‘Per l’eternità sacrificato agli Dei’ con questa
introduzione scritta in tre lingue (Tedesco, Italiano ed Inglese) viene accolto
il visitatore che entra la Sala del Comune di Ahrntal-Valle Aurina nell’omonima
Valle e situato nella frazione di Steinhaus-Cadipietra. La raccolta ospitata
presso la sede del Municipio è ubicata al piano terra del Pfisterhaus, l’edificio che oltre all’area espositiva è sede appunto anche degli uffici municipali.
La Valle fu abitata sin da tempi antichissimi, i primi
abitanti individuabili in quest’area furono proto-Illiri e quindi popolazioni di
origine balcanica a cui si aggiunsero i proto-Celti. Gli oggetti di cui vi
parlerò, sono databili fondamentalmente intorno al primo millennio a.C. e
rappresentano un unicum a livello offertorio, oltre a testimoniare una
condivisione di tipo rituale e tradizionale, radicata fra popolazioni diverse,
unite nella Pratica a Genti ancora più lontane del Nord Europa, come vedremo in
seguito.
L’ Alpe di Göge
è una porzione di territorio situato a 2197 m. di quota, non lontano da Steinhaus-Cadipietra.
E’ la fine degli anni ’90 quando Joseph Ausserhofer, il casaro proprietario del
Maso Oberschöllberg di Weissenbach-Rio
Bianco, notò l’affiorare di alcuni oggetti in legno, in un’area paludosa non
lontana dalla sorgente del torrente. Gli oggetti si rivelarono fin da subito
molto particolari, dotati di manici che li facevano assomigliare a palette, a
mestoli. Ma il contadino non ne fece parola con nessuno. Fu solo dopo la sua
morte avvenuta, a causa di una valanga nel 2005, che il fratello Adolf avvertì
l’Ufficio Beni Archeologici della Provincia di Bolzano.
La zona divenne oggetto di una campagna di
scavi, iniziata dagli organi competenti nel 2008, che vide nel 2009 un
incremento della ricerca, con una seconda e più approfondita attività
archeologica, che si pose come intento quello di dare una collocazione non solo
temporale, ma anche culturale e cultuale al ritrovamento.
La prima situazione da risolvere fu come fare defluire
l’acqua in eccesso che continuamente si infiltrava nel terreno, che una volta prosciugato, mostrò agli archeologi qualcosa di veramente raro. Su un’area poco estesa erano apparsi circa
centocinquanta manufatti, palette e mestoli
sia integri che frammentari, oltre a scarti di corteccia, evidenti resti di
lavorazione in loco, esiti di un luogo rituale che fu usato
per lungo tempo.
L’ambiente costituito da due zone paludose con al centro un
dosso, indicò inequivocabilmente, anche attraverso i resti di offerte
riscontrati, la presenza di un santuario databile grazie ai ritrovamenti di resti
animali. Uno spillone con capocchia oltre ad un frammento di pendaglio a forma
di ruota raggiata, costituiscono i rinvenimenti più antichi, riconducibili al
periodo del Bronzo Recente e Finale e collocabili fra il 1400 ed il 1000 a.C.
La zona si inserì così sin da subito per le sue peculiarità nel contesto locale
dei Brandopferplätze, luoghi di offerte rituali immolate in roghi votivi.
L’attenzione maggiore però fu sicuramente catturata dai
singolari oggetti dotati di manico che si stendevano ai piedi dei ricercatori,
che furono datati con due metodi, per conferire loro una attribuzione
cronologica la più attendibile possibile: il carbonio 14 e la dendrocronologia.
Se il primo metodo è il più conosciuto, il secondo
permette di attribuire ad oggetti lignei una datazione con estrema accuratezza,
in quanto si avvale di verificare gli anelli di accrescimento annuale
degli alberi, e le loro differenza fra un anno ed un altro. Per l’arco alpino
la continuità calendariale di cui si dispone è quella relativa agli ultimi 9100
anni, per questo si è in grado di offrire un riferimento temporale preciso ed
affidabile.
L’analisi quindi portò a collocare i reperti più
antichi a prima dell’anno Mille a.C., come abbiamo visto più sopra, e legarli al
Bronzo Recente oltre che alla Urnenfelderkultur-Cultura dei Campi d’Urne. La
maggior parte invece furono collocati nell’Età del Ferro corrispondenti alle
Culture di Hallstatt e La Tène, in un periodo che riportò fin da subito a
2500-3000 anni fa.
Questo può significare solo una cosa e cioè che la zona fu utilizzata come area rituale e celebrativa durante la preistoria e come luogo ampiamente riconosciuto per la sua valenza sacra. Il numero di ritrovamenti riconduce a ritualità collettive che secondo gli usi del tempo, includevano anche suoni, canti, danze sacre alle Divinità oltre a preghiere, offerte ed infine a un banchetto cerimoniale.
L’offerta rituale comprendeva animali domestici (bovini,
caprini, ovini), che venivano utilizzati nel convivio, altra parte
fondamentale della celebrazione, e che secondo tradizione venivano offerti agli
Dei, in maniera simbolica ed attraverso parti, quali il cranio e le zampe,
donati sull’altare dove avrebbe avuto luogo il rogo votivo.
Veniamo alle palette ed alla loro deposizione in
area paludosa. Il sito dell’Alpe di Göge
è collocabile nell’ambito storico ed archeologico dei luoghi di culto palustri, che si estendono non solo in ambito alpino, ma anche germanico e baltico oltre che
britannico. Questa pratica, i cui resti sono stati trovati in un’area di
una valle isolata, creano un legame fra le popolazioni di questa regione ed
altre popolazioni celtiche e non, ubicate in stati come il nord della Germania,
la Danimarca, la Polonia, i Paesi Bassi, l’ Irlanda, il Regno Unito. Ciò di cui
parlo sono i cadaveri mummificati delle torbiere, ritrovati nel numero di
centinaia, che ancora oggi rappresentano un mistero non completamente svelato
per gli archeologi, esattamente come le palette votive di Steinhaus-Cadipietra.
In effetti luoghi lontani manifestano una ritualità collettiva, i cui tratti
principali fanno sì che il ritrovamento dell’Alpe di Göge, sia ascrivibile per tradizione, ad altri ritrovamenti sempre
dell’Età del Bronzo e fondamentalmente del Ferro, ma collocati a centinaia di
chilometri di distanza, e riconducibili a questo punto, come già detto, non solo a popolazioni
celtiche, ma anche appartenenti chiaramente ad altri gruppi etnici. In questi
casi però parliamo di cadaveri, offerti alle acque di torbiera, e che sono
meglio conosciute come le ‘mummie di palude’.
Se teniamo conto che la mummia più antica
risale al 6000 a.C., questo potrebbe relazionare l'usanza di utilizzare aree
paludose per cerimonie ed offerte rituali anche di tipo umano, ad una
popolazione autoctona europea; la consuetudine sarebbe stata successivamente acquisita dai nuovi
arrivati facendo sì che i più numerosi ritrovamenti siano appunto
raggruppabili nell’Età del Ferro.
Ma la torbiera, l’area paludosa cosa rappresentava per
le popolazioni della Preistoria? Innanzitutto tali aree sono costituite da un
ambiente anaerobico che anche grazie a basse temperature permette una
conservazione ottimale non solo dei tessuti umani ma anche degli oggetti lignei,
come nel caso delle palette votive, in quanto non permette la proliferazione
dei microrganismi che generano la decomposizione. La palude così era vista come
porta per l’Altromondo, come accesso per altri piani metafisici. La deposizione
palustre acquisisce ed intreccia il valore della porta solstiziale.
La Natura in generale con i suoi doni, era anche il
luogo dove offrire i propri alle Divinità, e fra le offerte figurava ciò che era più caro e importante: manufatti, oggetti personali, monili, abiti,
corone di fiori, animali ed in alcuni casi anche corpi umani.
In Ahrntal-Valle Aurina si offrivano cereali che
crescono solo alle alte quote come spelta, miglio e farro, ma anche pani o
pappe ed i cocci di recipienti in ceramica attestano anche l’offerta di calici per bevande. Oltre alla donazione comune, quella personale,
provata dai reperti più antichi (spillone e porzione di pendaglio di cui sopra) manifestano
la richiesta - offerta sacra individuale anche a livello locale, che sicuramente includeva doni che
non sono giunti sino a noi perché deteriorabili.
Inoltre l’ubicazione del luogo di culto, ad
un’altitudine elevata fa pensare che venisse utilizzato durante periodi degli spostamenti
in alpeggio, quindi a riconferma della ritualità riconducibile al Tempo del Solstizio d’Estate.
E’interessante leggere all’interno della mostra come
anche lo scrittore greco Pausania (VIII, 42.11) ci testimoni che fra i doni alle
Divinità comparissero anche favi di miele e lana grezza, che sarebbero stati
unti con un olio particolare e dedicato solo alla celebrazione. Sebbene queste offerte
al pari di altre a titolo personale come indumenti, fasce, fiori o artefatti in
cera d’api tipici del periodo, non sono giunte sino a noi poiché troppo fragili
e deperibili per durare millenni, mi riportano alla mente quando trattando
della pratica annuale del transumanza che fra monticazione (dal 15 al 30
giugno) e demonticazione (dal 24 agosto al 29 settembre) occupa ancora oggi, per gli abitanti delle vallate locali non solo gran
parte dell’anno, impegnando tutto il periodo estivo, ma rimane anche come eredità di antichissime consuetudini offertorie svolte lungo la strada verso gli alpeggi, come testimoniano i ritrovamenti
di forbici da tosatura e fusi in Vinschgau-Val Venosta.
La Natura che si rioffre alla Natura, il Dono della
Madre riofferto alla Madre, che mi ricorda come nel periodo del Solstizio
d’Inverno l’impasto preparato per lo Zelten, in parte fosse ridonato con un
abbraccio simbolico agli alberi stretti dal gelo, che dal giorno del minimo solare
venivano cinti ed imbrattati dello stesso impasto che avrebbe costituito il
dolce per eccellenza del periodo, con tutta una serie di passaggi tradizionali
annessi, arrivati fino ai giorni nostri e forieri di nuovi frutti rigogliosi.
Allo stesso modo, durante il Solstizio d’Estate,
presso l’Alpe di Göge, venivano
offerti doni riconducibili ai quattro elementi. L’artefatto in legno, la
paletta, veicolava un intento legato ad un determinato momento rituale e cerimoniale,
i semi, i pani e le varie preparazioni culinarie oltre alle parti di animali offerte
sul rogo, rappresentavano l’elemento Terra; il torrente e la palude non lontano
simboleggiavano l’elemento Acqua; il rogo era ovviamente connesso all’elemento Fuoco,
e l’elemento Aria era dato da ciò che bruciando all’interno delle stesse palette fumigava l’ambiente. In questo caso i manufatti lignei
fungevano a tutti gli effetti da brucia essenze, solo di maggiori dimensioni, ma
non dissimili da modelli che oggi usiamo noi. Peraltro è significativo come fra le
piante disponibili sul territorio, fosse proprio il ginepro ad essere bruciato,
in quanto sin dall’antichità era riconosciuto come pianta che sapeva ripulire e
proteggere l’ambiente da forze ostili che potessero compromettere in qualche
modo l’offerta agli Dei.
Le palette venivano create da parti di legno di pino cembro,
di foggia e grandezza differenti; erano utilizzate per trasportare braci ove annerite,
e quelle senza segno di bruciatura probabilmente venivano usate come contenitori
per le carni del banchetto. Il fatto che fossero create strettamente in loco, le
pone fra le procedure artigianali dei manufatti, tipiche di una ritualistica dai
canoni ben precisi, ed il loro utilizzo era strettamente monouso, prima di essere affidate alla palude.
Oggi debitamente ospitate in una teca di forma
circolare adagiata a terra, le palette votive dell’Alpe di Göge si offrono a noi come rara testimonianza
di un antichissimo culto che connotava quest’area similmente ad
altre più lontane in Provincia, unite da luoghi preposti a rogo votivo in area
alpina.
Possiamo presupporre quindi
che la ritualità fu svolta da comunità
che abitavano stabilmente la Ahrntal- Valle Aurina o l’area di Sand in
Taufers-Campo Tures.
Questa scoperta che viene
definita sensazionale è esposta al pubblico dal 2015.
Tradizioni solstiziali fondate
sull’equilibrio dell’Offrire per Ricevere giunte sino a noi, varchi aperti su domande e perplessità che la Preistoria ci lascia.
Immagini
*Tutte tratte dall’archivio
personale
Sitografia
Miei articoli 2018
*Lo Zelten il dolce della Tradizione del Solstizio
d’Inverno che si mangiava il 6 gennaio
*Roghi votivi. Il Sonnenburger Kopf il colle fra
ritualità e celebrazioni
*Il rientro dagli alpeggi
fra storia e tradizione
*Hubert Steiner, Kurt Nicolussi, Andrea Thurner, Thomas Pichler
Schaufeln für die
Götter—Vorgeschichtliches Heiligtum auf der Schöllberg-Göge in Weißenbach
(Gemeinde Ahrntal)
*L’ultimo viaggio di una ragazza dell’Età del Bronzo
*Le misteriose mummie di palude
*Il mistero delle mummie del Nord
Fonti
locali
*Esposizione permanente
‘Palette votive in dono agli Dei’, c/o Pfistehaus Steinhaus-Cadipietra Comune
di Ahrntal-Valle Aurina