiche e favorire la cicatrizzazione delle ferite fino al IV secolo d.C., quando i culti pagani vennero proibiti.
Giovanni Pais Becher, ricercatore auronzano, nel suo libro Il Cadore degli Emigranti evidenzia come coloro che egli definisce Catubrinos, fossero una Popolazione con Cultura e Tradizioni proprie, affini a quelle di altre comunità montane nel mondo.
I Celti, secondo l'antico storico greco Polibio, come riportato nelle sue Storie (II, 17), differivano poco dai Veneti per usi e costumi, ma parlavano una lingua diversa. I rapporti stabili tra queste due popolazioni sono confermati da numerose testimonianze archeologiche.
Gli ultimi ritrovamenti e le più recenti scoperte, presentati nella mostra Venetkens — Viaggio nella Terra dei Veneti Antichi, ospitata nel 2013 al Palazzo della Ragione di Padova, raccontano di Antichi Veneti stanziati nella zona pianeggiante e collinare della regione. Questi erano alleati dei Romani e proteggevano il territorio di confine dall’avanzata di alcuni gruppi di Celti che premevano da nord. Fu proprio verso nord che, già nel VI secolo a.C., una parte dei Paleoveneti scelse di migrare, spinta dalla ricerca di minerali, dalla pastorizia e dalla necessità di sviluppare scambi commerciali e culturali. La storia della zona di confine, però, come narrano diversi ricercatori e storici locali, cela molte altre vicende ancora da approfondire.
Nell’edizione del 1940 del suo Storie del Popolo Cadorino, Giuseppe Ciani racconta che i Catubrinos, distaccatisi dai Reti, scesero lungo l’Adige e la Valsugana, attraversarono Feltre e Belluno, seguirono il corso del Piave e si insediarono ai piedi delle Marmarole e dell’Antelao, mescolandosi con tribù precedenti come gli Embrodunci e gli Aurunci.
Un’antica leggenda, riportata da Gianni Pais Becher, narra invece di un Popolo che, guidato da Re Ebrod, fuggì dall’Asia e seguendo il corso del Danubio, della Drava e della Rienza, giunse fino a Landro (Alto Adige), Misurina (Veneto) e nella Valle dell’Ansiei (Veneto). Questo popolo padroneggiava la metallurgia, conosceva la scrittura e scelse di stabilirsi tra le crode del Cadore, attratto dall’abbondanza di selvaggina e minerali, oltre che dalla bellezza incontaminata del territorio. Inoltre, rappresentava l’unico luogo tranquillo incontrato nel lungo cammino dal Caucaso alle Alpi.
Sul piano storico, gli Atti del Convegno tenutosi a Isola della Scala (VR) nel 2005, dedicato ai Venetici, confermano attraverso l’onomastica delle iscrizioni di Lagole che la presenza dominante in quell’area fosse costituita dai Celti.
I Celti esportarono modelli artigianali e culturali verso il mondo venetico, che si rivelò estremamente ricettivo agli stimoli esterni. Ne sono esempio le fibule ispirate a quelle Tardo—Hallstattiane o appartenenti alla Cultura di La Tène Antica. La mobilità delle genti favorì l’amalgamarsi di gusti e stili di lavorazione.
Anche i famosi Tre Ciottoloni Padovani — pietre di forma ovoidale con iscrizioni, rinvenute sia in contesti funerari che non funerari — testimoniano come, all’interno del tessuto sociale, i Celti immigrati abbiano dato origine a nuove generazioni di Venetkens, contribuendo così alla formazione di nuove linee di discendenza.
Più a nord, nell’Alto Bellunese, i Celti raggiunsero la zona cadorina tra il IV e il III secolo a.C. Le necropoli di Lozzo testimoniano una presenza ancora più antica: gli oggetti rinvenuti risalgono addirittura all’VIII secolo a.C. (periodo Hallstattiano), mentre le sepolture più recenti appartengono al periodo di La Tène (III secolo a.C.—I secolo d.C.), come quelle di Pozzale, frazione di Pieve di Cadore. Tracce della loro presenza emergono anche dal deposito votivo di Vallesella di Domegge e dal santuario di Lagole di Calalzo.
Oltre 600 reperti, oggi conservati presso il MARC — Museo Archeologico Cadorino, nel Palazzo della Magnifica Comunità di Cadore a Pieve di Cadore, testimoniano l’importanza di questo sito sacro. Lo studio del santuario fu avviato da Enrico De Lotto, che inizialmente collaborò con Frescura, e successivamente approfondito da Giulia Fogolari — tra le più autorevoli studiose della Civiltà dei Veneti Antichi — e da Giovanni Gambacurta della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto. Le loro ricerche hanno permesso di inserire Lagole all’interno di una più ampia rete di relazioni culturali tra la zona padano—adriatica e il versante alpino orientale. Negli anni ’50, il libero studioso di topografia antica Alessio De Bon si dedicò all'analisi del territorio, scoprendo che Lagole si trovava lungo un importante asse viario che collegava Feltre all’Alta Pusteria, proseguendo fino al Norico. Tra i riferimenti principali di questo tracciato figurava l’antica Littamum, l’attuale San Candido.
Le prime testimonianze votive, risalenti alla seconda metà del VI secolo a.C., comprendono oggetti tipici della Cultura di Hallstatt, diffusi in tutta l’area alpina orientale e giunti anche in territorio venetico. Inoltre, la presenza di panoplie di foggia celtica, databili tra il IV e il II secolo a.C., suggerisce l’esistenza di un insediamento celtico di probabile origine carnica. Questa ipotesi è avvalorata sia dai numerosi nomi celtici incisi nelle dediche votive, sia dallo stesso toponimo Cadore, che secondo il linguista Giovan Battista Pellegrini, deriverebbe dal gallico con il significato di colle della battaglia. Il nome farebbe riferimento a un insediamento fortificato situato sul Monte Ricco, a Pieve di Cadore, da cui si sarebbe poi esteso all’intera regione.
Oltre a essere santuario, Lagole fu anche un centro di aggregazione, come dimostrano le numerose dediche pubbliche che attestano l’esistenza di una Teuta, una comunità istituzionalmente organizzata. Questo suggerisce che il sito non fosse solo un luogo di culto, ma anche un punto nevralgico per la vita politica e sociale della regione.
Ubicato lungo un importante asse viario che collegava il nord alla pianura e i monti al mare, non era frequentato solo dagli abitanti del luogo, ma anche da mercanti, pastori e militari, come attestano alcuni ritrovamenti già menzionati. Come in tutta la Cultura Venetica, la scelta del luogo sacro avveniva con criteri precisi: il santuario doveva sorgere in un bosco, vicino a una fonte d’acqua, ed essere delimitato da cippi iscritti in venetico o da strutture murarie. L’alfabeto utilizzato nella zona di Calalzo presentava elementi comuni sia con quello di Este che con quello di Bolzano. Tra i rituali praticati, erano previsti sacrifici animali — prevalentemente ovini, caprini e suini — le cui ossa, insieme ad altri oggetti rituali, venivano offerte alla Divinità.
Il nome Trumusiate contiene nella radice il numero tre (tr-), mentre l’elemento mus- richiama il legame con l’umidità e con l’acqua di quest’area. A Lei, con i titoli di: Triforme, Triplice o Tre volte invocata, si rivolgevano richieste di grazie e favori, per sanare le ferite dei soldati di ritorno dalla battaglia e per propiziare una nascita.
Le offerte votive rinvenute nella stipe di Lagole comprendono diversi manufatti, tra cui i simpula o simpuli, mestoli rituali di origine etrusca, ampiamente diffusi nelle Alpi Centrali e Orientali nell’Età del Ferro. Questi strumenti erano utilizzati per compiere libagioni, bere l’acqua curativa e aspergersi il corpo partendo dalla testa. L’acqua veniva raccolta in situle o situli, tipici recipienti in bronzo dalla forma di secchio, caratteristici della Cultura autoctona. Il Culto dell’Acqua era centrale perché essa rappresentava sia la Vita che la Morte.
Tra gli strumenti divinatori utilizzati nel santuario vi erano le sortes, piccole ossa di maiale o monetine impiegate per predire il futuro: le donne chiedevano quanti figli avrebbero avuto, gli uomini se fossero tornati vittoriosi da una guerra. Le offerte votive come i simpuli, le spade e le armi, venivano incise con iscrizioni di dedica alla Divinità e prima di essere affidate all’Acqua Sacra, venivano defunzionalizzate, ossia spezzate, affinché nessun altro potesse riutilizzarle.
Ma la sacralità di Lagole non era destinata solo alla guarigione delle persone. Anche il cavallo, animale totemico della Civiltà Paleoveneta, trovava qui un luogo di cura e protezione. Robusto e veloce, il cavallo veneto era rinomato in tutto il Mediterraneo e apprezzato per le sue qualità. Oltre a essere un elemento chiave dell’economia e un prezioso alleato in guerra, meritava anch’esso offerte votive, come attestano le lamine dedicate alla sua salute. In alcuni casi, queste lamine potevano addirittura sostituire il sacrificio dell’animale.
Trumusiate Triplice richiama, inoltre, il Culto della principale Divinità Venetica: Reitia, chiaramente femminile, nota anch’essa con gli appellativi di Sainate (sanante) e Pora (Signora delle fonti). Governatrice dell’Acqua, ma anche della Terra e del Cielo, era definita Potnia Theron (dal greco, Signora degli Animali). Le affinità tra le due figure fanno ipotizzare un’omogeneità di Culto, con nomi diversi ma dal medesimo significato. Tuttavia, ad oggi, non vi è assoluta certezza che Trumusiate fosse una Divinità femminile, sebbene la Cultura da cui proviene, di chiara matrice Matriarcale, lo suggerisca. Un indizio significativo proviene da una rara lamina decorata a sbalzo con tre teste.
Nelle prime fasi di ricerca, Trumusiate fu associata a Ecate e ai suoi tre poteri — Vita, Salute e Morte — ma questa ipotesi fu presto scartata. In epoca romana, tuttavia, al Culto della Dea Sanante subentrò quello di Apollo, anch’egli Dio della Medicina, che finì per sostituirsi nelle dediche votive dei pellegrini. Del resto, la romanizzazione dell’area alpina orientale, iniziata con la fondazione della colonia di Aquileia nel 181 a.C. e conclusasi nel I secolo d.C., portò a un’integrazione pacifica tra le popolazioni locali e i nuovi Culti, che vennero assimilati e successivamente sostituiti.
Emblematico è il caso di Delfi, inizialmente consacrato a una Dea, poi divenuto il principale santuario di Apollo, tracciando com'era tipico di quel periodo storico, un percorso devozionale dal femminile al maschile. A Lagole, l’assenza di statue femminili dedicate alla Divinità, fatta eccezione per la placchetta a tre teste, ha sollevato dubbi sulla sua reale natura. Tuttavia, si è ipotizzato che gli abitanti del luogo traessero il mito direttamente dalle forze naturali circostanti, trasformandole poi in entità divine.
Ciò che è certo è che, anche in epoca romana, il simpulum rimase l’oggetto più rappresentativo dei riti offertori. Un’altra ipotesi sostiene invece che il Culto di Trumusiate fosse legato a un Dio, come sembrerebbero indicare i numerosi ritrovamenti di statuette raffiguranti soldati o singole parti anatomiche — braccia, gambe — offerte alla Divinità come segno tangibile della richiesta di guarigione. Tuttavia, considerando che i Romani giunsero per ultimi nella regione e che le Popolazioni Paleovenete erano strettamente legate a Reitia, la mia opinione personale propende per la prima ipotesi, ovvero che si trattasse di una Divinità Sanante Femminile. Questa interpretazione è suffragata anche dalla guida del Museo Archeologico del Cadore, con cui ho intrattenuto un'interessante dialogo.
Oltre alla guarigione, un’altra richiesta frequentemente rivolta a Trumusiate era la fecondità: lo testimoniano le numerose statuine itifalliche e i ritrovamenti di corni di montone e cervo, simboli rituali legati a questo tema. Il corno, infatti, era assimilato al fallo in erezione, e anche in questo caso il Culto di Reitia presentava affinità con quello di Trumusiate.
9. Riproduzione di spade defunzionalizzate e affidate all'acqua
Il Culto della Divinità Sanante, con caratteristiche analoghe a quella di Lagole, è attestato anche in altri due Santuari: Bad Bergfall—Bagni di Pervalle, situato a Geiselsberg—Sorafurcia, frazione di Olang— Valdaora in Alta Val Pusteria (Provincia di Bolzano), e nella Valle della Gail, in Carinzia, presso Gurina. Questi bagni termali sono ricchi di solfati, sali minerali, calcio e magnesio; erano noti fin dall’antichità per le loro proprietà curative. Nel 1840 sono stati riportati alla luce i resti di una piscina termale, oltre a numerose offerte votive agli Dei risanatori e alle Ninfe delle Acque. Tali doni venivano lasciati in segno di ringraziamento per la guarigione di disturbi di natura reumatica e sciatica, patologie femminili, malattie della pelle e delle vie respiratorie.
I Fanes, mitologica popolazione di cui Karl Felix Wolf, agli inizi del Novecento, tramandò le ultime memorie, le cui radici affondano in un immaginario narrativo che si sviluppò lungo un’ampia fascia territoriale, estendendosi oltre il confine dolomitico fino alle pianure che digradano verso il mare Adriatico. Se esiste, del resto, un territorio che ha rappresentato un crocevia di culture e di genti differenti è proprio quello tra i Monti Pallidi e il bacino del Mediterraneo, dove si incontrarono Venetici, Euganei, Istriani e Celti, in particolare quelli insediati lungo il bacino della Drava. Questo intreccio di Popoli, Culture, Tradizioni ed Idiomi risulta rappresentato benissimo presso Lagole, che testimonia parentele di Culto e di Divinità fra l’attuale Este, nel padovano, e la Carinzia austriaca.
Le Anguane, note anche come Longane, sono figure mitologiche strettamente legate a Lagole, insieme alla Divinità Trumusiate. Creature acquatiche, il loro mito si estende dalla Lombardia al Trentino, dal Sudtirolo al Friuli, fino alla Lessinia, alla Romagna, oltre che in varie regioni dell’Europa centro—orientale.
Conoscitrici del futuro e delle condizioni del tempo, talvolta bellissime e ammaliatrici, altre volte Madri dal volto più ancestrale, con lunghi seni che facevano ricadere all’ indietro per allattare i bambini nelle gerle. Vivevano in luoghi remoti e difficili da raggiungere, spesso in prossimità di fonti d’acqua. Svolgevano varie attività, prevalentemente notturne, e nella tradizione cadorina sono ricordate principalmente come lavandaie, sebbene in alcune leggende vengano descritte anche come abili filatrici. In altre, invece, assumono un significato negativo, diventando invidiose, ladre e persino assassine.
Secondo storici e antropologi, questa trasformazione negativa è legata all’arrivo del Cristianesimo, che reinterpretò la mitologia delle culture precedenti, sradicandola dal suo contesto originario e attribuendole una connotazione carica di pregiudizi. Un dettaglio simbolico di questa demonizzazione è la raffigurazione delle Anguane con zoccoli di capra, caratteristica tipica delle creature maligne nella tradizione cristiana.
Un esempio concreto di questa trasformazione iconografica si trova in un disegno di Tiziano, grande artista cadorino, che raffigurò un’Anguana così come veniva descritta nel Cinquecento, frutto della rilettura cattolica che ne accentuava i tratti demonizzati. Nei secoli, il Culto delle Acque Salutifere, radicato da oltre mille anni, fu progressivamente trasferito alla Madonna della Salute, a cui è dedicata un’antica chiesetta nei pressi di Lagole. All’interno, un altare è consacrato a Santa Lucia, protettrice della vista, e a Santa Apollonia, patrona di chi soffre di problemi ai denti. Questo legame con la salute è testimoniato anche dalla chiesa di Sant’Anna nella frazione di Rizzios, dedicata alla protezione delle donne incinte e dei neonati. Infine, il santo patrono di Calalzo è San Biagio, venerato come protettore dei malati di gola.
Dal 2014, il Comune di Calalzo, ad opera del Sindaco Luca De Carlo e della sua Giunta, ha promosso una serie di scavi finalizzati non solo alla ricerca archeologica, ma anche alla valorizzazione del territorio dal punto di vista culturale e artistico, che, come diverse altre zone del Cadore, ha ancora molto da raccontare.
Sono stati realizzati due sentieri tematici, corredati da schede illustrative: una a carattere storico e una dedicata al mondo della leggenda. Un progetto pensato per offrire al visitatore non solo un’esperienza paesaggistica, ma anche un viaggio attraverso la storia e la mitologia locale, in un affascinante percorso nel Tempo.
Se c’è un unico punto su cui si potrebbe riflettere in merito a questa iniziativa — che rimane comunque estremamente pregevole, anche grazie alle accurate riproduzioni di reperti storici come statuine, simpuli, elmi, scudi, lance e spade — è la scelta di definire Trumusiate esclusivamente come un Dio. Alla luce delle fonti storiche e archeologiche disponibili, e considerando che nell’antichità il Culto delle Acque e della Guarigione era spesso legato a Numi femminili, sarebbe stato forse più corretto usare il termine Divinità in modo neutro, nel rispetto della Cultura originaria di Lagole, prima dell’affermarsi del Culto di Apollo in epoca romana.
Qualora non lo abbiate ancora fatto, visitate Lagole: un luogo straordinario, immerso nella natura e adatto anche alle famiglie. Qui, tra le acque, i sentieri e il silenzio carico di storia, troverete non solo un frammento di passato da riscoprire, ma forse — se vi fermerete ad ascoltare — l’eco di Trumusiate e delle Anguane, ancora pronte a darvi il benvenuto.
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Bibliografia
* De Falco Nicola — Kindl Ulrike, Miti ladini delle Dolomiti Ey de Net e Dolasila, Istitut Ladin Micura de Rü, 2012
* De Lotto Enrico, Una Divinità Sanante a Lagole (Calalzo di Cadore) nel III Sec. a.C., Comune Calalzo di Cadore, 2002
Fonti Locali
* MARC — Museo Archeologico Cadorino "Enrico De Lotto", Pieve di Cadore (BL)
Sitografia
* Cfr. Presa per mano attraverso Antichi Sentieri
https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2016/03/presa-per-mano-lungo-antichi-sentieri.html
* http://www.magicoveneto.it/cadore/Calalzo/Calalzo-Lagole.htm
* http://www.magnificacomunitadicadore.it/cadore/museo-archeologico-cadorino.php
Altre Fonti
* Gambari Filippo Maria, Bondini Anna, Poco differenti per usi e costumi: Veneti e Celti
http://www.academia.edu/19941385/Poco_differenti_per_usi_e_costumi_Veneti_e_Celti
* Pais Becher Gianni, Il Cadore degli Emigranti, Comunità Europea attraverso il Comune di Auronzo di Cadore, 2000