E’ la zona archeologica più interessante dell’Alto Bellunese e viene definita La fonte della Civiltà del Cadore. Stiamo parlando di uno dei siti più importanti dell’ Antica Civiltà Veneta, secondo dopo quello di Este, che invece si trova nei pressi di Padova. Considerato dall’ archeologia contemporanea un unicum, in quanto rappresentò il punto d' incontro fra Venetici, Celti e Romani.
1.Laghetto delle Tose, Lagole di Calalzo
Catubrium (l’ antico toponimo del Cadore), nome di origine celtica, indica un’ area popolata
da Genti paleovenete, che abitavano in maniera stabile la zona e che parlavano
la lingua che sta alla base del nome del luogo, da Celti e quindi da Romani.
L’ area è ricca di acque solforose che furono usate dalla popolazione locale per curare le patologie dermatologiche e per rimarginare ferite sino al IV sec. d.C. quando i culti definiti pagani vennero vietati. Giovanni Pais Becher ricercatore auronzano nel suo libro Il Cadore degli Emigranti evidenzia come coloro che lui definisce Catubrinos, fossero una Popolazione che aveva cultura e tradizioni proprie, simili a quelle delle altre popolazioni di montagna del mondo.
E’ chiaro che i Celti esportarono modelli artigianali e culturali, verso un mondo, quello venetico che fu estremamente ricettivo agli stimoli esterni. Abbiamo esempi di fibule che trassero ispirazione e foggia da fibule Tardo Halstattiane o dalla Cultura di La Tène Antica. La mobilità delle genti fece sì che si amalgamassero gusti e stili di lavorazione. Anche i famosi Tre Ciottoloni Padovani - pietre di forma ovoidale con iscrizione, ritrovati sia in zone funerarie che non funerarie - le cui scritte ci mostrano come nel tessuto sociale Celti immigrati avessero dato luogo a nuove generazioni di Venetkens originando così nuove linee di discendenza.
Più a nord invece, tornando all’ Alto Bellunese, sempre i Celti fra il IV ed il III sec. a.C. discesero sulla zona cadorina. Come ci testimoniano le necropoli di Lozzo, gli oggetti ritrovati si riferiscono addirittura all’ VIII secolo a.C. (periodo Halstattiano), mentre le sepolture più recenti sono riportabili al periodo La Tène (III a.C.- I d.C.) a Pozzale (frazione di Pieve di Cadore), oltre al deposito votivo di Vallesella di Domegge e nel santuario appunto di Lagole di Calalzo.
L’inizio delle scoperte archeologiche fu fra il 1949 ed il 1952, a Lagole fu riportata alla luce una stipe votiva, ricca di materiale sia figurativo che epigrafico, ad opera di Giovan Battista Frescura, operaio di un’ occhialeria di Calalzo, che lavorò poi come assistente della Soprintendenza. I reperti, più di 600, oggi sono visibili al MARC Museo Archeologico Cadorino, ospitati presso il Palazzo della Magnifica Comunità di Cadore a Pieve di Cadore. Lo studio portato avanti da Enrico De Lotto, che aiutò il Frescura in prima battuta, e poi da Giulia Fogolari, massima studiosa della Civiltà dei Veneti Antichi, oltre che da Giovanni Gambacurta della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, ha permesso di collocare il santuario all’interno di un sistema di relazioni culturali fra la zona padano-adriatica ed il versante alpino orientale. Inoltre sempre negli anni ’50 Alessio De Bon, libero studioso di topografia antica, dedicò un particolare studio alla sua terra, scoprendo che Lagole si trova lungo un asse viario che correva da Feltre all’Alta Pusteria (uno dei punti di riferimento fu l’antica Littamum, oggi San Candido) sino al Norico. Le prime testimonianze votive, che risalgono alla seconda metà del VI sec. a.C. sono costituite da un gruppo di oggetti della Cultura di Hallstatt, che erano comuni in tutta la zona alpina orientale e che ebbero modo di diffondersi anche in area venetica. Ma anche panoplie sempre di foggia celtica, relative ad un periodo fra il IV ed il II sec. a.C. segnalano una presenza celtica di probabile provenienza carnica. Questa ipotesi supportata dalla presenza di numerosi nomi celtici nelle dediche votive e nello stesso toponimo Cadore che secondo il linguista Giovan Battista Pellegrini deriva dal Gallico identificato come il colle della battaglia, insediamento celtico fortificato sul Monte Ricco a Pieve de Cadore, nome poi esteso a tutta la zona. Lagole fu non solo santuario ma anche luogo di aggregazione come testimoniano le parecchie dediche pubbliche che parlano di una Teuta ovvero una comunità organizzata istituzionalmente, mostrando che il luogo fu anche fervente ritrovo per la vita politica locale.
Il Culto della Divinità Sanante, con le stesse caratteristiche di Lagole lo troviamo anche in altri due Santuari: ai (Bad) Bergfall-(Bagni di) Pervalle, a Geiselsberg-Sorafurcia,, frazione di Olang-Valdaora in Alta Val Pusteria in provincia di Bolzano e nella Valle della Gail in Carinzia, a Gurina. I Bagni di Pervalle sono ricchi di solfati, sali minerali, calcio e magnesio. Nel 1840 sono stati trovati i resti di una piscina termale oltre a numerose offerte votive agli Dei risanatori ed alle ninfe delle acque, a titolo di ringraziamento per la guarigione di disturbi di tipo reumatico e sciatico, malattie femminili, della pelle e delle vie respiratorie.
Le Anguane o Longane rappresentano un altro mito di Lagole insieme a Trumusiate. Sono creature legate all’ acqua, che si incontrano nella leggenda che va dalla Lombardia, al Trentino, all’ Alto Adige, al Friuli, ma anche in Lessinia ed in Romagna ed in Europa centro-orientale. Conoscitrici del futuro, e delle condizioni del tempo, talvolta bellissime ed ammaliatrici, altre volte madri dai lunghi seni che facevano ricadere all’ indietro per allattare i bambini nelle gerle, vivevano in luoghi isolati e difficili da raggiungere vicini a fonti, ed avevano varie attività che svolgevano prevalentemente di notte, come quella di lavandaie. Ed è in questa veste che fanno parte della Cultura Cadorina. Le Anguane erano lavandaie notturne appunto, ma aiutavano anche per la filatura, come narrato in alcune leggende. Mentre in altre assumono un significato negativo e divengono invidiose, ladre ed assassine. Ma questa variazione in negativo sia storici che antropologi la assocerebbero all’ arrivo del Cristianesimo che rilesse la mitologia appartenuta alle culture precedenti, sradicandola dal contesto socio-culturale in cui era nata e attribuendole una connotazione densa di pregiudizio. Importante è vedere come queste figure femminili acquisiscano uno dei tratti principali legato al Male cristiano cioè gli zoccoli di capra, al posto dei piedi. Abbiamo anche un esempio di un grande cadorino, il pittore Tiziano, che in uno dei suoi disegni illustrò un’ Anguana come in effetti veniva descritta e rappresentata ai suoi tempi nel 1500, frutto della demonizzazione cattolica. Così nei secoli, mille e forse più anni di culto di acque salutifere, fu passato alla Madonna della Salute, chiesetta antica nelle vicinanze di Lagole, all’interno della chiesa un altare è dedicato a Santa Lucia (protettrice dei malati di occhi) ed a Santa Apollonia (protettrice dei malati di denti). Sicuramente legato sempre al culto di questa zona dedicata alla salute abbiamo anche nella frazione di Rizzios una chiesa dedicata a Sant’ Anna protettrice delle donne incinte e dei neonati; e non da ultimo ricordiamo che il Santo patrono di Calalzo è San Biagio, protettore dei malati di gola.
Dal
2014, il Comune di Calalzo di Cadore, ad opera del
Sindaco Luca De Carlo e della sua Giunta ha ripreso una serie di scavi fatti
nell’ ottica di esplorare un terreno ed una storia che sicuramente lì come
altrove in Terra Cadorina ha ancora molto da rivelare, oltre a valorizzare un territorio. Sono stati
istituiti due sentieri tematici con tanto di schede illustrative ed
esplicative, una storica ed una leggendaria. Un interessante lavoro fatto per
coinvolgere non solo paesaggisticamente il turista, ma per condurlo nella
storia e nella mitologia locale, in un percorso del Tempo. Unico neo ad un’iniziativa
dal mio punto di vista estremamente pregevole, anche per alcune riproduzioni
fedeli e particolareggiate di ritrovamenti storici come: statuine, simpuli,
elmi, scudi, lance e spade, il fatto di definire Trumusiate esclusivamente come
un Dio. Vista la mole di documenti storici, archeologici, e la conoscenza della Cultura del tempo, quando le acque e la guarigione erano tutelate da numi
femminili, forse si sarebbe potuto usare il termine Divinità in maniera neutra
e a cura (per rimanere in tema) della Cultura originaria di Lagole, prima dell’Apollo romano di cui
ben sappiamo.
L’ area è ricca di acque solforose che furono usate dalla popolazione locale per curare le patologie dermatologiche e per rimarginare ferite sino al IV sec. d.C. quando i culti definiti pagani vennero vietati. Giovanni Pais Becher ricercatore auronzano nel suo libro Il Cadore degli Emigranti evidenzia come coloro che lui definisce Catubrinos, fossero una Popolazione che aveva cultura e tradizioni proprie, simili a quelle delle altre popolazioni di montagna del mondo.
2. Riproduzione di panoplia celtica
I
Celti per Polibio, antico storico greco, come asserì nelle
sue Storie II 17, differivano poco per
gli usi ed i costumi dai Veneti, ma
parlavano un’ altra lingua. I contatti
stabili fra Veneti e Celti sono confermati da testimonianze archeologiche. Gli ultimi ritrovamenti e le
ultime scoperte portate alla luce attraverso la mostra Venetkens–Viaggio
nella Terra dei Veneti Antichi, che si è tenuta nel 2013 al Palazzo della
Ragione a Padova, ci raccontano di
Antichi Veneti nella zona pianeggiante e collinare della regione, alleati dei
Romani a tutela del territorio di confine dove si trovavano alcuni gruppi di Celti appunto che premevano da nord. Fu proprio
verso nord che una parte dei Paleoveneti già nel VI sec. a.C. decise di
spostarsi andando in cerca di minerali, per la pastorizia, ed anche per scambi
commerciali e culturali. Ma la storia della
zona di confine, narrata da differenti ricercatori e storici locali ci parla anche di
altro.
Giuseppe Ciani nell’edizione del 1940 del suo Storie del Popolo Cadorino scrive che i Catubrinos staccatisi dai Reti, scesero lungo l’Adige e la Valsugana, Feltre e Belluno, seguirono il corso del fiume Piave e si insediarono sotto le Marmarole e l’Antelao mescolandosi con tribù precedenti come Embrodunci ed Aurunci. Una leggenda invece di cui ci narra Gianni Pais Becher, riguarda un antico popolo che al comando di re Ebrod, fuggì dall’Asia e seguendo il corso del Danubio, della Drava e della Rienza si stanziò a Landro (Alto Adige), Misurina (Veneto), Valle dell’Ansiei (Veneto). Un popolo che conosceva bene l’arte di forgiare i metalli, che conosceva la scrittura e che si fermò tra le crode del Cadore, perché ricche di selvaggina e di minerali oltre che di grande bellezza. Inoltre era l’unico ambiente tranquillo incontrato fra il Caucaso e le Alpi. Tornando alle risposte storiche, dagli Atti del Convegno a Isola della Scala (VR) del 2005 inerenti i Venetici abbiamo conferma attraverso l’onomastica delle iscrizioni di Lagole, che la frequentazione più forte fosse costituita dai Celti.
Giuseppe Ciani nell’edizione del 1940 del suo Storie del Popolo Cadorino scrive che i Catubrinos staccatisi dai Reti, scesero lungo l’Adige e la Valsugana, Feltre e Belluno, seguirono il corso del fiume Piave e si insediarono sotto le Marmarole e l’Antelao mescolandosi con tribù precedenti come Embrodunci ed Aurunci. Una leggenda invece di cui ci narra Gianni Pais Becher, riguarda un antico popolo che al comando di re Ebrod, fuggì dall’Asia e seguendo il corso del Danubio, della Drava e della Rienza si stanziò a Landro (Alto Adige), Misurina (Veneto), Valle dell’Ansiei (Veneto). Un popolo che conosceva bene l’arte di forgiare i metalli, che conosceva la scrittura e che si fermò tra le crode del Cadore, perché ricche di selvaggina e di minerali oltre che di grande bellezza. Inoltre era l’unico ambiente tranquillo incontrato fra il Caucaso e le Alpi. Tornando alle risposte storiche, dagli Atti del Convegno a Isola della Scala (VR) del 2005 inerenti i Venetici abbiamo conferma attraverso l’onomastica delle iscrizioni di Lagole, che la frequentazione più forte fosse costituita dai Celti.
3. Riproduzione
di guerriero celtico a cavallo
E’ chiaro che i Celti esportarono modelli artigianali e culturali, verso un mondo, quello venetico che fu estremamente ricettivo agli stimoli esterni. Abbiamo esempi di fibule che trassero ispirazione e foggia da fibule Tardo Halstattiane o dalla Cultura di La Tène Antica. La mobilità delle genti fece sì che si amalgamassero gusti e stili di lavorazione. Anche i famosi Tre Ciottoloni Padovani - pietre di forma ovoidale con iscrizione, ritrovati sia in zone funerarie che non funerarie - le cui scritte ci mostrano come nel tessuto sociale Celti immigrati avessero dato luogo a nuove generazioni di Venetkens originando così nuove linee di discendenza.
4. Mostra
- Venetkens Viaggio nella Terra dei Veneti Antichi 2013. Due dei
tre Ciottoloni
Più a nord invece, tornando all’ Alto Bellunese, sempre i Celti fra il IV ed il III sec. a.C. discesero sulla zona cadorina. Come ci testimoniano le necropoli di Lozzo, gli oggetti ritrovati si riferiscono addirittura all’ VIII secolo a.C. (periodo Halstattiano), mentre le sepolture più recenti sono riportabili al periodo La Tène (III a.C.- I d.C.) a Pozzale (frazione di Pieve di Cadore), oltre al deposito votivo di Vallesella di Domegge e nel santuario appunto di Lagole di Calalzo.
5. e 6.
Particolari di riproduzione di spada ed elmo celtico
L’inizio delle scoperte archeologiche fu fra il 1949 ed il 1952, a Lagole fu riportata alla luce una stipe votiva, ricca di materiale sia figurativo che epigrafico, ad opera di Giovan Battista Frescura, operaio di un’ occhialeria di Calalzo, che lavorò poi come assistente della Soprintendenza. I reperti, più di 600, oggi sono visibili al MARC Museo Archeologico Cadorino, ospitati presso il Palazzo della Magnifica Comunità di Cadore a Pieve di Cadore. Lo studio portato avanti da Enrico De Lotto, che aiutò il Frescura in prima battuta, e poi da Giulia Fogolari, massima studiosa della Civiltà dei Veneti Antichi, oltre che da Giovanni Gambacurta della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, ha permesso di collocare il santuario all’interno di un sistema di relazioni culturali fra la zona padano-adriatica ed il versante alpino orientale. Inoltre sempre negli anni ’50 Alessio De Bon, libero studioso di topografia antica, dedicò un particolare studio alla sua terra, scoprendo che Lagole si trova lungo un asse viario che correva da Feltre all’Alta Pusteria (uno dei punti di riferimento fu l’antica Littamum, oggi San Candido) sino al Norico. Le prime testimonianze votive, che risalgono alla seconda metà del VI sec. a.C. sono costituite da un gruppo di oggetti della Cultura di Hallstatt, che erano comuni in tutta la zona alpina orientale e che ebbero modo di diffondersi anche in area venetica. Ma anche panoplie sempre di foggia celtica, relative ad un periodo fra il IV ed il II sec. a.C. segnalano una presenza celtica di probabile provenienza carnica. Questa ipotesi supportata dalla presenza di numerosi nomi celtici nelle dediche votive e nello stesso toponimo Cadore che secondo il linguista Giovan Battista Pellegrini deriva dal Gallico identificato come il colle della battaglia, insediamento celtico fortificato sul Monte Ricco a Pieve de Cadore, nome poi esteso a tutta la zona. Lagole fu non solo santuario ma anche luogo di aggregazione come testimoniano le parecchie dediche pubbliche che parlano di una Teuta ovvero una comunità organizzata istituzionalmente, mostrando che il luogo fu anche fervente ritrovo per la vita politica locale.
7. Acque
rosse solforose
Trumusiate
(o Tribusiate in Latino) Sainate è la Divinità celebrata a
Lagole, ed al potere salutifero delle sue acque, confermato anche da analisi
medico-chimiche. Il tutto in una località
disegnata fra torrentelli, polle, e sorgenti. Le sue acque provengono dal
bacino meridionale del Monte Antelao. Troviamo tre laghetti, fra cui il più grande è il laghetto delle Tose (delle
ragazze, in dialetto veneto). L’odore dello zolfo è subito percepibile e la
vegetazione è rigogliosa e accogliente. Il Santuario si trova lungo la Via che
collegava il nord alla pianura e i monti al mare. Era quindi frequentato dalla
popolazione locale, ma anche da militari come abbiamo visto sopra, oltre che da pastori e
mercanti. Il luogo di culto come in tutta la Cultura Venetica era scelto con
grande attenzione dalla comunità e doveva avere requisiti ben precisi, era
sempre situato in un bosco e vicino a corsi d’acqua, delimitato da mura o cippi
iscritti in Venetico che ne disegnavano il perimetro (l’alfabeto della zona di
Calalzo utilizzava sia lettere vicine all’alfabeto di Este che a quello di
Bolzano). Fra i rituali venivano anche sacrificati animali (ovini, caprini e
suini) di cui poi venivano usate le ossa come offerte, insieme ad altri oggetti
rituali. Il nome di Trumusiate ha nella
radice il numero tre -tr- ed anche l’unità -mus- descrive il legame con
l’umidità e con l’acqua di quest’area. Indicata come la Triforme, la Triplice o
la Tre volte invocata. Alla Divinità ci si rivolgeva per grazie e favori, per
sanare le ferite dei soldati di ritorno dalla battaglia e anche per propiziare
una nascita. La stipe votiva ritrovata attraverso i suoi numerosi reperti ci
parla di offerte di vario tipo, a cominciare dai simpula o simpuli, mestoli
rituali di origine etrusca, che trovarono ampia diffusione nelle Alpi Centrali
ed Orientali nell’Epoca del Ferro, e per le libagioni, e con cui si beveva
l’acqua guaritrice e con cui ci si bagnava il corpo partendo dalla testa,
l’acqua veniva raccolta in situle o situli, tipici contenitori a secchio in
bronzo che caratterizzavano la produzione venetica. Le donazioni alle Divinità
dell’acqua erano fatte anche perché
l’acqua era portatrice di vita ma anche di morte. Le sortes erano piccole
ossa di maiale o piccole monetine che venivano usate per l’attività
divinatoria. Le donne chiedevano quanti figli avrebbero avuto, gli uomini se fossero tornati vittoriosi da una guerra. Le offerte votive come i simpuli
appunto o spade ed armi venivano incise con iscrizioni di dedica alla Divinità
e prima di essere affidate all’acqua sacra, defunzionalizzate, cioè spezzate, affinché non potessero essere
utilizzate da altri. Ma l’acqua sanante
di Lagole non era solo per guarire il corpo e lo spirito delle persone e per
gli intenti di vita o di battaglia, ma anche per l’animale che rappresentò l’antica Civiltà Paleoveneta: il cavallo. Animale totemico, in particolare
quello veneto era robusto e veloce. Veniva venduto in tutta la zona del
Mediterraneo e conosciuto ovunque per le sue caratteristiche peculiari che lo
rendevano estremamente apprezzato. Per cui un animale che era anche fulcro
dell’economia, oltre che mezzo di trasporto e compagno di imprese guerresche, non
poteva che meritare anch’ esso di ricevere cura e guarigione. Per questo fra le
offerte troviamo lamine con dediche per cavalli, le stesse lamine però potevano anche essere sostituite al sacrificio del cavallo.
8. Riproduzione
della lamina che ritrae un cavallo con iscrizione venetiche, entrata
del Santuario di Trumusiate
Ma Trumusiate
Triplice, chiaramente ci riporta al
culto di un’altra Divinità venetica, la principale: Reitia, chiaramente femminile nota anche Lei, con gli appellativi di Sainate
quindi sanante e Pora, cioè delle fonti delle acque. Governatrice dell’Acqua quindi, ma anche della
Terra e del Cielo, definita anche Potnia Theron (Greco) cioè Signora degli
animali. Le affinità quindi fanno
presumere ad un’ omogeneità di culto, con nomi della Divinità diversi ma dallo
stesso significato, anche se ad oggi non abbiamo assoluta certezza che
Trumusiate fosse una divinità femminile, sebbene la Cultura dalla quale venne
essendo di chiara matrice matriarcale, fa desumere questo anche in merito ad
una rara lamina che reca al centro una decorazione a sbalzo con tre teste. Nelle
primissime battute delle ricerche, fu associata ad Ecate ed ai suoi tre poteri,
vita, salute e morte, ma ben presto questa tesi non trovò conferma. In epoca
romana alla Dea sanante però subentrò il Culto di Apollo, anche lui Dio della
Medicina che andò a sostituirsi anche nelle dediche dei pellegrini. Del resto
la romanizzazione del comparto alpino orientale, iniziata con la fondazione
della colonia di Aquileia nel 181 a. C. e terminata nel I sec. d.C. fece sì
che i Romani integrassero pacificamente le genti locali e con loro i culti che
assimilati vennero poi sostituiti anche nelle Divinità a cui offrire dediche. In
merito abbiamo già testimonianza di culti variati dal femminile al maschile,
basti pensare Delfi, che inizialmente dedicato a culto di una Dea fu poi
dedicato, anche in quel caso, al culto
di Apollo. Ed a coloro che contestarono che a Lagole non si trovò statua
dedicata alla divinità in forma femminile, salvo la placchetta a tre teste, si
ribatté che con forte probabilità gli abitanti del luogo trassero il mito da
forze della natura che vennero personalizzate e
divinizzate.
Comunque sia, anche in epoca romana, il simpulum venne mantenuto e considerato come oggetto più rappresentativo dei riti
offertori. Un’altra tesi invece asserisce che il culto legato a Trumusiate, fosse quello
di un Dio verso il quale i numerosi ritrovamenti offertori di
statuette legate a soldati, ma anche arti singoli come braccia e
gambe, confermerebbero come tali oggetti fossero deposti a ricordare alla
Divinità il problema per cui si donava. Ma visto che i Romani sono arrivati per ultimi nella zona e le
genti Paleovenete erano legate a Reitia, come già scritto, propendo
personalmente per la prima ipotesi, di una Divinità Sanante Femminile, ipotesi
confermata anche dalla guida del Museo Archeologico del Cadore. Un’altra
richiesta che veniva fatta a Trumusiate era la fertilità, numerose statuine
itifalliche, e di corni di montone e cervo ci confermano questo tipo di
ritualità, in quanto il corno era assimilato al fallo in erezione, ed anche in
questo caso Reitia aveva le stesse prerogative.
9. Riproduzione
di spade defunzionalizzate ed affidate all'acqua
10. Particolare
di riproduzione di incisione
11. Riproduzione
di simpuli
Il Culto della Divinità Sanante, con le stesse caratteristiche di Lagole lo troviamo anche in altri due Santuari: ai (Bad) Bergfall-(Bagni di) Pervalle, a Geiselsberg-Sorafurcia,, frazione di Olang-Valdaora in Alta Val Pusteria in provincia di Bolzano e nella Valle della Gail in Carinzia, a Gurina. I Bagni di Pervalle sono ricchi di solfati, sali minerali, calcio e magnesio. Nel 1840 sono stati trovati i resti di una piscina termale oltre a numerose offerte votive agli Dei risanatori ed alle ninfe delle acque, a titolo di ringraziamento per la guarigione di disturbi di tipo reumatico e sciatico, malattie femminili, della pelle e delle vie respiratorie.
I
Fanes, mitologica popolazione, di cui Karl Felix
Wolf, rinarrò agli inizi del 1900 le
ultime memorie, affonda le proprie
radici e le nutre di un immaginario narrativo che sorse a cavallo di un’ampia
zona che include il confine dolomitico
ma anche la zona pianeggiante che digrada verso il mare Adriatico.
Perché se c’è stato un territorio che è
stato crocevia di culture e di genti differenti
è stato proprio quello fra i Monti Pallidi ed il bacino del Mediterraneo
dove troviamo Venetici, Euganei, Istriani insieme ad i Celti ed in particolar modo quelli insediati lungo il bacino della
Drava. E quell’ insieme di Popoli, Culture, Tradizioni ed idiomi risulta
rappresentato benissimo presso Lagole, ed indica appunto parentele di Culto e di Divinità fra
l’attuale Este nel padovano e la Carinzia austriaca.
12. Polla d'acqua
Le Anguane o Longane rappresentano un altro mito di Lagole insieme a Trumusiate. Sono creature legate all’ acqua, che si incontrano nella leggenda che va dalla Lombardia, al Trentino, all’ Alto Adige, al Friuli, ma anche in Lessinia ed in Romagna ed in Europa centro-orientale. Conoscitrici del futuro, e delle condizioni del tempo, talvolta bellissime ed ammaliatrici, altre volte madri dai lunghi seni che facevano ricadere all’ indietro per allattare i bambini nelle gerle, vivevano in luoghi isolati e difficili da raggiungere vicini a fonti, ed avevano varie attività che svolgevano prevalentemente di notte, come quella di lavandaie. Ed è in questa veste che fanno parte della Cultura Cadorina. Le Anguane erano lavandaie notturne appunto, ma aiutavano anche per la filatura, come narrato in alcune leggende. Mentre in altre assumono un significato negativo e divengono invidiose, ladre ed assassine. Ma questa variazione in negativo sia storici che antropologi la assocerebbero all’ arrivo del Cristianesimo che rilesse la mitologia appartenuta alle culture precedenti, sradicandola dal contesto socio-culturale in cui era nata e attribuendole una connotazione densa di pregiudizio. Importante è vedere come queste figure femminili acquisiscano uno dei tratti principali legato al Male cristiano cioè gli zoccoli di capra, al posto dei piedi. Abbiamo anche un esempio di un grande cadorino, il pittore Tiziano, che in uno dei suoi disegni illustrò un’ Anguana come in effetti veniva descritta e rappresentata ai suoi tempi nel 1500, frutto della demonizzazione cattolica. Così nei secoli, mille e forse più anni di culto di acque salutifere, fu passato alla Madonna della Salute, chiesetta antica nelle vicinanze di Lagole, all’interno della chiesa un altare è dedicato a Santa Lucia (protettrice dei malati di occhi) ed a Santa Apollonia (protettrice dei malati di denti). Sicuramente legato sempre al culto di questa zona dedicata alla salute abbiamo anche nella frazione di Rizzios una chiesa dedicata a Sant’ Anna protettrice delle donne incinte e dei neonati; e non da ultimo ricordiamo che il Santo patrono di Calalzo è San Biagio, protettore dei malati di gola.
13.
Riproduzione disegno Anguane Tiziano
Andate comunque a Lagole, oltre ad attendervi un luogo
incantevole ed adatto anche alle famiglie, troverete non solo un pezzo di
storia, di conoscenza e di tradizione, ma incontrerete passeggiando o sedendovi
su una panchina ancora una volta, oggi come allora, Trumusiate e le
Anguane a darvi il benvenuto.
Articolo aggiornato al 30 maggio 2020
Articolo aggiornato al 30 maggio 2020
Immagini
*1,2,3,5,6,7,8,9,10,11,12,13
Tratte dall'archivio personale
*4
Fonte web, non individuabile
Bibliografia
*Nicola De Falco-Ulrike Kindl, Miti ladini delle Dolomiti, Ey de Net e Dolasila, Istitut Ladin Micura de Rü, 2012
*Enrico De Lotto, Una Divinità Sanante a Lagole (Calalzo di Cadore) nel III Sec. a.C. Comune Calalzo di Cadore, 2002
*Gianni Pais Becher, Il Cadore degli Emigranti, Comunità Europea attraverso il Comune di Auronzo di Cadore, 2000
Sitografia
*https://issuu.com/musei-cadore-dolomiti/docs/lagole_av_168
*http://www.academia.edu/19941385/Poco_differenti_per_usi_e_costumi_Veneti_e_Celti
*http://www.magicoveneto.it/cadore/Calalzo/Calalzo-Lagole.htm
*http://www.magnificacomunitadicadore.it/cadore/museo-archeologico-cadorino.php
*Nicola De Falco-Ulrike Kindl, Miti ladini delle Dolomiti, Ey de Net e Dolasila, Istitut Ladin Micura de Rü, 2012
*Enrico De Lotto, Una Divinità Sanante a Lagole (Calalzo di Cadore) nel III Sec. a.C. Comune Calalzo di Cadore, 2002
*Gianni Pais Becher, Il Cadore degli Emigranti, Comunità Europea attraverso il Comune di Auronzo di Cadore, 2000
Sitografia
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*http://www.magicoveneto.it/cadore/Calalzo/Calalzo-Lagole.htm