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domenica 23 giugno 2019

'Per l'eternità sacrificato agli Dei' - Il singolare caso delle palette votive di Steinhaus-Cadipietra (Ahrntal-Valle Aurina)






‘Per l’eternità sacrificato agli Dei’ con questa introduzione scritta in tre lingue (Tedesco, Italiano ed Inglese) viene accolto il visitatore che entra la Sala del Comune di Ahrntal-Valle Aurina nell’omonima Valle e situato nella frazione di Steinhaus-Cadipietra. La raccolta ospitata presso la sede del Municipio è ubicata al piano terra del Pfisterhaus, l’edificio che oltre all’area espositiva è sede appunto anche degli uffici municipali.
La Valle fu abitata sin da tempi antichissimi, i primi abitanti individuabili in quest’area furono proto-Illiri e quindi popolazioni di origine balcanica a cui si aggiunsero i proto-Celti. Gli oggetti di cui vi parlerò, sono databili fondamentalmente intorno al primo millennio a.C. e rappresentano un unicum a livello offertorio, oltre a testimoniare una condivisione di tipo rituale e tradizionale, radicata fra popolazioni diverse, unite nella Pratica a Genti ancora più lontane del Nord Europa, come vedremo in seguito.




L’ Alpe di Göge è una porzione di territorio situato a 2197 m. di quota, non lontano da Steinhaus-Cadipietra. E’ la fine degli anni ’90 quando Joseph Ausserhofer, il casaro proprietario del Maso Oberschöllberg di Weissenbach-Rio Bianco, notò l’affiorare di alcuni oggetti in legno, in un’area paludosa non lontana dalla sorgente del torrente. Gli oggetti si rivelarono fin da subito molto particolari, dotati di manici che li facevano assomigliare a palette, a mestoli. Ma il contadino non ne fece parola con nessuno. Fu solo dopo la sua morte avvenuta, a causa di una valanga nel 2005, che il fratello Adolf avvertì l’Ufficio Beni Archeologici della Provincia di Bolzano.




La zona divenne oggetto di una campagna di scavi, iniziata dagli organi competenti nel 2008, che vide nel 2009 un incremento della ricerca, con una seconda e più approfondita attività archeologica, che si pose come intento quello di dare una collocazione non solo temporale, ma anche culturale e cultuale al ritrovamento.
La prima situazione da risolvere fu come fare defluire l’acqua in eccesso che continuamente si infiltrava nel terreno, che una volta prosciugato, mostrò agli archeologi qualcosa di veramente raro. Su un’area poco estesa erano apparsi circa centocinquanta manufatti, palette e mestoli sia integri che frammentari, oltre a scarti di corteccia, evidenti resti di lavorazione in loco, esiti di un luogo rituale che fu usato per lungo tempo.




L’ambiente costituito da due zone paludose con al centro un dosso, indicò inequivocabilmente, anche attraverso i resti di offerte riscontrati, la presenza di un santuario databile grazie ai ritrovamenti di resti animali. Uno spillone con capocchia oltre ad un frammento di pendaglio a forma di ruota raggiata, costituiscono i rinvenimenti più antichi, riconducibili al periodo del Bronzo Recente e Finale e collocabili fra il 1400 ed il 1000 a.C. La zona si inserì così sin da subito per le sue peculiarità nel contesto locale dei Brandopferplätze, luoghi di offerte rituali immolate in roghi votivi.




L’attenzione maggiore però fu sicuramente catturata dai singolari oggetti dotati di manico che si stendevano ai piedi dei ricercatori, che furono datati con due metodi, per conferire loro una attribuzione cronologica la più attendibile possibile: il carbonio 14 e la dendrocronologia.
Se il primo metodo è il più conosciuto, il secondo permette di attribuire ad oggetti lignei una datazione con estrema accuratezza, in quanto si avvale di verificare gli anelli di accrescimento annuale degli alberi, e le loro differenza fra un anno ed un altro. Per l’arco alpino la continuità calendariale di cui si dispone è quella relativa agli ultimi 9100 anni, per questo si è in grado di offrire un riferimento temporale preciso ed affidabile.
L’analisi quindi portò a collocare i reperti più antichi a prima dell’anno Mille a.C., come abbiamo visto più sopra, e legarli al Bronzo Recente oltre che alla Urnenfelderkultur-Cultura dei Campi d’Urne. La maggior parte invece furono collocati nell’Età del Ferro corrispondenti alle Culture di Hallstatt e La Tène, in un periodo che riportò fin da subito a 2500-3000 anni fa.




Questo può significare solo una cosa e cioè che la zona fu utilizzata come area rituale e celebrativa durante la preistoria e come luogo ampiamente riconosciuto per la sua valenza sacra. Il numero di ritrovamenti riconduce a ritualità collettive che secondo gli usi del tempo, includevano anche suoni, canti, danze sacre alle Divinità oltre a preghiere, offerte ed infine a un banchetto cerimoniale.
L’offerta rituale comprendeva animali domestici (bovini, caprini, ovini), che venivano utilizzati nel convivio, altra parte fondamentale della celebrazione, e che secondo tradizione venivano offerti agli Dei, in maniera simbolica ed attraverso parti, quali il cranio e le zampe, donati sull’altare dove avrebbe avuto luogo il rogo votivo.

Veniamo alle palette ed alla loro deposizione in area paludosa. Il sito dell’Alpe di Göge è collocabile nell’ambito storico ed archeologico dei luoghi di culto palustri, che si estendono non solo in ambito alpino, ma anche germanico e baltico oltre che britannico. Questa pratica, i cui resti sono stati trovati in un’area di una valle isolata, creano un legame fra le popolazioni di questa regione ed altre popolazioni celtiche e non, ubicate in stati come il nord della Germania, la Danimarca, la Polonia, i Paesi Bassi, l’ Irlanda, il Regno Unito. Ciò di cui parlo sono i cadaveri mummificati delle torbiere, ritrovati nel numero di centinaia, che ancora oggi rappresentano un mistero non completamente svelato per gli archeologi, esattamente come le palette votive di Steinhaus-Cadipietra. 

In effetti luoghi lontani manifestano una ritualità collettiva, i cui tratti principali fanno sì che il ritrovamento dell’Alpe di Göge, sia ascrivibile per tradizione, ad altri ritrovamenti sempre dell’Età del Bronzo e fondamentalmente del Ferro, ma collocati a centinaia di chilometri di distanza, e riconducibili a questo punto, come già detto, non solo a popolazioni celtiche, ma anche appartenenti chiaramente ad altri gruppi etnici. In questi casi però parliamo di cadaveri, offerti alle acque di torbiera, e che sono meglio conosciute come le ‘mummie di palude’. 

Se teniamo conto che la mummia più antica risale al 6000 a.C., questo potrebbe relazionare l'usanza di utilizzare aree paludose per cerimonie ed offerte rituali anche di tipo umano, ad una popolazione autoctona europea; la consuetudine sarebbe stata successivamente acquisita dai nuovi arrivati facendo sì che i più numerosi ritrovamenti siano appunto raggruppabili nell’Età del Ferro.




Ma la torbiera, l’area paludosa cosa rappresentava per le popolazioni della Preistoria? Innanzitutto tali aree sono costituite da un ambiente anaerobico che anche grazie a basse temperature permette una conservazione ottimale non solo dei tessuti umani ma anche degli oggetti lignei, come nel caso delle palette votive, in quanto non permette la proliferazione dei microrganismi che generano la decomposizione. La palude così era vista come porta per l’Altromondo, come accesso per altri piani metafisici. La deposizione palustre acquisisce ed intreccia il valore della porta solstiziale.

La Natura in generale con i suoi doni, era anche il luogo dove offrire i propri alle Divinità, e fra le offerte figurava ciò che era più caro e importante: manufatti, oggetti personali, monili, abiti, corone di fiori, animali ed in alcuni casi anche corpi umani.

In Ahrntal-Valle Aurina si offrivano cereali che crescono solo alle alte quote come spelta, miglio e farro, ma anche pani o pappe ed i cocci di recipienti in ceramica attestano anche l’offerta di calici per bevande. Oltre alla donazione comune, quella personale, provata dai reperti più antichi (spillone e porzione di pendaglio di cui sopra) manifestano la richiesta - offerta sacra individuale anche a livello locale, che sicuramente includeva doni che non sono giunti sino a noi perché deteriorabili.
Inoltre l’ubicazione del luogo di culto, ad un’altitudine elevata fa pensare che venisse utilizzato durante periodi degli spostamenti in alpeggio, quindi a riconferma della ritualità riconducibile al Tempo del Solstizio d’Estate.



E’interessante leggere all’interno della mostra come anche lo scrittore greco Pausania (VIII, 42.11) ci testimoni che fra i doni alle Divinità comparissero anche favi di miele e lana grezza, che sarebbero stati unti con un olio particolare e dedicato solo alla celebrazione. Sebbene queste offerte al pari di altre a titolo personale come indumenti, fasce, fiori o artefatti in cera d’api tipici del periodo, non sono giunte sino a noi poiché troppo fragili e deperibili per durare millenni, mi riportano alla mente quando trattando della pratica annuale del transumanza che fra monticazione (dal 15 al 30 giugno) e demonticazione (dal 24 agosto al 29 settembre) occupa ancora oggi, per gli abitanti delle vallate locali non solo gran parte dell’anno, impegnando tutto il periodo estivo, ma rimane anche come eredità di antichissime consuetudini offertorie svolte lungo la strada verso gli alpeggi, come testimoniano i ritrovamenti di forbici da tosatura e fusi in Vinschgau-Val Venosta.

La Natura che si rioffre alla Natura, il Dono della Madre riofferto alla Madre, che mi ricorda come nel periodo del Solstizio d’Inverno l’impasto preparato per lo Zelten, in parte fosse ridonato con un abbraccio simbolico agli alberi stretti dal gelo, che dal giorno del minimo solare venivano cinti ed imbrattati dello stesso impasto che avrebbe costituito il dolce per eccellenza del periodo, con tutta una serie di passaggi tradizionali annessi, arrivati fino ai giorni nostri e forieri di nuovi frutti rigogliosi. 

Allo stesso modo, durante il Solstizio d’Estate, presso l’Alpe di Göge, venivano offerti doni riconducibili ai quattro elementi. L’artefatto in legno, la paletta, veicolava un intento legato ad un determinato momento rituale e cerimoniale, i semi, i pani e le varie preparazioni culinarie oltre alle parti di animali offerte sul rogo, rappresentavano l’elemento Terra; il torrente e la palude non lontano simboleggiavano l’elemento Acqua; il rogo era ovviamente connesso all’elemento Fuoco, e l’elemento Aria era dato da ciò che bruciando all’interno delle stesse palette fumigava l’ambiente. In questo caso i manufatti lignei fungevano a tutti gli effetti da brucia essenze, solo di maggiori dimensioni, ma non dissimili da modelli che oggi usiamo noi. Peraltro è significativo come fra le piante disponibili sul territorio, fosse proprio il ginepro ad essere bruciato, in quanto sin dall’antichità era riconosciuto come pianta che sapeva ripulire e proteggere l’ambiente da forze ostili che potessero compromettere in qualche modo l’offerta agli Dei.

Le palette venivano create da parti di legno di pino cembro, di foggia e grandezza differenti; erano utilizzate per trasportare braci ove annerite, e quelle senza segno di bruciatura probabilmente venivano usate come contenitori per le carni del banchetto. Il fatto che fossero create strettamente in loco, le pone fra le procedure artigianali dei manufatti, tipiche di una ritualistica dai canoni ben precisi, ed il loro utilizzo era strettamente monouso, prima di essere affidate alla palude.

Oggi debitamente ospitate in una teca di forma circolare adagiata a terra, le palette votive dell’Alpe di Göge si offrono a noi come rara testimonianza di un antichissimo culto che connotava quest’area similmente ad altre più lontane in Provincia, unite da luoghi preposti a rogo votivo in area alpina.

Possiamo presupporre quindi che la ritualità  fu svolta da comunità che abitavano stabilmente la Ahrntal- Valle Aurina o l’area di Sand in Taufers-Campo Tures.

Questa scoperta che viene definita sensazionale è esposta al pubblico dal 2015.
Tradizioni solstiziali fondate sull’equilibrio dell’Offrire per Ricevere giunte sino a noi, varchi aperti su domande e perplessità che la Preistoria ci lascia.


















Immagini

*Tutte tratte dall’archivio personale


Sitografia

Miei articoli 2018

*Lo Zelten il dolce della Tradizione del Solstizio d’Inverno che si mangiava il 6 gennaio

*Roghi votivi. Il Sonnenburger Kopf il colle fra ritualità e celebrazioni

*Il rientro dagli alpeggi fra storia e tradizione

*Hubert Steiner, Kurt Nicolussi, Andrea Thurner, Thomas Pichler
Schaufeln für die Götter—Vorgeschichtliches Heiligtum auf der Schöllberg-Göge in Weißenbach (Gemeinde Ahrntal)

*L’ultimo viaggio di una ragazza dell’Età del Bronzo

*Le misteriose mummie di palude

*Il mistero delle mummie del Nord

Fonti locali

*Esposizione permanente ‘Palette votive in dono agli Dei’, c/o Pfistehaus Steinhaus-Cadipietra Comune di Ahrntal-Valle Aurina