Introduzione
La figura di Frau Trude, resa nota al grande pubblico dalla fiaba dei fratelli Grimm, affonda le sue radici nell’impianto leggendario popolare alpino. Già oggetto di mie precedenti analisi sotto le denominazioni di Alp e di Frau Drude/Trude, essa si presenta come una medesima Entità notturna declinata in forme, nomi e contesti differenti, ma riconducibile a un nucleo comune. L’ho ritrovata — enigmatica e al tempo stesso profondamente significativa — con il nome di Smara, all’interno di un racconto tratto da Storie di Magia di Brunamaria Dal Lago Veneri, scelto come primo testo a corredo di questa analisi.
Sebbene il primo racconto che prenderemo in esame provenga dall’area ladina e, in tale zona, la figura assuma spesso il nome di Trud — con tutte le caratteristiche tipiche di questa Entità — sappiamo tuttavia che essa non appartiene alla tradizione romanza tout court. La sua presenza in tali territori deriva infatti da un apporto culturale tirolese. A conferma di ciò si osserva che, mentre autori come Zingerle e Heyl ne forniscono descrizioni, gli studiosi maggiormente radicati nell’area romanza — come Alton, Schneller e Hörrmann — non sembrano registrarne affatto l’esistenza.
Struttura e diffusione del Tormento Notturno
Questo articolo sarà seguito, quindi, da una serie di storie, che hanno per protagonista sempre il Tormento Notturno, nei suoi molteplici nomi e manifestazioni. Narrazioni che, nella maggior parte dei casi, pur presentando variazioni minime nella trama, condividono un ordito simbolico comune profondamente radicato. Una struttura che, pur assumendo nomi e sfumature talvolta diverse, a seconda delle aree regionali, testimonia l’estrema diffusione di questa Figura, sin dai tempi più antichi.
Sotto i suoi numerosi appellativi, questa Presenza ricorre in forme sempre evocative, accomunate dalla costante connessione con l’angoscia che può turbare il sonno. L’excursus che segue, all’interno di questo scritto, si propone come un percorso tra le sue differenti forme nominali e territoriali, nelle declinazioni assunte nei diversi contesti regionali e culturali.
Smara
Conosciuta
attraverso molteplici appellativi (Smara,
Truta, Trota, Trud, Trude, Trute, Drude),
la Smara
appare nella maggior parte delle leggende delle vallate trentine come
una donna di bassa statura, magra e priva di particolare bellezza,
vestita di rosso e avvolta da un’aura inquietante.
In altre
versioni — come nelle valli del Primiero — assume invece
l’aspetto di donna alta, cadaverica, velata di nero, evocando un
senso chiaro e diretto di Morte. In questa forma è ancora più
temuta, poiché la sua comparsa annuncia la prossima dipartita di
qualcuno.
Qualunque
sia la sua forma, la Smara
conserva la capacità di mutare aspetto, trasformandosi in oggetti
oppure — come accade più spesso — rimpicciolendosi a piacimento
per riuscire a penetrare nelle abitazioni attraverso fessure,
preferibilmente dai buchi delle serrature o dagli spifferi sotto le
porte.
Anche quando si fa minuscola, quasi un granello di polvere,
il suo peso resta immutato: impercettibile nel passaggio, diventa
però opprimente nel momento in cui la vittima dorme supina. In quel
caso, la Smara
accresce la sua massa fino a schiacciare e soffocare la vittima
addormentata, paralizzata dal terrore.
Si salva solo chi dorme sul
fianco — soprattutto sul destro — perché così l’Entità
non riesce a portare a termine la sua opera.
L’ora
in cui arriva è, per lo più, tra la mezzanotte e l’una, quando il
sonno è già profondo.
A volte un lieve fruscio ne segnala la
presenza; più raramente alita sul volto di chi dorme, osservando con
piacere sottile, con occhi gialli come zolfo, chi — in preda al
terrore — ne realizza la presenza.
È in quel momento che si
siede sul torace e inizia a premere, divenendo insostenibile. In
altri casi, il suo arrivo è annunciato da urla selvagge, inquietanti
quanto lei.
Conteggi e scongiuri
Smara,
smarada va per i boschi e par valada,
Conta quante reste che fa el
lin,
Quante ponte che ha i spin,
Quanti assi che ha le
grave,
Quanti chiodi che ha la nave,
E quante strade ha el
Signor Idio
In prima de vegner sul leto mio.
Questo
brano, cantato nel Trevigiano — e in particolare a Castelfranco, in
Veneto — serviva a tenere lontana la Smara
dalle abitazioni.
Il tono, evocativo e incantatorio, tipico degli
scongiuri popolari, rivela la struttura di un conteggio infinito che,
secondo la Tradizione, avrebbe lo scopo di intrattenerla a lungo,
impedendole così di turbare il sonno della persona da lei
scelta per il tormento.
Oggetti, soglie e pratiche di difesa
Come accade in alcune zone del Trentino, anche qui la Creatura ha l’aspetto e le dimensioni di una bambola vestita di rosso, che si posa sull’addome del dormiente e si allunga progressivamente, per opprimerlo con maggiore efficacia. In alcune letture già cristianizzate, viene persino identificata come la moglie del Diavolo.
L’idea della conta come forma di protezione ricorre anche nel Bellunese, in particolare a Gron, dove si ritiene che dormire stringendo in mano una pannocchia di granoturco sia un efficace modo per tenerla lontana e contrastarne gli intenti.
Esistono anche altri metodi di difesa: chiudere ogni possibile pertugio della stanza, tracciare il segno della croce — anche solo con la lingua— prima di dormire, meglio ancora se con acqua benedetta, e tenere un’acquasantiera accanto al letto.
Agli angoli del letto si raccomanda sempre di collocare piccoli piattini con del sale, oppure di appendervi un ramo di ulivo benedetto la Domenica delle Palme. Anche un pane capovolto sul comodino può fungere da deterrente per allontanare la sua intrusione notturna.
In area ladina, inoltre, si usava portare sul petto, come amuleto protettivo, una piccola scarpetta rossa modellata con la cera della candela benedetta nel Giorno della Purificazione di Maria (2 febbraio).
Anche finestre e porte andrebbero protette, appendendovi croci, amuleti o altri simboli sacri, come il pentacolo protettivo inscritto nel cerchio — il Drudenfuß — già trattato nell’articolo dedicato a Frau Drude, dove ne è stata messa in luce la funzione apotropaica, ampiamente attestata in molti contesti.
Varianti regionali e metamorfosi
Un altro metodo consiste nel tenere in camera da letto una bottiglia ben tappata: si racconta, infatti, che la Smara, afflitta da incontinenza, tenti di utilizzarla durante la notte. Nel tentativo di stapparla, produrrà un rumore che ne tradirà la presenza, permettendo così alla padrona o al padrone di casa di allontanarla. Esiste però anche una variante: la bottiglia, questa volta già riempita di urina dalla padrona di casa, costringerà la Smara a manifestarsi, chiedendo di “ossigenarsi” annusandone il contenuto.
In Friuli, uno dei rimedi tradizionali per allontanare la Smara consiste nel posizionare una scopa di traverso davanti alla porta: appena la vedrà, sarà costretta a inforcarla e andarsene.
In
Veneto, e più precisamente nell’Alto Bellunese, esistono varianti
in cui la Smara
— nota anche come Smarva,
Samara, Marza, Marzà, Zaccariola,
Silvana, Druta o Pesarol — assume le
sembianze di un piccolo uomo deforme, gobbo, dal volto grinzoso e con
naso adunco. In alcuni casi può presentarsi anche sotto forma
animale: una piccola scimmia o un topo.
Solo raramente si
manifesta con sembianze femminili e, quando accade, il tormento può
assumere anche una dimensione sessuale, con un rapporto forzato
durante il sonno.
In altri contesti, come a Claut (Friuli) o a
Ponte nelle Alpi (Bellunese), la figura della Smara
trascende il genere: viene descritta semplicemente come “il Genio
vestito di rosso”.
Druta
I Cimbri — minoranza germanofona presente in Veneto in aree come l’Altopiano di Asiago e dei Sette Comuni (Vicenza), in Lessinia (Verona) e in Cansiglio (Treviso-Belluno), ma anche in Trentino nell’area dell’Alpe Cimbra (Folgaria, Lavarone, Luserna) — la chiamano Druta o Truta. Termini di sicura origine germanica, derivanti dal verbo “drutten”, con il significato di “premere” e, a sua volta originato dal termine arcaico “Drut” che significa “pressione”.
Se in casa non c’è nessuno, gli animali della stalla diventano i destinatari del trattamento oppressivo di questa Figura.
Secondo alcune Tradizioni, se non trova né esseri umani né animali da comprimere, la Smara/Trude può rivolgere le sue attenzioni anche agli alberi, ritenuti anch'essi suscettibili alla sua azione: tra tutti, le betulle sono ritenute particolarmente vulnerabili.
Appendere sulla porta della stalla un corno di caprone nero è tra i rimedi più utilizzati — nel Bellunese — per proteggere gli animali dalla morte per schiacciamento, così come attaccare sopra al letto un ramo di ulivo, pratica che ritroveremo anche in una leggenda della Val dei Mòcheni-Bernstol in Trentino, segno evidente di una commistione tra diverse tradizioni e pratiche protettive.
Il
termine Marantega,
diffuso anche in molte aree del Veneto, deriva dall’Antico Tedesco
“mar-rocheln”,
che significa “Strega che rantola”.
Con questo nome viene
indicata la creatura che si manifesta attraverso Incubi e Oppressioni
Notturne.
Fracariola
Conosciuta anche come Fracoz o Fracaroe, la Fracariola è uno Spirito maligno ben noto nel territorio di Marcon (Venezia) e in alcune zone del Bellunese. Il nome deriva dal verbo “fracare”, che significa calcare, opprimere — ed esprime bene l’azione soffocante esercitata da questa Entità.
Un consueto metodo per liberarsi definitivamente della Fracariola prevede che, nel momento in cui la vittima si trova sotto il suo influsso, stringa tra le mani qualunque cosa abbia sottomano — indumenti, lenzuola, coperte — senza badare a cosa siano. Una volta liberatosi dall’oppressione, i tessuti vanno annodati insieme, tagliati e messi a bollire all’interno di una zucca riempita di vino.
Secondo
la credenza, la donna che era venuta a “fracolar” si
presenterebbe presto alla porta, per cercare di recuperare la propria
anima, che sta soffrendo nella zucca.
A quel punto, per scacciarla
definitivamente, l’uomo dovrebbe prenderla a pugni
e legnate, come tramandato dai
racconti popolari.
Pesarol
Pesarol,
già attestato come nome dell’Incubo nell’Alto Bellunese, ricorre
anche in altre zone del Veneto, tra cui la Bassa Legnaghese, nel
territorio veronese. Contro questo Spirito notturno vestito di rosso
non esistono particolari difese se non riuscire ad alzarsi e colpirlo
a suon di sberle! Impresa tutt’altro che semplice, data la paralisi
indotta dal soffocamento che accompagna la sua presenza. Chi ne è
vittima riferisce inoltre una forte sensazione di caduta nel vuoto,
che alimenta il panico: è proprio da questa angoscia che il Pesarol
trae nutrimento, divenendo sempre più pesante sul petto del
malcapitato.
È
questa la denominazione con cui il Pesarol
è conosciuto in altre aree del Veronese, così come in alcune zone
delle province di Brescia e Trento.
Il nome affonda le sue radici
nel verbo calcare,
già preso in esame a proposito della voce Fracariole,
e richiama l’idea della pressione che opprime — tema centrale
nell’immaginario legato all’Incubo Notturno.
Premevenco
I Premevenco sono Spiriti maschili appartenenti alla vasta schiera degli Incubi, e la loro denominazione sembra derivare direttamente dal verbo “premere”. Presenze leggendarie nella zona di Borca di Cadore, trovano corrispettivi — noti con il nome di Venco — anche ad Auronzo e in altre aree del Bellunese.
Come altre figure simili, i Premevenco colpiscono durante il sonno, generando un senso di oppressione e soffocamento. A questa caratteristica comune, si aggiungono tratti distintivi: si racconta, infatti, che siano in grado di assumere la forma di api, girando vorticosamente attorno a luci accese fino a inebetire chi li osserva, per poi colpirlo. Si dice inoltre che siano creature vendicative, da trattare con estrema cautela.
A Cortina d’Ampezzo, così come in Friuli, si racconta che, per scacciarlo, sia sufficiente premersi con forza un dito della mano o del piede destro. A Santo Stefano di Comelico, invece, si preferisce l’astuzia: l’uomo indossa la camicia della donna e la donna quella dell’uomo, confondendo così lo Spirito.
Come in altri casi già esaminati, anche in queste aree vi è l’uso di recitare una filastrocca in dialetto per tenerlo lontano, invitandolo a tornare il giorno seguente per ricevere, in questo caso, pane e sale.
Tra le circostanze che attirano l’intervento di questa Stria si ricordano la mancata condizione di battezzati, l’aver ascoltato bestemmie paterne quando si era ancora nel grembo materno e, in età adulta, la pronuncia errata del Credo in chiesa.
Chalçhut, Cjalcjut, Vencul, Matrizza, Mora, Mara, Pesarul, Sbilf, Fracule: le diverse denominazioni friulane dell’Incubo
Anche il Friuli conserva una notevole varietà di nomi per indicare l’Incubo Notturno, riflesso della ricchezza linguistica e della complessa stratificazione culturale della regione. La Creatura, nella Tradizione locale, appare spesso come un ometto gobbo dalle unghie affilate che, nel cuore della notte, sale una scala appoggiata alla finestra per introdursi nell’abitazione della vittima prescelta. Questa esperienza si manifesta spesso come il terribile sogno di essere gettati a terra da un’anziana che, sedendosi sul petto del malcapitato, gli impedisce di respirare.
Varianti urbane e strategie di vincolo
Matrizza
è il termine con cui questo spirito si manifesta a Trieste. In
questo caso assume una forma animale dai lunghi piedi che, seduto sul
corpo della vittima, usa per avvolgerli intorno al collo e
soffocarla. Ma se quest’ultima riesce a ribellarsi alla pressione
notturna e a imbrigliare il demone tra le pieghe di una coperta che
gli ha gettato addosso, può minacciarlo di morte. A questa scena lo
spirito reagirà con lacrime, fingendo debolezza per suscitare
compassione. Sarà in quel momento che il perseguitato potrà
invitarlo — per avere salva la vita — a tornare il giorno
seguente per chiedere scopa e paletta della spazzatura. La proposta,
ovviamente, sarà accettata e, quando il giorno successivo si
presenterà chi verrà a reclamare ciò che era stato pattuito, sarà
accolto a bastonate e non si farà mai più vedere.
Se, inoltre,
sotto le coperte si trova qualcosa di sospetto e lo si getta nel
fuoco, oppure lo si affoga in una bacinella d’acqua — ad esempio
un piccolo pezzo di legna carbonizzato — chi ha inviato il Cjalcjút
muore immediatamente.
Riconoscimento ed eliminazione
In altre versioni viene ricondotto alla figura di un orso o di una scimmia. Per liberarsi dall’influsso del Vencu basta ordinargli — non appena se ne percepisce la presenza — di sedersi su una pietra fuori da casa e mettersi a filare; finché non gli si darà licenza di allontanarsi, lo Spirito rimarrà vincolato a quell’ordine. Secondo varianti diverse, invece, l’invito a tornare il giorno dopo per ricevere del sale e del pepe sarà per lui irresistibile.
Oggetti e odori apotropaici
Quando assume
forma umana, il Cjalcjút
è descritto come uno Stregone capace di trasformarsi in qualunque
creatura pur di cagionare sofferenza. Per difendersi, si consiglia di
tenere un coltello sotto il cuscino, utile ad eliminarlo; anche le
mele cotogne rappresentano un efficace mezzo apotropaico, poiché
egli ne detesta l’odore.
Un’ulteriore protezione, non meno
diffusa, riguarda i rametti d’ulivo che, come in altre aree,
insieme alle foglie di vite, renderebbero impenetrabili la finestra
su cui vengono appesi così come la toppa della serratura, nella
quale vengono infilati.
Infanzia, numeri e soglie
I bambini, in special modo quelli di salute cagionevole, sono, secondo la credenza, i più soggetti agli attacchi dell’Oppressione Notturna. A tal proposito si tende a proteggerli facendoli passare — il giorno del battesimo — dalla finestra, oltre a recitare preghiere atte a tutelarli il settimo giorno dalla nascita, alla settima settimana di vita e al settimo anno.
In
alcune varianti, lo Spirito può assumere anche l’aspetto di una
gallina e, in tal caso, si ritiene necessario uccidere tutti gli
esemplari presenti nel pollaio. A Trieste, invece, si racconta che
possa manifestarsi sotto forma di un gatto nero. Per identificarlo,
qualora si sospetti la sua presenza dietro un malessere notturno, si
consiglia di colpire con un sasso l’occhio del primo gatto nero che
si incontra: se il giorno seguente si dovesse incontrare una persona
con l’occhio ferito e protetto da una benda, la sua natura sarà
rivelata.
Sempre riguardo ai gatti neri, esiste un altro metodo
per liberarsi definitivamente del Tormento: bruciare, nel prato
davanti alla casa, il pagliericcio su cui ha dormito la vittima e
attendere che il primo gatto nero si avvicini al fuoco. Quando ciò
accade, bisogna colpirlo senza esitazione sino alla morte, ponendo
così fine alla sua persecuzione.
L’atto
di orinare — pratica apotropaica attestata anche in altre regioni —
oppure, in alternativa, il semplice bere acqua, sono considerati un
efficace mezzo di protezione.
Nelle Valli dell’Isonzo e nell'area di Idria (Slovenia),
invece, si usa disegnare sulla porta d’ingresso o della camera da
letto la sagoma di una testa di maiale, ritenuta capace di tenere
lontano lo Spirito.
Figure affini e ambito slavo
La Mora o Morà appare essere una corruzione del termine Mara — Smara — e presenta peculiari tratti bestiali, sebbene non meglio precisati. È una figura tipica della Val Resia in provincia di Pordenone, dove si racconta che succhi le mammelle dei dormienti (in merito, si può riscontrare un parallelismo in una leggenda della Val dei Mòcheni, in provincia di Trento nonché nell’area cimbra veronese). Contro le sue incursioni notturne, tra i rimedi adottati compaiono lo stratagemma della bottiglia e l’uso apotropaico del cosiddetto “Piede della Strega”, ossia il pentacolo o la sua variante a esagramma, tracciato direttamente sul corpo come forma di protezione.
In ambito slavo compaiono inoltre figure affini, come i Vokodlaky, lupi mannari ai quali viene attribuita un’azione di tipo vampirico nei confronti sia dei dormienti sia dei defunti. In questo stesso orizzonte culturale, anche la Mora è descritta come Entità che si introduce nelle abitazioni attraverso il buco della serratura per succhiare le mammelle delle vittime, continuando l’attacco fino all’uccisione qualora si tratti di bambini. Fra le denominazioni slave correlate al fenomeno dell’Oppressione Notturna compaiono i termini Vedomec e Vešča.
Etimologie e trasformazioni culturali
Il termine tedesco Trude, così come tutte le varianti di molte aree del nord est dell’Italia, rimanda al significato del Mahr germanico, che è anche base dei termini inglesi nightmare e francese cauchemar, ad indicare l’Incubo. Il lemma italiano, etimologicamente, attinge invece dal latino, dove incubare ha il significato di “sedere sopra”, e l’Incubus era appunto lo Spirito che effettuava questa oppressione.
Con Roma ed il Cristianesimo l’Incubo assumerà per le aree di influsso culturale latino un doppio nome svincolato dalla radice germanica, e si delineerà in una forma maschile: l’Incubus ed in una femminile: il Succubus. A partire da quel momento si svilupperà un’ampia letteratura su questa Entità soprannaturale.
Conclusioni
L’analisi condotta mostra con chiarezza come le molteplici manifestazioni della Smara — e delle figure affini che ne condividono l’origine — costituiscano un nucleo mitico di sorprendente coerenza, pur nella varietà dei contesti linguistici, geografici e simbolici in cui esse sono attestate. Le sue metamorfosi onomastiche e iconografiche, che spaziano — dalla Smarva alla Drude, dalla Fracariola al Pesarol, dal Premevenco al Cjalcjút —delineano un archetipo comune radicato nell’immaginario europeo sin dai tempi più antichi: quello dell’Essere Notturno che opprime, soffoca, schiaccia, altera il confine tra veglia e sonno, sospendendo la percezione ordinaria del reale.
L’intreccio fra credenze popolari, pratiche apotropaiche, scongiuri, filastrocche e racconti tramandati oralmente, delinea una mappa culturale complessa che attraversa Alpi, Prealpi e territori di confine, rivelando persistenti contaminazioni germaniche all’interno anche di aree romanze. La diffusione capillare di queste narrazioni conferma il ruolo della Smara — e delle sue molteplici varianti — come figura-limite capace di incarnare, in forme sempre rinnovate, i timori ancestrali.
Il percorso sin qui delineato non esaurisce naturalmente la complessità del fenomeno, ma intende offrire una base solida per ulteriori approfondimenti comparativi, sia sul piano linguistico sia su quello antropologico. Le storie raccolte — provenienti da vallate trentine, territori veneti, aree ladine, comunità cimbre e mochene — testimoniano infatti una continuità sorprendente, che merita di essere ulteriormente esplorata alla luce delle dinamiche di scambio culturale tra mondo germanico e i territori a sud delle Alpi.
La Smara, con i suoi molteplici nomi e volti, continua così a rappresentare un punto di osservazione privilegiato per comprendere come il folklore affronti, da secoli, l’esperienza universale dell’oppressione notturna. Ed è proprio questa capacità di sopravvivere alle trasformazioni del Tempo, mantenendo intatta la sua potenza simbolica, che la rende una delle figure più affascinanti del panorama mitico dell’Italia nordorientale.
Immagini
* Copertina Generata con l’A.I.
* Tratte dall’archivio personale:
* 2. Ausstellung-Mostra: Stille Kräfte des Alltags Der Volksglaube—Le credenze popolari Forze segrete della vita quotidiana Burg-Castel Taufers 29.03. – 03.11.2024
* 3. Slovenski etnografski muzej, Ljubljana — Museo Etnografico Sloveno, Lubiana
Bibliografia
* Coltro Dino, Gnomi, anguane, basilischi Esseri mitici e immaginari del Veneto, del Friuli-Venezia Giulia, del Trentino e dell’Alto Adige, Cierre Edizioni 2012
* Coltro Dino, Leggende e racconti popolari del Veneto, Newton Compton Edizioni 1982
* Dal Lago Bruna, Storie di Magia, Lato Side Editori 1979
* Degiampietro Candido, Fiabe,leggende e saghe fiemmesi, Edizioni Pezzini 1988
* De Rossi Hugo di S. Giuliana, Fiabe e leggende della Val di Fassa, Istitut Cultural Ladin «majon di fascegn» 1984
* Garobbio Umberto, Alpi e Prealpi—Mito e Realtà Friuli Venezia Giulia, Edizioni Alfa 1980
* Martello Paola, Sette Volte Bosco Sette Volte Prato, Centro Documentazione Luserna—Trento Istituto Cimbro Luserna— Trento; Istituto di Cultura Cimbra Roana — Vicenza Curatorium Cimbricum Veronese—Verona, Editrice Veneta 2014
* Ostermann Valentino, La Vita in Friuli, Edizioni Biblioteca dell’Immagine 2019 (1894)
* Raffaelli Umberto, Leggende, Fiabe & Figure immaginarie delle Dolomiti, Editoriale Programma 2019
* Rosset Galliano, Superstizioni e miti della civiltà contadina, Editrice Veneta 2018
* Sebesta Giuseppe, Fiaba—leggenda dell’Alta Valle del Fèrsina e Carta d’identità delle figure di fantasia, Edizione Museo Provinciale degli Usi e Costumi della Gente Trentina—San Michele all’Adige 1973
* Seebold Elmar (a cura di), Kluge Etymologisches Wörterbuch der deutschen Sprache23. Auflage, De Gruyter 1995
Sitografia
* Cfr. Frau Drude—Trude
https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2018/12/frau-drude-trude.html
* Cfr. L’Alp
https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2018/12/l-alp.html



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