Lettori fissi

venerdì 6 gennaio 2023

Il fantasma della filatrice (Carisolo-TN, Val Rendena)





Dove oggi sorge la chiesetta di Santo Stefano, che svetta fra i poderosi alberi del bosco che sovrasta l'abitato di Carisolo, un tempo esisteva solo la formazione rocciosa che oggi popolarmente viene definita Zucàl, e più in basso, dove oggi si estende il cimitero, un grande tumulo di terra, entrambi posti a guardia della Val di Genova.

Sanno bene i valligiani che quel luogo conserva, sino dai tempi più remoti, la storia di una filatrice notturna che, se nella memoria di alcuni è andata perduta, in quella di altri è ben vivida. Una volta, qualcuno ebbe l'ardire di seguirla e di vedere cosa facesse tale figura oscura nelle ore più fredde e buie della notte.

Si alzò un leggero vento che portava echi di nebbia e la sua figura apparve lungo la strada che conduceva dal paese al cimitero di Santo Stefano. Nessuno sapeva chi fosse e da dove venisse, ma tutti in paese sapevano cosa avrebbe fatto. La sua figura evocava la notte più profonda e la sua connessione con la Morte. Salì con passo lento e cadenzato quasi a trascinarsi lungo la salita di ciottoli che conduceva alla cima, giungendo a ridosso del bosco dove vi era un tumulo.

Arrivata, trascinando il suo passo stanco, si fermò di fronte a quella formazione di terra che custodiva Morte e ossa, conficcò il fuso — che teneva nella sua mano sinistra — nella terra ed iniziò a filare, e così continuò a fare fino alle prime luci dell'alba, quando la nebbia che ne aveva introdotto l'arrivo la sera precedente, era ritornata quasi a celarne la presenza per poi svanire come l'ombra della notte.





Immagine

*La filatrice Gambi Gaspare (1889/1968)

bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it


Bibliografia

*Neri Mauro, Le mille e una leggenda del Trentino, Athesia 2019

Sitografia

* Cfr. Santo Stefano, la radice pagana e stregonica di uno dei più bei luoghi del Trentino (Carisolo-TN, Val Rendena)

http://ilblogdilujanta.blogspot.com/2023/01/santo-stefano-la-radice-pagana-e.html

* Cfr. Il fuso di Giovanna (Carisolo-TN, Val Rendena)

http://ilblogdilujanta.blogspot.com/2023/01/il-fuso-di-giovanna-carisolo-tn-val.html




Il fuso di Giovanna (Carisolo-TN, Val Rendena)

 



Nei racconti serali di fronte al fuoco, fra arcolai e fusi e donne intente a filare, mentre fuori la neve aveva ammantato tutto, la voce di Giovanna aveva irrotto in quelle storie di demoni e apparizioni.

Lei giovane ragazza, tanto graziosa quanto curiosa, aveva esordito con una domanda che particolarmente aveva stizzito una comare, sua compaesana.

— Ma voi davvero ci credete a tutte quelle storie? Intendo a quelle di spiriti, di morti che camminano, di luci che sembrano danzare nel buio? —

— Se non ti piacciono le nostre storie, quelle della tradizione, puoi anche non venire più a filò — 

— Ma non è questa la questione, più che altro è che a forza di ripeterle la gente poi ci crede, mentre con un po' di coraggio si potrebbe dimostrare che tutte queste storie di cimiteri e spiriti, semplicemente non esistono. Anzi sapete cosa faccio? Adesso che è notte fonda, prendo questo fuso e vado a piantarlo su un tumulo di una recente tomba del cimitero di Santo Stefano. Vedrete quanti morti richiamerò! —

E con aria mista di scherno e sfida Giovanna uscì. Si incamminò lasciando le sue impronte sulla strada bianca ed intonsa della notte, solo il silenzio le era di compagnia ed il rumore della neve sotto i suoi passi. Prese così la salita che conduceva alla chiesetta di Santo Stefano ed al suo cimitero, arrivata di fronte al cancelletto lo aprì, una folata di vento gelido la accolse, e la fermezza che aveva mostrato poco prima ebbe un sussulto; Giovanna iniziò a sentirsi strana, le sue mani iniziarono a sudare, e la spavalderia mostrata poco prima venne meno. Si guardò comunque intorno cercando una recente sepoltura, si diresse verso la tomba, le ginocchia le tremavano, il respiro si era fatto affannoso, ma stringendo nella mano il fuso che aveva portato con sé, si chinò, e con gli occhi chiusi lo piantò al centro, sopra il tumulo.

Si alzò quindi in maniera repentina e si allontanò velocemente, con la volontà di lasciarsi alle spalle prima possibile quel luogo. Nell'oscurità però non si era accorta che il fuso si era impigliato in un lembo della lunga gonna, che nella corsa che doveva allontanarla dal cimitero, tintinnava per terra come le ossa di uno scheletro che la inseguiva. Più Giovanna accelerava la sua corsa più il rumore si faceva sinistro, e più aumentava il sentore che quello spirito le sarebbe balzato addosso da un momento all'altro, ma non osava girarsi, il terrore che provava era indescrivibile.

Giunse finalmente — dopo un tempo che le sembrò infinito — a casa, si chiuse la porta alle spalle e ansimante come mai prima per la corsa a rotta di collo, si rese ben presto conto di quello che era successo; ma la profonda paura provata era stata così violenta che da lì a pochi giorni Giovanna si mise a letto, indebolita da una febbre molto alta, che in poco tempo la portò alla morte.



Note

Filare storie, il far filò del passato

Il "far filò" appartiene alla memoria degli anziani, quando la stalla prima e molto più tardi un'ampia cucina dotata di focolare aperto, raccoglieva una riunione di persone, che per passare il tempo delle lunghe serate invernali si ritrovavano a filare storie.

Le lampade chiamate "luminiere" alimentate ad olio di noce, che a turno veniva fornito dai partecipanti, costituivano la scarsa illuminazione di quelle serate, che iniziavano a novembre, quando le giornate diventavano più brevi e le ore di luce diminuivano, con la sera che giungeva già nel pomeriggio. Erano di età diversa i partecipanti al filò: parenti, amici, vicini di casa, abitanti della stessa borgata, del resto ci si conosceva tutti.

Il filò era aperto a tutti, di entrambi i sessi, anche se nel '700 ad opera del Cardinale e Vescovo Leopoldo Ernesto Firmian, e più precisamente fra il 1748 ed il 1755, fu reso penale per gli uomini il presenziare a tali riunioni.

Mentre le donne filavano lino, canapa o lana, si raccontava di antiche storie, o in tempi più recenti, si leggevano pagine di qualche libro ad alta voce. Era occasione affinché le nonne insegnassero alle nipoti a filare la lana grezza, da cui si sarebbero ottenuti matasse e gomitoli per farne calze e maglie per le famiglie. La riunione si concludeva intorno alle ventuno, quando ci si accomiatava per ritrovarsi poi la sera seguente.


Riguardo l'autore Mauro Neri

Fu un'intervista ad un telegiornale regionale del 12 dicembre 2019 che suscitò il mio interesse. In orario serale ero affaccendata in altre attività che nulla avevano a che fare con la ricerca e la scrittura, quando un'intervista introdusse un autore ed un libro. Mi fermai e mi misi ad ascoltare quei pochi minuti (di cui vi allego il link al servizio ancora disponibile). Scoprii così Mauro Neri, giornalista e scrittore che lì illustrava un testo di circa settecento pagine, frutto di un accurato lavoro di analisi portato avanti con la moglie Silvia per ricercare ed ordinare in un'unica raccolta le leggende trentine per località e vallate. Il testo di una vita, potrei definirlo: quarant'anni di ricerca, costituita di circa millecinquecento narrazioni, tra le quali effettuare una scelta che ricadde su mille racconti. Cosa mi colpì di quell'intervista? Un concetto specifico, una certezza interiore che da sempre accomuna il mio narrare alla fonte da cui attingo, ed in questo caso a Mauro Neri: la storia la scrivono i vincitori, ma la leggenda narra la storia di tutti, dei territori, delle comunità che li hanno abitati sin da tempi immemori, storia che arriva a noi attraverso coloro che la storia ufficiale non hanno potuto redigerla. Narrazione che cammina di pari passo con il sogno, storia che ha alimentato il sogno, sogno che ha alimentato la storia, e che custodisce la bellezza dell'ingenuità, della profonda sincerità che la leggenda ci offre, portandoci in un tempo immaginario ed immaginifico che narra, però, di un momento di storia, di cultura, di tradizione fissi in un'epoca che fu, e che ancora oggi risuonano attraverso quel racconto. 





Immagini

* La filatrice nella stalla, Riccardo Pasquini 1886 museocanonica.it


Bibliografia

*Neri Mauro, Le mille e una leggenda del Trentino, Athesia 2019

*Folgheraiter Alberto, La Terra dei Padri. Storie di gente e di paesiCurcu&Genovese 2002

* Bolognini Nepomuceno, Usi e Costumi della Rendena, Editrice Rendena 1999


Sitografia

*Cfr. Santo Stefano, la radice pagana e stregonica di uno dei più bei luoghi del Trentino (Carisolo-TN, Val Rendena)

http://ilblogdilujanta.blogspot.com/2023/01/santo-stefano-la-radice-pagana-e.html

*Cfr. Il fantasma della filatrice (Carisolo-TN, Val Rendena)

http://ilblogdilujanta.blogspot.com/2023/01/il-fantasma-della-filatrice-carisolo-tn.html


Altre Fonti

*Servizio TGR Trentino Alto Adige 12 dicembre 2019

Le leggende, la storia scritta dal popolo

"Le mille e una leggenda del Trentino", poderosa raccolta di racconti che per la prima volta vengono pubblicate in un unico volume

https://www.rainews.it/tgr/trento/video/2019/12/tnt-Leggende-trentine-Mauro-Neri-ad17b017-620d-419b-a898-1773deeb1d0b.html





Santo Stefano, la radice pagana e stregonica di uno dei più bei luoghi del Trentino (Carisolo-TN, Val Rendena)

 

1. Santo Stefano di Carisolo, arrivando dalla salita

Tra i molti personaggi illustri che sono transitati per le valli del Trentino un posto di riguardo spetta all'Imperatore Carlo Magno. Erano, i suoi, viaggi di conversione, guerre sante nel nome di Cristo evangelizzatore. Le sue infinite battaglie si lasciavano alle spalle o pagani morti o pagani convertiti alla Buona Novella.”

(Mauro Neri, Le Mille e una leggenda del Trentino, pag. 450)




Cinta da imponenti boschi, svetta solitaria la chiesetta di Santo Stefano di Carisolo. La si può già scorgere dall'abitato di Pinzolo, ritta su uno sperone roccioso.

È in una giornata di novembre inoltrato che gli alberi dell'Antico Castagneto di Carisolo mi introducono alla salita che conduce a questo luogo di grande bellezza e silenzio. Si tratta di alberi secolari che, in alcuni casi, di anni ne contano anche cinquecento e che, nei secoli passati, hanno dato sostentamento sia alle genti, attraverso i loro frutti, sia agli animali, attraverso il loro fogliame — il farlet  che veniva usato per creare il giaciglio nelle stalle. 

2.3. L'Antico Castagneto di Carisolo ed il sentiero che porta a Santo Stefano

Talvolta dalle forme irregolari e fantastiche, questi imponenti centenari sembrano silenti giganti, guardiani del sentiero boschivo. Arrivata in cima, mi sono subito chiari gli elementi di un preistorico luogo di culto, a cui giungo attraverso il percorso ciottolato sino a quello che si mostrerà come una vera e propria chicca territoriale: vuoi per il sito in sé, vuoi per le leggende che, attraverso la tradizione popolare, sono giunte sino a noi.


4.5. Forme irregolari e fantastiche dei più antichi alberi del Castagneto


La Val Rendena e Carisolo


Partiamo dalla Valle che mi accoglie e dalle origini germaniche del suo nome. Il nome "Rendena" origina con i Longobardi, in Tedesco "Rand" ha infatti significato di orlo, sponda, estremità.

La conca si racchiude tra cime superiori ai 3000 metri e ghiacciai fra i più estesi d'Europa, che sono parte del Parco Naturale Adamello-Brenta. Dal punto di vista geologico i due versanti orografici di cui si compone la Valle si distinguono tra il Massiccio del Brenta che è di roccia dolomia, e quello del Gruppo dell'Adamello Caré Alto costituito di tonalite.

La dolomia è pietra sedimentaria chiara, composta di carbonato di calcio e magnesio, che originò dalle barriere coralline di un mare caldo e tropicale, mentre la tonalite è un granitoide vulcanico-magmatico con grande presenza di quarzo al suo interno, ed è denominata appunto il granito dell'Adamello”. Il Parco (ora Patrimonio Unesco) insieme ad un'area circostante dal 2008 ha preso il nuovo nome di “Adamello-Brenta Geopark”, proprio a voler evidenziare le grandi peculiarità di interesse naturalistico.

6.7.8.9. Il bosco e i massi lungo il sentiero verso Santo Stefano

Carisolo che per il 92% è parte dell'Adamello-Brenta Geopark, è l'ultimo paese della Val Rendena e sorge ad 824 m s.l.m. 

Il nome del borgo, attestato per la prima volta nel 1484 come Carezol, deriva da caricea e a sua volta da carex, una pianta della famiglia delle ciperacee che vive in terreni palustri il cui fiore compare, degnamente, nello stemma municipale del Paese.


L'area di Santo Stefano dalla Preistoria ad oggi

10. La parete della chiesa che guarda al cimitero sottostante, 
sulla sinistra lo Zucàl con le tre croci

In questo contesto territoriale di contrasti si inserisce l'area di Santo Stefano, luogo di sintesi degli opposti come la Valle di cui fa parte: sintesi fra area pianeggiante e montuosa, fra la durezza della formazione granitica della sommità dello sperone roccioso e la fluidità del Sarca che, molto più in basso, scorre senza ostacoli riverberando il fragore — seppur lontano — delle sue impetuose acque. Il fiume è, sorprendentemente, l'unico elemento rumoroso ad incontrare il silenzio quasi surreale di questo luogo, che introduce alla Val di Genova, la quale, storicamente, fu nominata nel Concilio di Trento come luogo idoneo a relegare Streghe e Demoni di tutta l'area trentina.

11. Il cimitero, come appare oggi, dalla cima dello Zucàl

Viene spontaneo domandarsi perché costruire una chiesa proprio lì, lontano dall'abitato di Carisolo. La zona vide la presenza umana in epoca antichissima e nello specifico sin dall'Età del Bronzo. Su quell'altura vissero popolazioni retiche e celtiche, l'area trentina offre anche testimonianze della costruzione di castellieri difensivi, prima della romanizzazione. Su questi graniti, storie lontane nel tempo parlano di un castello che fu distrutto, secondo la leggenda, dall'arrivo delle truppe di Carlo Magno.

12. Il cimitero, visto dal basso con le lapidi rivolte verso lo Zucàl e la chiesa

La dedicazione a Santo Stefano richiama subito il periodo solstiziale d'inverno. Arrivati in cima alla breve salita lo sguardo viene colpito da tre croci che svettano a fianco della chiesa, poggiando su una formazione di granito sagomato dall'azione dei ghiacciai, dalla chiara forma ovoidale che ricorda istintivamente la forma di un cranio umano.

13. La scala di pietra, accesso alla chiesa di Santo Stefano

14. Dalla cima della scala, la splendida vista sulla Valle

Denominato localmente Zucàl, questa insolita formazione granitica mostra striature di natura geologica e, forse, in minor parte, anche umana. Oggi nella rilettura cristiana del luogo, lo Zucàl è chiamato anche “Calvario o Golgota”, sempre a richiamarne la volta cranica, tramite la stessa etimologia del termine, dal latino calvarium (cranio), tratto a sua volta dall'aramaico "Gylgalthā" con senso di “luogo del cranio”.

15. Profondi solchi geologici sullo Zucàl

Le tre croci, che anche in questo caso richiamano la simbologia cristiana della crocifissione del Cristo con i due ladroni, furono installate inizialmente in legno ma, abbattute da condizioni meteorologiche avverse, furono sostituite con delle croci in metallo che resistono fino ad oggi saldamente conficcate nella pietra.


16. 17. Vista dalla cima del masso granitico, 
ben visibili le striature di natura geologica che lo segnano in lungo e in largo

Documenti risalenti al XIII e XIV secolo testimoniano che la cappella sita in questo luogo era dedicata inizialmente anche a San Michele oltre che a Santo Stefano, che solo dal XV secolo divenne patrono esclusivo del santuario. La chiesa raggiunse la sua conformazione attuale solo nel XVI secolo.





18.19.20.21.22. Solchi a X 

Dallo Zucàl si gode un' impareggiabile vista verso la piana di Carisolo e da qui in tempi remoti si accendevano fuochi che scandivano l'alternarsi delle stagioni. Legate a questo luogo di morte e rigenerazione esistono almeno due leggende — non legate a Carlo Magno — di cui narreremo più tardi.

23. Guardandosi intorno dalla cima dello Zucàl


La chiesa, i Santi e la Danza Macabra

24. La facciata della chiesa di Santo Stefano con i dipinti del Baschenis

La prima datazione della chiesa ritrovata grazie ad una pergamena, è del 1244. L'edificio fu costruito su una precedente struttura romanica e nei secoli subì vari rimaneggiamenti. Durante i restauri degli anni '80, sotto il pavimento furono trovate offerte di monete risalenti ai secoli XI e XII: ciò dimostrerebbe senza ombra di dubbio che la chiesa fosse già presente a quell'epoca. All'estrema sinistra della facciata, la statura gigantesca di San Cristoforo con il Cristo Bambino sulle spalle fungeva da riferimento e protettore per i viandanti ed i viaggiatori che passavano per la Valle. Qui come altrove, il Santo gigantesco assolve alla sua funzione principale, quella di proteggere dai pericoli dei fiumi, così come da tutti i rischi e disagi che potevano insorgere durante gli spostamenti.

25. San Cristoforo sull'estrema sinistra della facciata rivolta al Sole

L'attuale chiesa a due spioventi coperti di scandole mostra, sulla parete che guarda il Sole, gli affreschi più antichi (datati 1519), a quattro registri a grandi riquadri che rappresentano, partendo dal basso, la Danza Macabra (accompagnata da scritte gotiche e volgari, più antica di quella più famosa della vicina Pinzolo, entrambe dipinte da Simone Baschenis) e la Danza del Diavolo.

26. Ingrandimento della facciata con gli affreschi, partendo dall'alto: la vita di Santo Stefano poi La Danza Macabra 

I due registri superiori, riparati meglio dalle intemperie, narrano invece la storia della Vita di Santo Stefano, dalla sua consacrazione a diacono, alla lapidazione, ai miracoli avvenuti sia sulla sua tomba che durante la traslazione del corpo a Roma.

Santo Stefano lo si trova anche al centro, sopra il portale d'ingresso, tra San Michele (a sinistra) suo compatrono della chiesa come già visto, e San Giacomo Maggiore (a destra) abbigliato con paramenti liturgici ma anche con pietre sopra la testa e le spalle, simbolo della sua lapidazione.

Sempre all'esterno della chiesa, questa volta in basso a destra della scala, un'arcata custodisce l'entrata della cripta che fungeva da sacrestia e di fronte ad essa, spicca una "Madonna con Bambino" dai tratti dolcissimi, del 1524.

27. "Madonna con Bambino" all'interno dell'arcata 
a lato della scala della chiesa di Santo Stefano

La chiesa, purtroppo, il giorno della mia visita era chiusa, ma ho potuto comunque constatare che, al suo interno, importanti affreschi (sempre della Scuola dei Baschenis), illustrano non solo numerosi Santi, ma anche Sante come Caterina, Margherita e Orsola, che già abbiamo trovato in altri luoghi di culto precristiani del Sudtirolo. Tra i Santi, invece: Antonio Abate, il Santo celebrato il 17 gennaio, patrono degli animali, ma anche fortemente connesso con il fuoco tanto da esserne considerato patrono ed invocato per sconfiggere infatti una malattia a lui intitolata, il cosiddetto “Fuoco di Sant'Antonio” o Herpes Zoster. La sua figura e specialmente i suoi riti sono da ricondursi a pratiche precristiane di matrice per lo più celtica, legate a falò e fuochi rituali, di cui abbiamo accennato più sopra. Sempre all'interno si trovano una Madonna del Latte che teneramente allatta il Bambino e un'Ultima Cena con tanto di numerosi gamberi di fiume sulla tavola, animali che, allegoricamente, riprendendo i bestiari medievali germanici, indicavano la presenza demoniaca, poiché il fatto che avanzassero a ritroso ne faceva emblema di ipocrisia e falsità quanto di eresia. Proprio per questo, negli affreschi, è esclusivamente Giuda Iscariota a cibarsene


Conclusione

L'area della chiesa di Santo Stefano oltre all'opera artistica che rappresenta l'edificio religioso per la Danza Macabra del Baschenis, narra, nella lingua della pietra, storie di sacro arcaico. Di quel sacro che si respira oltre l'apparenza di forme attuali, quella pietra granitica su cui oggi sono conficcate tre croci e che, nell'immaginario cultuale cristiano, oggi richiamano il Golgota, anche nella sua forma di un cranio solcato da pieghe del tempo ben incise dai millenni e anche probabilmente, in alcuni casi, da mano umana. Quelle apparenti fratture diventano filo di un'antica narrazione, che riecheggiò negli stessi filò dei lunghi mesi invernali. 

Salire sopra allo Zùcal con lo sguardo verso Carisolo e più giù verso Pinzolo è allo stesso tempo porre l'attenzione ad un senso del sacro apparentemente smarrito, che si ritrova però oltre le stratificazioni del tempo e delle culture: lì sopra, accanto alla chiesa di Santo Stefano ed anche mediante i suoi affreschi, i suoi dipinti, così come attraverso la dedicazione a determinati Santi.

Santo Stefano di Carisolo, una meta immancabile all'interno di una ricerca culturale, cultuale ed antropologica, alle soglie della Val di Genova, dove il Concilio di Trento confinò tutte le Streghe ed i Demoni del Trentino. Santo Stefano di Carisolo un luogo liminare fra Vita e Morte, fra il Regno del Mondo Terreno ed il Regno dell'Oltremondo popolato da entità e spiriti come quelli delle leggende di cui andremo a leggere. Leggende di morti, tumuli e filatura.



Note

Riguardo l'autore Aldo Gorfer

Questa esplorazione è iniziata grazie alla figura di Aldo Gorfer (Cles 22 settembre 1921-Trento 12 giugno 1996), autore incontrato fra gli scaffali della libreria antiquaria presso la quale mi servo da anni, dove mi imbatto, nelle mie ricerche — in libri datati, di difficile reperibilità, spesso fuori catalogo, appartenenti talvolta a case editrici non più esistenti.

Parlo di "incontro", perché molto spesso ciò che mi conduce ad un testo è un qualcosa di sottile e impalpabile che richiama l'attenzione su un luogo, una leggenda, una narrazione che coinvolge sin dalle prime parole.

Libri che, come nel caso di quelli del Gorfer, hanno la capacità di trascinarti dentro le pagine delle sue indagini. La prima cosa che, in questo caso, mi ha attratta è stato il linguaggio, diretto, senza orpelli, di chiaro stampo giornalistico, al contempo profondo ed accurato.

Il Gorfer esplorò in lungo ed in largo sia il Trentino che il Sudtirolo, con uno scopo primario — per usare le sue stesse parole — quello della mera «investigazione archivistica», quello della testimonianza dei suoi intervistati o dei luoghi visitati; testimonianza che — nei suoi intenti — aveva l'unico fine di mostrare al lettore le interazioni ed influenze che il paesaggio lascia nei suoi abitanti, e di come gli abitanti di un certo luogo influenzino lo stesso paesaggio; di come, in sintesi, queste due corrispondenze siano in profonda relazione e mutino luoghi e genti.

Il suo fu, per sua stessa definizione, un pellegrinaggio, in una civiltà rurale e montana, una civiltà in declino, osservata da viaggiatore, senza l'obiettivo di fare ricerca storica, geografica o etnografica. Pure senza questa finalità, il suo raccogliere testimonianze dirette di località e persone ha fatto dei suoi libri raccolte che illustrano storie, geografie e tradizioni. Questi testi, seppur datati e anzi, forse proprio in quanto tali, offrono testimonianze normalmente trascurate e, in alcuni casi perse nei decenni, ed è proprio per questo che suscitano il mio profondo interesse: perché, grazie ad essi, è possibile recuperare tasselli di un passato che fu, e che chiede solo di essere riportato alla visibilità e conoscenza che aveva un tempo.

Questi viaggi passano attraverso il racconto di genti che parlano delle loro comunità, del loro rapporto con il territorio, e di come questo sia penetrato nelle comunità stesse, lasciando traccia di sé, attraverso le tradizioni, attraverso le narrazioni di fronte al fuoco, in un'eredità fatta di leggende, fiabe, superstizioni. Questi testi, quindi, pur senza essere libri di storia, geografia, etnologia, e tradizione, esplorano questi argomenti, passano attraverso di essi per arrivare alle genti di montagna ed al loro rapporto più profondo, come eredi di un paesaggio, di un territorio che li ha plasmati nei secoli e che diventa riflesso nelle parole degli intervistati. Un territorio che, fondamentalmente, è Natura e proprio dell'Essere che la vive giornalmente. Il ricorrere al folklore diventa così non raccolta fine a sé stessa, ma fondamento, introduzione di un tempo che si dilata e che include e raccoglie fra le sue righe avvenimenti storici, religiosi e spirituali, che spiegano il perché di molti atteggiamenti umani.





Immagini

* Tratte dall'archivio personale laddove con firma filigrana


Bibliografia

*Gorfer Aldo, Terra mia. Paesaggio sacro, paesaggio contadino, quando la Gente si trovava insieme, Saturnia 1980

*Gorfer Aldo, I segni della Storia. Genti e paesaggi dell'Alto Adige,  Saturnia 1982

*Cortellazzo Mario e Zolli Paolo, DELI - Dizionario Etimologico della Lingua italiana, Zanichelli 2022

*AA.VV. Nomi d'Italia. Origine e Significato dei Nomi Geografici e di Tutti i Comuni, Istituto Geografico De Agostini 2009


Fonti locali

* Proloco Carisolo 


Sitografia

* Cfr. Il fuso di Giovanna (Carisolo-TN, Val Rendena)

http://ilblogdilujanta.blogspot.com/2023/01/il-fuso-di-giovanna-carisolo-tn-val.html

* Cfr. Il fantasma della filatrice (Carisolo-TN, Val Rendena)

http://ilblogdilujanta.blogspot.com/2023/01/il-fantasma-della-filatrice-carisolo-tn.html