Lettori fissi

mercoledì 31 agosto 2022

La Strega della Bielerturm (Wernigerode, Harz, Sachsen-Anhalt Sassonia-Anhalt, Germania)



Katharina von Bieler era una Strega, so che ora il vostro pensiero correrà ad una donna brutta, con porri sul viso ed un naso adunco, ma Katharina non era affatto così.

Le sue forme erano sinuose come la sua camminata, sebbene la sua espressione fosse sempre imbronciata. La sua pelle candida, i suoi occhi verdi e trasparenti come acqua limpida, ed il suo corpo dalle morbide movenze, lasciavano intravedere i tratti della pienezza della gioventù. Su di lei si posavano anche gli sguardi dei conti e dell'aristocrazia del luogo in cui viveva ed il suo pensiero in più di un uomo stimolava erotiche fantasie.

Un giorno in paese si presentò un monaco del Monastero di Himmelpforte, predicava ed intanto chiedeva offerte per sé ed i suoi confratelli, mentre il suo volto si guardava intorno cercando elemosine, i suoi occhi incontrarono quelli di Katharina. Era giovane il monaco e Katharina resasi conto di quello sguardo insistente lo avvicinò dicendogli che lo avrebbe portato dove avrebbe potuto ottenere molte più offerte per la sua comunità, ma una volta che si furono allontanati dalla piazza principale, in un luogo appartato lei tentò di baciare il monaco, il quale la prima volta cercò di allontanarla mentre la seconda cedette a quel richiamo carnale così forte. L'uomo conobbe il sesso per la prima volta in vita sua, ed il piacere pervase i corpi di entrambi, facendo sentire lui – come mai prima – vicino a Dio e Katharina adorata come fosse una Dea.

Ma si sa che le voci corrono veloci, tanto più in un piccolo borgo, dove l'accaduto arrivò all'orecchio della Badessa di Drübeck che meditò subito come vendicare l'accaduto. Per lei Katharina del resto era solo una strega e come tale, il suo comportamento sconsideratamente libero andava punito, come aveva osato sedurre il povero monaco?Soprattutto con quali mezzi lo aveva incantato per condurlo alla perdizione?

La Badessa era perfettamente cosciente che una sua parola avrebbe condannato la giovane e bella fanciulla, ma per lei il seme di quella libertà era da estirpare, quella sfrontatezza non era ammissibile, il tutto era riconducibile solo ad una parola, stregoneria.

Katharina fu accusata, andarono a prenderla a casa, la portarono in piazza, la folla si era accalcata per assistere a quell'ennesimo finto processo, per inveire contro di lei che meritava solo di essere arsa sulle fiamme. Era una strega, bisognava cercarne i segni sul corpo, le strapparono i vestiti, la denudarono, la umiliarono, la ragazza spavalda che tutti conoscevano ora era fragile, indifesa, pagava il suo essere stata libera, femminile, attraente, bella, per aver saputo onorare il suo essere donna e averne saputo godere; le occhiate della folla accorsa scrutavano il suo corpo, il tutto era parte di un qualcosa di così aberrante che il suo sguardo impietrito non riusciva a comprendere.

Legata con le mani dietro la schiena e nuda, fu sistemata sopra della legna accatastata pronta ad arderla. Intanto del monaco sedotto si era persa ogni traccia, condannato ad espiare quello che veniva considerato il peccato più grande, unirsi sessualmente con una Strega.

Erano state appiccate le fiamme, iniziava a salire il fumo, Katharina svenne, la fine era vicina, da lontano si sentì il rumore degli zoccoli di un cavallo al galoppo, il cavaliere estrasse la sua spada, si fece largo fra la folla, con un colpo di lama liberò il corpo della giovane, dalle corde che lo bloccavano e lo caricò sul cavallo, allontanandosi sotto gli sguardi attoniti dell'intera comunità.

Katharina era stata lavata e messa a letto, il mattino dopo si svegliò non capendo dove fosse, pensò di essere morta per essere in un luogo così bello, guardando il suo letto a baldacchino riccamente decorato. Ma presto entrarono delle servitrici, le spiegarono che era nel castello, che il Signore del maniero l'aveva salvata da una fine ingiusta, e aveva trovato salvezza fra quelle mura. L'aiutarono ad alzarsi, avevano preparato per lei un ricco abito, e fu acconciata raccogliendo i lunghi capelli che generalmente le cadevano sulle spalle. Una volta pronta scese una scala che conduceva ad un salone, il Conte che stava guardando attraverso una grande vetrata verso il parco, si voltò lentamente, i loro sguardi si incontrarono, lei abbozzò solamente 'Perchè mi hai salvata?', lui le si avvicinò e rispose 'Perché il mio cuore è stato tuo fin dalla prima volta che ti vidi in paese, non ho mai pensato che tu fossi da allontanare e punire, non ho mai creduto al male che si dice su di te, potrai rimanere qui sino a che vorrai'. Katharina rispose con sguardo d'amore. 'Posso rimanere per sempre allora?' Il Conte si inginocchiò di fronte a lei e chiese, prendendole la mano 'Per sempre?' Lei annuì mentre rispondeva 'Si'.

Katharina aveva trovato chi, non solo, la amava per quella che era ma non temeva la sua femminilità libera e prorompente, il suo Sapere, la sua Arte, si sentiva trattata come mai prima, come una Dea, pensava spesso mentre passeggiava per il viale alberato del Castello, di cui ancora oggi la torre si chiama la Bielerturm.


Nota

Nei racconti di stregoneria, per quello che ho potuto trattare, si favorisce tendenzialmente descrivere la Strega come una vecchia nell'atto di visione e premonizione. Nelle leggende dello Harz compare una variante che in ambito alpino-dolomitico non mi è ancora accaduto di incontrare; in questa narrazione innanzitutto la Strega è giovane e bella, ma l'argomento principale del racconto è che Katharina è una donna libera sessualmente, che sa godere del proprio corpo e di quello di colui con cui condivide il suo piacere. Questo suo modo di agire si pone in antitesi al pensiero cristiano per cui il piacere è qualcosa di peccaminoso, altra antitesi si mostra attraverso l'uomo che seduce, un monaco; i loro due mondi si incontrano per evidenziare però il contrasto insanabile fra politeismo e monoteismo. Una leggenda che mette in risalto la libertà anche sessuale della Strega, una leggenda che mostra come questa indipendenza sia consapevole nel pagano, quanto si ponga in opposizione alla negazione del corpo e delle sue naturali pulsioni in ambito cristiano, una leggenda che però trova il suo lieto fine nella libertà che il Conte le regala liberandola dalle fiamme che stanno per avvolgerla, nello sguardo di questo uomo che guarda a Katharina non solo come alla bella e disinibita giovane, ma con rispetto alla sua Arte, alla sua Visione, al suo Mondo, tanto da renderla Signora del Castello e rendendole la sua Sovranità, che Lei, Donna di Conoscenza merita, offrendole così una vita degna di una Divinità. Per Katharina in qualche modo il suo elevarsi socialmente corrisponde al suo essere riconosciuta come Strega, ed al collocare l'Ars Stregonica in un ambito aristocratico che marca il distinguo fra la cultura non dogmatica rappresentata dall'apertura del  Signore del Castello e l'atteggiamento della massa inferocita che invece assiste al processo di Katharina mossa solo da paura e ignoranza. Katharina diventa aristocratica, la sua Arte lo diviene, questa leggenda insegna che l'opposto della paura è la conoscenza, quella Conoscenza che diviene Saggezza. Onore alla figura di Katharina Von Bieler, Strega di Wernigerode condannata al rogo, la cui leggenda ed il cui ricordo viene evocato dalla Bielerturm, la torre del Castello che ancora oggi porta il suo nome.




Immagine

*Tratta da Pinterest liebedeutschland.tumblr.com

Bibliografia

*Kiehne Casten, Sagenhafer Nordharz. Die 100 schönsten Sagen & Märchen von Goslar bis Wernigerode, BoD – Books on demand, Norderstedt 2018


lunedì 8 agosto 2022

La Dea Dolmen di Langeneichstädt (Dolmengöttin von Langeneichstädt - Germania)



1. Dea Dolmen di Langeneichstädt 
Landesmuseum für Vorgeschichte Halle-Museo Statale della Preistoria di Halle


Il ritrovamento

Era il 1987 quando durante i lavori di aratura di un campo, un contadino si imbatté in una pietra di grandi dimensioni. L'area posta su una collina poi rivelatasi un tumulo, aveva visto già in tempi passati la costruzione di una torre di vedetta, l' Eichstätter Warte, facente parte di un sistema di difesa altomedievale che dista solo trenta metri dal ritrovamento. Una volta rimosso il sottile strato di terra che separava la superficie da una serie di pietre, ciò che venne alla luce fu una tomba a camera, della lunghezza di 5,3 metri.


2. Le prime fasi dello scavo, si notino i pochi centimetri di terra che ricoprivano la tomba 
Landesmuseum für Vorgeschichte Halle-Museo Statale della Preistoria di Halle


La tomba a camera ed il materiale rinvenuto

Le tombe a camera preistoriche erano spesso utilizzate come tombe collettive, questo significa che servivano per più membri della stessa comunità, questo è anche confermato dalla disposizione dei reperti che mostrano come la camera venisse sgomberata regolarmente per permettere poi nuove sepolture. La tomba mostra così di essere stata aperta più volte al fine di consentire la rimozione dei corredi funerari. Questa è la ragione principale per cui internamente sono stati trovati pochi reperti e di piccole dimensioni.

Fra gli oggetti rinvenuti vi furono gioielli realizzati con ossa di animali, rame, perline di marmo e ambra, che hanno fatto pensare che questa tomba, utilizzata da Culture diverse, almeno in un caso sia stata utilizzata per la sepoltura di un membro importante della comunità. In particolare al centro della camera funeraria sono stati trovati diversi coni di corno bovino oltre alle ossa già citate, il tutto si colloca nel contesto rituale della morte del Neolitico, in cui i coni di corni sono usuali come offerta all'interno delle sepolture, così come nei fossati circolari. Nella Bernburg Kultur-Cultura di Bernburg in Sachsen-Anhalt Sassonia-Anhalt sono note anche sepolture intere di bestiame comprensivo di carri e di gioghi.

Durante il ritrovamento, la lastra di copertura che fu usata dai costruttori della tomba evidenziò come fosse un menhir sbozzato alla base, alto 1,76 metri e di precedente creazione. La tomba da un rilevamento al radiocarbonio è databile al Neolitico Medio fra il 3600 ed il 2700 a.C. e i reperti ceramici gravemente frantumati ritrovati principalmente vicino all'accesso ed alla parete sud, risultano essere appartenenti ad un periodo che in area germanica si divise fra tre Culture peculiari: 
Walternienburg Kultur – Cultura di Walternienburg (3350-3100 a.C.)
Bernburg Kultur – Cultura di Bernburg (3100-2800 a.C.)
Salzmünder Kultur – Cultura di Salzmünde (3375-3100 a.C.)


3.4. Ceramica tipica e sotto particolare della stessa Walternienburg Kultur – Cultura di Walternienburg
Landesmuseum für Vorgeschichte Halle-Museo Statale della Preistoria di Halle


Molte domande sono ancora però senza una risposta, in quanto le tombe a camera e le sepolture collettive sono tipiche della Walternienburg-Bernburg Kultur – Cultura di Walternienburg-Bernburg, mentre sono inconsuete per la Salzmünder Kultur – Cultura di Salzmünde, alla quale appartengono invece i resti; aver quindi trovato reperti di questa Cultura apre a diversi interrogativi sui contatti culturali fra i vari gruppi.

Le ossa umane ritrovate – da un'analisi al radiocarbonio - collocano la più antica occupazione della camera funeraria in un periodo compreso fra il 3369 ed il 3105 a.C. mentre l'ultima fase di utilizzo potrebbe essere collegata alla Schnurkeramik Kultur - Cultura della Ceramica Cordata (2800-2050 a.C.)


5. La tomba megalitica come appare oggi, la copia del menhir è stata ricollocata - pur non conoscendone la posizione iniziale - come doveva essere un tempo ancor prima della costruzione tombale 
Landesmuseum für Vorgeschichte Halle-Museo Statale della Preistoria di Halle


La Dea Dolmen

La colonna in arenaria grigio-gialla chiaro lascia intravedere, sin dal primo sguardo, sembianze umane; sebbene di forma fallica, mostra nella sua parte superiore, i tratti stilizzati di un ovale a stelo femminile, decorato con tre linee orizzontali e una verticale oltre a due piccoli fori, che richiamano due piccoli occhi, uno sguardo che per chi lo scolpì significava la vista nel Mondo della Morte. Queste caratteristiche hanno ampi riferimenti a livello europeo e legano la struttura in pietra all'immagine della Grande Madre. Il menhir fu adagiato come copertura in maniera tale che il volto guardasse verso l' interno della tomba. Tale posizionamento potrebbe aver onorato, e persino magicamente rafforzato chi vi era sepolto, inoltre ricorda l'immagine di Culto di quell'epoca storica e di come il Mondo dei Vivi ed il Mondo dei Morti fosse unito, in quanto la Divinità ctonia era inscindibilmente legata agli aspetti della fertilità in tutte le sue manifestazioni ed alla rigenerazione nella morte (Müller 1988).  Sempre sulla parte superiore - al di sotto del volto - si evidenziano anche i tratti finemente scolpiti di un'ascia, simbolo secondo gli archeologi di status maschile, così come una coppa sulla corona indica un altro elemento di rango maschile. L'elemento femminile e quello maschile sulla stessa pietra rappresentano così il Matrimonio Sacro delle due polarità, che coesiste in questa Dea. I fianchi della pietra presentano tracce di levigatura e graffi che ci riportano a tradizioni che appunto dal Neolitico, sono rimaste vive e praticate in tutta Europa per millenni, sino a tempi relativamente recenti come quelle di sfregare il proprio corpo contro un masso, una pietra che si riteneva avesse la capacità di aumentare la fertilità o di guarire da malattie semplicemente attraverso il contatto con essa. Anche segni di graffi sempre sullo stesso masso indicano che granelli dello stesso venivano asportati ed uniti al cibo, sempre per beneficiare una persona, una famiglia, il bestiame. Del resto la tradizione di asportare farina di roccia è documentata anche in Sudtirolo, affinché
potesse portare giovamento a chi la mangiasse amalgamata ai cibi, questa usanza che come vediamo è attestata dall'Età della Pietra, si è trasformata in ambito alpino-dolomitico passando dall'asportazione di piccole parti di roccia riferita a massi considerati sacri, alla sottrazione di polvere di statue e dipinti sacri di santi che hanno sostituito il Culto politeista dell'Antica Europa, mantenendo però intatta una Tradizione.


6. Primo piano del menhir intero 
Landesmuseum für Vorgeschichte Halle-Museo Statale della Preistoria di Halle

Vi è però anche un'altra interpretazione dell'ovale del volto nel quale alcuni ricercatori vedono uno scudo da battaglia sempre stilizzato, che potrebbe forse simboleggiare la protezione degli antenati. Infatti nell'ambito del Culto degli Antenati, vi sono indicazioni di scudi animati grazie ad alcune pratiche, che avrebbero supportato il guerriero durante la battaglia con il potere speciale degli avi.

L'originale di questo menhir protetto da intemperie è custodito al Landesmuseum für Vorgeschichte Halle-Museo Statale della Preistoria di Halle, quello presente sul sito del ritrovamento è una copia (una seconda, dato che la prima fu rubata nel 2006), un'altra riproduzione è visibile presso Burg Querfurt-Castello di Querfurt.

Il tumulo su cui sorge la tomba è uno dei tanti tumuli sepolcrali livellati scoperti durante rilievi aerei. Tumuli accomunati dallo stesso asse di allineamento e che potrebbero risalire allo stesso periodo storico.


7.8. Particolari dell'enigmatico volto della Dea Dolmen
Landesmuseum für Vorgeschichte Halle-Museo Statale della Preistoria di Halle


Il menhir della Dea dolmen continua ad essere uno dei rarissimi esempi di menhir dell'Europa centrale decorati che ricordano una figura umana. In Sachsen-Anhalt Sassonia-Anhalt esistono numerosi menhir che inizialmente segnavano i tumuli funerari o comunque luoghi degni di una certa importanza e riutilizzati in strutture funerarie megalitiche.

Con il suo linguaggio simbolico il menhir della tomba megalitica di Langeneichstädt offre una visione complessa sul mondo sia magico che sepolcrale di un'epoca che ha più di 5000 anni. Un menhir, una Dea che con il suo sguardo vegliava il Mondo dei Vivi e quello dei Morti, una Madre la cui radice affondava nella scura terra di un tumulo, nel potere e saggezza degli Antenati, nella forza rigeneratrice della Morte.



Immagini

*1, 3, 4, 6, 7, 8 Tratte dall'archivio personale

*2, 5 Proprietà del Landesmuseum für Vorgeschichte Halle-Museo Statale della Preistoria di Halle 


Bibliografia 

*Groht Johannes, Menhire in Deutschland,  Landesmuseum für Vorgeschichte Halle 2013

*Meller Harald, Schönheit, Macht und Tod, 120 Funde aus 120 JahrenLandesmuseum für Vorgeschichte Halle 2001


Sitografia

*cfr. Il potere della pietra, un antico luogo di culto litico Heilig Geist im Ahrntal-Santo Spirito in Valle Aurina (Prettau-Predoi BZ)

http://ilblogdilujanta.blogspot.com/2020/01/il-potere-della-pietra-un-antico-luogo.html

*cfr.Burg-Castel Karneid-Cornedo ed il Santuario di Maria Weiβenstein - Pietralba, I varchi della Morte della Eisacktal-Valle Isarco

https://ilblogdilujanta.blogspot.com/2018/07/castel-karneid-cornedo-ed-il-santuario.html

venerdì 7 gennaio 2022

Ajdovska Deklika, la Vergine Etena del Monte Prisank-Prisani (Slovenia)





Molto tempo fa, fra le alte rocce del Monte Prisank-Prisani viveva insieme a due sorelle una fanciulla; da tutti era conosciuta come Aidovska Deklika-La Vergine Etena (1). Era grande, grandissima, quasi come le vette fra le quali viveva, dotata di buon cuore si prendeva cura di tutti i viaggiatori, che principalmente per questioni di trasporto erano costretti ad oltrepassare il passo del Vršič-della Moistrocca. La strada che conduceva al colle era tortuosa ed il clima spesso mostrava il suo aspetto più pericoloso. In inverno la neve ed il ghiaccio, rendevano malagevole il percorso ed in estate improvvise nebbie si alzavano - anche nelle giornate più calde ed apparentemente serene - togliendo completamente visibilità e trasformando di fatto la strada in un luogo cieco ed estremamente rischioso. 

In quei momenti Ajdovska Deklika non esitava a lasciare la sua dimora, poiché il suo fine udito le permetteva di rilevare anche la più piccola situazione di insicurezza, disagio, paura e le grida che chiamavano il suo nome in aiuto. Giungeva in un battito di ciglia sul luogo dove i trasportatori di merci affaticati dal lungo tragitto si bloccavano, creando varchi tra le nebbie o tra la neve e permettendo così la continuazione del viaggio. La Gigantessa oltre ad essere un punto di riferimento per tutti, era molto amata, tanto che quando gli stessi trasportatori erano di ritorno, liberi dai loro carichi di merci, non dimenticavano mai di lasciare pane e vino lungo la strada che conduceva al monte Prisank-Prisani, perché era loro cura assicurarsi che quella Regina delle Vette non avesse mai da patire la fame o la sete. Ma la Dama Bianca – anche così era chiamata con le sue sorelle – oltre ad essere una guida fra gli impervi tornanti, era anche una Fata Madrina. Per ogni nuovo nato del villaggio, lei si dirigeva a casa della famiglia, si disponeva di fronte alla culla della bambina o del bambino e poi profetizzava il suo futuro. 

Fu così che fece una notte in cui ad una pastora era nato un bel bambino paffuto. Si recò presso la casa, la madre si era assopita dopo le fatiche del parto, non distante da lei una culla in legno, all'interno un fagottino nato da pochissime ore, dormiva serenamente avvolto in coperte di lana, che dovevano coprirne il piccolo corpo nella fredda notte montana. La Vergine Etena si chinò dolcemente sulla culla, lo guardò ben bene, poi si sedette accanto al fuoco e profetizzò "Quando sarai un uomo adulto diventerai un abile cacciatore, come questo villaggio e questa valle non hanno mai conosciuto, ma un giorno ahimé ucciderai Zlatorog, il bianco camoscio dalle corna dorate." Non appena le sorelle della Gigantessa vennero a conoscenza della profezia, la maledissero. Così Ajdovska Deklika come rientrò a casa nel Monte Prisank-Prisani, si trasformò in roccia e purtroppo non fu più in grado di offrire il suo prezioso aiuto ai viaggiatori, attraverso i tortuosi e spesso difficili tracciati montani. Il tempo però le diede ragione, poiché il suo atto di veggenza si verificò a distanza di qualche decennio, esattamente come lei aveva visto. Oggi il suo volto emerge ancora dalla pietra a guardia della Valle che abitò ed amò, a ricordo della sua storia.





 Note 

 1) La versione slovena si riferisce a questa Gigantessa con il termine Ajdovska Deklika che viene tradotto in Inglese con Heathen Maiden. Si può leggere un articolo completamente dedicato al lessema (origine ed utilizzo linguistico) il cui link è nelle fonti. 

 2) La leggenda porta con sé diversi elementi comuni anche ad altre mitologie europee, in primis a quella alpino-dolomitica; i Giganti connessi alle montagne, dove in questo caso abbiamo una o meglio tre Gigantesse protagoniste, Triade composta da Fate Madrine. Riguardo l'argomento fata si apre un tema che meriterà un articolo a sé stante, in un'analisi di tipo fondamentalmente antropologico, e che quindi non affronterò in questa sede. Possiamo intanto ricordare la fiaba dei Grimm La Bella Addormentata, che è forse il più famoso riferimento, quando si parla di queste Antiche Signore del Fato, protettrici delle donne incinte e delle puerpere. Dame del Fato che erano quindi capaci di predire con assoluta accuratezza il destino, e che soprattutto lo facevano vicino al fuoco della casa in cui si svolgeva l'atto di veggenza. In Slovenia sono conosciute come Sojenice o Rojenice, ma sono riconosciute in area balcanica quanto baltica. E' interessante vedere come uno studio con riferimenti culturali di fine 1800 (Copeland 1931) riporti che queste Donne del Destino sono anche legate alla credenza delle anime dei morti, proprio perché tessono il destino del nascituro, ma ne tagliano anche il filo legato all'ultimo respiro. Ne decidono quindi la sorte, la durata, come le peculiarità della vita e la modalità della morte, assomigliando così alle Norne germaniche. 

3) L'aspetto interessante e che distingue la versione odierna da quella più datata e risalente al XIX secolo, è che nel lavoro di approfondimento del mito sloveno a cui sopra ho fatto riferimento, viene evidenziato che a volte queste Signore del Destino vengono comunemente confuse con le fate o dame bianche, ma in origine erano sicuramente distinte da esse. 

4) Della versione più originale di cui si dispone, abbiamo dunque elementi che riportano a connessioni della Montagna Sacra con queste Gigantesse (come anche avviene con i Nani), che erano Filatrici del Destino, capaci di filare la sorte e di atti di veggenza, che veniva manifestata accanto al fuoco della casa; questo rimanda anche alle veggenti alpine di questa Provincia come la Willeweiss, La Wilwis dell'Hexenbödele o la Vecchia dell'Oberpurstein che profetizzavano nelle stube dei masi.

5) Per quanto concerne la Triade di Vergini del Destino, troviamo anche richiami alla figura Tre Vergini di Meransen-Maranza, meglio conosciute, in ambito sia locale sia riferito alle aree di appartenenza germanofona dove erano venerate, con il nome de le Tre Bethen, sebbene vi siano anche peculiarità specifiche e diverse a connotarle. 

6) Viene manifestato anche l'aspetto della maledizione, lanciata da due delle sorelle. Dunque esseri fatati sì, ma non necessariamente con la prerogativa esclusivamente benevola con cui dall' 800 in poi si è abituati ad associare la figura della Fata, nei racconti sia fiabeschi che leggendari, rendendo infantile ciò che un tempo non era di certo tale. Sappiamo infatti che laddove qualcuno avesse osato entrare nella Valle dei Laghi - di cui erano custodi - senza il loro permesso, avrebbero scatenato frane e smottamenti. Siamo quindi, in una lettura adeguata al contesto primordiale, oltre la scissione duale del bene e del male.

7) La gratitudine verso di loro veniva manifestata con offerte (pane e vino) che rimandano a offerte rituali di più antica matrice, dato che questo racconto, già arrivato a noi con differenze dalla versione più antica di cui ci parla Copeland, rimane comunque di matrice arcaica.

8) Il Camoscio dalle Corna d'Oro rappresenta invece la figura mitologica teriomorfa, che come spesso narrano racconti di origine ancestrale è la chiave per accedere ad un tesoro dal valore inestimabile custodito nella montagna. 






Immagine

*kraji.eu slovenija vrsic 


Bibliografia 

*AA.VV. Slovenian Folktales. 12 slovenskih ljudskih 

pripovedi Imprimo Ljubljana 2012 


*Dušica Kunaver – Brigita Lipovšek 

Slovenia in Folk Tales. Zlatorog in mith and reality

Kunaver 


Sitografia

*cfr. Il concetto di etenismo analisi dell'origine del termine e suoi utilizzi in ambito europeo

http://ilblogdilujanta.blogspot.com/2022/01/il-concetto-di-etenismo-analisi-dell.html


*cfr. La Willeweiß, l'Antica Signora delle Profezie delle montagne (Schlern-Rosengarten/Sciliar-Catinaccio BZ)

http://ilblogdilujanta.blogspot.com/2017/12/la-willewei-lantica-signora-delle.html


*cfr. La Vecchia dei boschi dell'Oberpurstein (Tauferertal-Valle di Tures BZ)

http://ilblogdilujanta.blogspot.com/2019/11/la-vecchia-dei-boschi-delloberpurstein.html


*cfr. La Wilwis, la Veggente della radura dell'Hexenbödele (Langstein-Longostagno BZ)

http://ilblogdilujanta.blogspot.com/2019/11/la-wilwis-la-veggente-della-radura.html


*cfr. Wielenberg, nel nome di Wielbeth, la Dea lunare, una delle Tre Bethen, la Triade di Dee celtiche delle Dolomiti pusteresi

http://ilblogdilujanta.blogspot.com/2016/11/wielenberg-nel-nome-di-wielbeth-la-dea.html Articoli e Monografie on line *F.S. Copeland Slovene Folklore (1931)


Articoli e Monografie on line

*F.S. Copeland

Slovene Folklore (1931)


 

giovedì 6 gennaio 2022

Il concetto di etenismo, analisi dell' origine del termine e suoi utilizzi in ambito europeo





Introduzione

L'indagine di questo articolo riguardo il termine eteno, intende dare informazione non solo inerente il significato etimologico, ma anche riguardo le fonti documentali ed i suoi utilizzi nei secoli.

Nasce non solo da un interesse scaturito verso il vocabolo, da quando diversi anni fa ne lessi l'etimologia - in un post che mi fece scoprire un termine a me ignoto - ma anche all'interno di un maggiore fermento scaturito in seguito ad un mio viaggio in Slovenia ed all'incontro con il folklore, quando mi sono imbattuta nuovamente nella voce, in quanto parte del titolo di una leggenda, che fondamentale nella narrazione locale, apre ed introduce al mito sloveno per eccellenza quello dello Zlatorog, il Camoscio dalle Corna d'Oro.

La Slovenia, stato slavo con cui ad est confina l'Italia, pur all'interno delle sue piccolissime dimensioni è una perla culturale, archeologica, storica e folklorica di rara bellezza. Il mito fondamentale ruota intorno alla morte del Camoscio dalle Corna d'Oro e di come la sua morte diventi maledizione per l'area del Monte Triglav- Tricorno rendendola rocciosa ed arida come oggi la conosciamo.

Un tempo l'animale viveva invece, fra cime innevate dove se cadeva una goccia del suo sangue nascevano rose profumatissime. A causa di chi aveva tentato di ucciderlo, decise di distruggere tutto intorno a sé, lasciando i versanti montuosi di nuda roccia e di scomparire. 

Da tempo immemore, con lo Zlatorog vivevano fra quei monti in quella che oggi è la Valle dei Laghi, Tre Dame Bianche, ed è da una di queste che verrete introdotti al mito di questa montagna considerata in qualche modo sacra. Ma è soprattutto dal titolo inglese di questa iniziale leggenda che nasce la necessità di questo scritto. La leggenda di Ajdovska Deklica viene tradotta in Inglese con The Heathen Maiden. L'incontro con il termine heathen all'interno della narrazione popolare slovena, ha reso utile dal mio punto di vista, un approfondimento sul tema, anche per chi ne leggerà il racconto.


Primi utilizzi del lessema eteno

Devo dire che per quanto si possa fare ricerca sulla parola, vi è veramente poco che descriva in maniera dettagliata attraverso forme e rimandi storico-linguistici, quanto culturali e cultuali, atti a circostanziare un lessema che va senza dubbio conosciuto, soprattutto per chi oggi segue le Antiche Divinità autoctone europee. All'interno di questo lavoro affiancherò l'analisi etimologica di diverse parole create dai Cristiani per scindere ciò che non apparteneva al loro Credo. Conoscere l'origine fondamentale (a livello almeno greco e latino) di alcuni vocaboli dedicati – definiamoli così - ci permette di conferire loro il valore che avevano per i nostri Avi all'interno dei contesti in cui sorsero secoli fa, prima di attribuzioni secondarie, in uso oggi, che non permettono però di analizzare le questioni correttamente poiché lette con una visione odierna.

Per indicare chi seguiva gli Antichi Culti indigeni, noi oggi usiamo termini come politeista o pagano, ma c'è un preciso termine con cui i circoli di matrice accademica etichettarono i popoli dell'Europa occidentale e centro settentrionale, a partire sin dal Medioevo, quel termine è eteno o etheno laddove se ne voglia mantenere un richiamo grafico all'anglosassone heathen. Questa parola oggi è usata in special modo da persone impegnate nella ricostruzione delle Tradizioni Germaniche di matrice pre-cristiana.

Il vocabolo apparve per la prima volta nella traduzione in lingua gotica dei libri del Nuovo Testamento, ad opera del Vescovo Wulfila (o Ulfila 310-383). La prima menzione assoluta del termine compare nel capitolo sette del Libro di Marco, ed è riferita ad una donna greca, nata nella Siria Fenicia e che supplicò Gesù di scacciare un demone che albergava nel corpo della figlia.


Etimologia del termine

Riguardo l'origine e l'etimologia della voce esistono due teorie contrastanti che la riguardano.

La prima e ampiamente accettata è che il lessema heathen tragga origine dal vocabolo heath (brughiera), la cui radice indoeuropea è kait con il significato di foresta incolta. Tale definizione è variata poco e la si ritrova nel gotico femminile haiþi, nel genitivo haiþjōs con significato di pascolo, campo, aperta campagna, terra incolta. Lo stesso significato hanno: l'Antico Inglese hǽð, il Medio Basso Tedesco hêde, così come il Medio Olandese hêde, heide, l'Olandese heide, hei, l' Antico Alto Tedesco, il Medio Alto Tedesco, ed il Tedesco heide oltre all'Antico Norreno heiðr. Un eteno quindi è letteralmente una persona che vive in terre desolate e selvagge.

Si presume che Wulfila abbia scelto una parola gotica che fosse sinonimo del latino dotto paganus con il significato di infedele. Che si tratti di una trasposizione di significato dei Cristiani di lingua latina da paganus – utilizzato sia come aggettivo che come sostantivo – tratto da pagus con valore di villaggio e quindi con accezione di abitante del villaggio sin dai tempi di Cicerone non vi è dubbio. La trasformazione del significato da abitante del villaggio a non cristiano, avvenne con probabilità a seguito del fatto che nei villaggi coloro che seguivano gli Antichi Culti erano di gran lunga maggiori che non nelle città, essendo la Tradizione più saldamente radicata; una seconda ipotesi è data anche dal fatto che i primi cristiani si definivano miles cioè militi di Cristo, facenti parte cioè della grande Militia Christi, in antitesi a coloro che definivano in maniera alquanto dispregiativa borghesi. La parola che deriva dal Tardo Latino burgu(m), ben prima di indicare gli appartenenti ad una classe sociale (chi non indossava uniformi ecclesiastiche o militari come ultimo significato in ordine di tempo), in origine definiva gli abitanti del borgo, come sobborgo fuori dalle mura cittadine. Quindi venivano definiti pagani i borghesi perché separati dalla città e di fatto separati dal cristianesimo. 

La stessa parola latina burgu(m) (185 d.C) originò dal greco pyrgos con il significato di torre, a sua volta influenzata dal germanico da cui - come si può evincere dalla stessa pronuncia dura della g - derivò dall'Antico Alto Tedesco Burg (gotico Baurgs – celtico Borg) con il significato di qualcosa di chiuso e protetto sebbene fuori appunto dalle mura urbane. Ma il borgo non è mai stato un luogo fortificato, a maggior ragione derivabile da un'antica torre. Erano invece luoghi popolari ed aperti seppur radicati nella tradizione, per questo l'origine della parola borgo così come dei suoi derivati è parallela al latino vulgus, con significato di volgo e popolo, e questo è ancora presente con passaggi fonetici, ben presenti nei dialetti della Toscana e dell'Italia centrale con trasformazioni letterali del tipo v > b e lg>rg. Si pensi appunto al Toscano boce per voce, bacca per vacca, balle per valle ecc.

Riguardo la seconda teoria non mi dilungherò molto proprio perché lacunosa di una base etimologica a suo supporto. Nacque ad opera di Sophus Bugge nel 1896 che tentò di fondarla su una presunta attinenza fra fonti bibliche e termini norreni. Per questo studioso tutto derivava dal mondo classico o cristiano ed il termine in questione era solo il prodotto del mondo classico mediterraneo e di una derivazione dall'Armeno het'anos. Nella sua visione pensava che le persone di origine germanica non avessero né un sistema mitologico né uno religioso proprio. Il suo pregiudizio e la mancanza di un fondamento linguistico però lasciarono che la prima definizione trovasse il suo giusto riconoscimento. Del resto le parole portate a supporto della sua tesi linguistica, per comparare le origini del lessema eteno, non manifestarono nessuna correlazione con le peculiarità semantiche insite nel vocabolo stesso e che abbiamo visto più sopra.


Breve sintesi dell'utilizzo del vocabolo all'interno di fonti storiche dal IV secolo in avanti

Dopo il IV secolo e l'utilizzo che ne fece Wulfila, la presenza del termine eteno scomparve dall'uso di documenti per alcune centinaia di anni, ad eccezione dell'utilizzo fatto in riproduzioni di Bibbie gotiche. Non sappiamo se perché registrato su supporti deteriorabili o se non fosse stato utilizzato all'interno di documenti ufficiali, da parte di genti germaniche che vivevano all'interno o alla periferia dei territori romani. Ad esempio se prendiamo in considerazione la popolazione dei Goti - di cui lo stesso Wulfila faceva parte – vediamo come diventò parte del tessuto romano e le cui testimonianze sono in Latino, anche perché lo stesso lavoro degli scrittori di origine germanica subiva l'influsso quasi esclusivo di altre tribù fortemente romanizzate.

Ritroviamo di nuovo il vocabolo in uso nel 616 all'interno delle Cronache Anglosassoni, in riferimento alla morte del primo re cristiano del Kent Æthelbert. La voce si rifà all' Historiam Ecclesiasticam Gentis Anglorum: Liber Secundus (Ecclesiastical History of the English People, Book Two), scritto da Beda il Venerabile, essendo la voce della cronaca una glossa della sua opera al cui interno il vocabolo eteno, lo utilizza due volte nella traduzione dal Latino all'Anglosassone. Dopo aver narrato della morte di Æthelbert, entrambi i testi, pongono l'attenzione sul fatto che suo figlio Eadbald non volesse convertirsi al monoteismo cristiano. Mentre Beda si riferisce a Eadbald come a chi viveva in maniera peccaminosa e di essere così tanto corrotto da non essere nemmeno ascoltato dalle Gentes (i Gentili). Il passo all'interno delle Cronache Anglosassoni riferisce semplicemente che viveva in hæðenum (heathendom). Merita un'analisi etimologica anche la parola Gentile dal Latino Gens-Gentis che nella terminologia cristiana antica indicava chiunque non fosse Ebreo o Cristiano, originario dall'aggettivo greco ethnikos da ethnos razza/gente ed utilizzato in maniera propria dall'ebraismo con il significato di popolo paganoGentile indicava perciò chi appartenesse alla stessa stirpe, alla stessa famiglia, da qui il comportamento amichevole fra i propri simili che diede poi luogo al significato ultimo che oggi usiamo ancora quando indichiamo una persona gentile.

Beda continua poi nella narrazione della partenza dei Vescovi Mellito e Giusto, dai Barbaros (Barbari) del Kent che avevano rifiutato di convertirsi. Usò Barbari dal latino Barbaru(m) a sua volta dal greco Barbaros, voce che alludeva alla lingua di coloro che appartenevano ad altra stirpe e che secondo i Greci ed i Romani sembrava un balbettio. Non usò quindi il termine Gentes in questo contesto e descrisse le loro pratiche come quelle di Daemonicis Cultibus (culto demoniaco). Il traduttore anglosassone che tradusse Beda scelse di non differenziare tra il termine Gentis e Daemonicis Cultibus ed usò il termine eteno per la seconda volta. La spiegazione di ciò nasce dal fatto che Beda scelse il termine per riferirsi alla Gente di Eadbald come ad un Popolo che era parte estranea di una nazione dove il Cristianesimo era religione istituita, e la definizione Daemonic Cultibus fu usato con l'intento di condannare la venerazione di Deità che nella visione di Beda erano chiaramente maligne.

Il metafraste anglosassone fece confluire così le due visioni nello stesso soprannome di hæðen. Il termine assunse in questo modo non più la valenza di straniero o abitante della brughiera, ma di chi si poneva al di fuori di uno stato cristiano ed aveva una condotta religiosa condannabile raggruppando questi due significati in un unico nuovo e più ghettizzante vocabolo.

Alla fine dell' VIII secolo il termine vide un aumento del suo utilizzo in vari documenti, con significato di estraneo sia al paese anglosassone che alla religiosità cristiana, tale definizione nacque fondamentalmente in relazione ai Danesi che minacciavano con continue incursioni l'isola anglica, terra sulla quale i re locali avevano provato a porre fine alle pratiche autoctone, non solo vietandole ma rendendole illegali a tutti gli effetti e definendole hæðenum.

I reggenti anglosassoni mano a mano che si cristianizzarono iniziarono una vera e propria azione volta ad estinguere pratiche religiose lontane dal cristianesimo. Le cronache e gli annali di questo periodo riportano come gli eteni praticassero stregoneria, effettuassero sacrifici, lanciassero maledizioni contro pozzi, pietre e alberi, ed anche effettuassero incanti di vario genere. Erano state istituite anche multe per chi facesse offerte a demoni. Questo in visione di misure sempre più restrittive e coercitive volte a bloccare l'adorazione di pietre, di pozzi, alberi o idoli. Tutto ciò confluì nella denominazione hæðenðom. Siamo intorno all'anno 1000 quando con la definizione di Cnut/ Canute I (altri titoli Canute II, Canute the Great, Knut den Mektige, Knut den Store - Canuto il Grande) Re d'Inghilterra, Danimarca e Norvegia e Governatore di Schleswig e Pomerania, l'etenismo evolvette da pratica indigena religiosa propria dei Danesi a quella delle persone dell'Europa del Nord che dovevano ancora essere cristianizzate. Il significato originale del termine come straniero fu pressoché perso e diventò più specialistico e riferito alla religione di genti germaniche. Questa prerogativa venne mantenuta e rafforzata all'interno degli scritti attraverso l'Europa del Nord e della Scandinavia, nei quali la parola eteno è sempre relata all'Antica Religione.


La ricchezza di un antico termine

Da ciò si evince riguardo la parola heath (brughiera) - nelle sue variazioni linguistiche in tutte le lingue germaniche - non solo l'antichità della parola stessa ma anche il fatto che al suo interno è contenuto uno dei concetti germanici innati. Così si definisce eteno colei o colui che vive nella brughiera, intendendo con questa parola terreni alluvionali quindi paludosi e poveri di humus, che non permettono vegetazione se non quella di arbusti e graminacee. Troviamo come sinonimo landa o steppa, quindi grandi appezzamenti appartenenti per lo più al nord Europa, ma tipici anche di zone per lo più pianeggianti, nelle quali è difficile la coltivazione di qualsivoglia pianta, vasti terreni brulli e selvaggi.

Il periodo di letteratura indagato da Rood (2008) termina con il corpus di opere relative all'Islanda del XIII secolo. Quella letteratura procura la più fine produzione letteraria all'interno della quale il termine eteno viene usato per descrivere specifiche genti e le loro pratiche religiose.

L. Heid (2015) nella sua opera prima, evidenzia come in secoli più recenti il movimento eteno abbia avuto radici nel Romanticismo, cioè verso la fine del XVIII secolo, quando la ricerca di molti che avevano volto il loro sguardo verso le Antiche Vie pre-cristiane portò ad una crescita della ricerca e rivivificazione delle antiche Tradizioni germaniche. Molti nomi noti di scrittori ed esoteristi quali – in ordine cronologico - Madame Blavatsky, Guido Von List, Aleister Corowley e Dion Fortune fecero parte di questo movimento. Movimento che in Inghilterra vide anche la nascita della Wicca.

L'etenismo manifesta così di avere numerose e variegate ramificazioni, con differenziazioni venutesi a creare in base al luogo di origine, alla Tradizione a cui si annette piuttosto che ad evoluzioni della stessa. Questo non deve fare pensare però ad un tutto uguale a tutto, perché se le comparazioni e le osservazioni anche di Divinità talvolta condivise di pantheon pur diversi, evidenzia proprio questa fase comune e primigenia dell'origine del termine, non si può fare un pastone che appiattisca le ramificazioni del Grande Albero dell'Etenismo.


Conclusioni

Il termine eteno o etheno che trova la sua espressione sinonimica in pagano, ha la sua prima assoluta attestazione, a partire dal IV secolo nelle traduzioni del Nuovo Testamento in gotico del Vescovo Wulfila, con riferimento al Libro di Marco ed a una donna etena di origine greca che chiede aiuto al Cristo per liberare la figlia da un demone che albergava nel suo corpo. Il vocabolo trova poi attestazioni successive prima in maniera meno uniforme e continuativa, sino ai tempi più recenti con una rivivicazione del termine e soprattutto del suo significato profondo. Il lessema vide risemantizzazioni successive che si avvicendarono nei secoli, partendo dal suo significato originario di straniero con valenza di infedele, a comunità rurali che stavano fuori dalle mura cittadine, portando una separazione di fatto fra il Cristianesimo espanso all'interno di mura cittadine ed un Ethenismo sviluppato ma soprattutto radicato in aree verdi e rurali. Abbiamo così una transizione dal significato di chi è straniero a chi vive in ampi spazi desolati e selvaggi. L'ampiezza, il respiro dello spazio ed il suo essere selvaggio ha forgiato, quanto è diventato insito al termine stesso. Intorno al 1000 designò prevalentemente Genti di Tradizione germanica. Essere eteni assunse così il valore non meramente di credo personale o dell' essere questione di centralità religiosa. Era molto più un aspetto legato alle comunità che praticavano. Poiché il concetto germanico di religione fu inseparabile da terra, legge, comunità e poteva essere compreso soprattutto in termini di frontiere concettuali.

Un'abitante delle lande per un membro di una prima tribù germanica o filo-germanica non sarebbe soltanto un individuo che vive nella sua area. Quell'individuo sarebbe un' estraneo, al di fuori della propria identità culturale, dei propri costumi, delle proprie leggi e della propria morale. Perché nulla è più vicino al Vero della Radice di una Stirpe, che siamo chiamati a recuperare attraverso ciò che abbiamo di disponibile in termini scritti e se ciò non c'è a cercare e a studiare, ad esempio attraverso l'archeologia ed attraverso ciò di cui ci parla tramite i suoi reperti, ma anche attraverso il folklore che non narra, a differenza della storia, quella esclusiva dei vincitori, ma quella di tutti. Il Culto delle Antenate e degli Antenati che io sento particolarmente, si lega inscindibilmente a quello di Stirpe perché prima di significare l'origine di una famiglia o discendenza, il termine latino stirpem, nella sua veste dotta, significava proprio famiglia di vegetali e radice come anche il suo allotropo sterpum.

Guardare quindi alla Stirpe significa guardare al Fondamento, all'Origine Primaria del Politeismo Autoctono Europeo, alle origini dell'Etenismo, scisso e protetto da qualsiasi concezione monoteistica












Immagine

*Tratta dall'archivio personale


Articoli e monografie on line

*Federico Pizzileo Vanatrù Italia

Sacro ed Etenismo la Custodia del Fuoco

*Joshua Rood

Heathen: Linguistic Origins and Early Context, 2008


Bibliografia

*Laugrith Heid

La Stregoneria dei Vani

Anael Sas Edizioni 2015

*Alinei Mario Benozzo Francesco

DESLI Dizionario etimologico-semantico della lingua italiana

Pendragon 2015

*Cortellazzo Manlio Zolli Paolo

DELI Dizionario Etimologico della Lingua Italiana

Zanichelli 2021

*AA.VV.

Lo Zingarelli 2022

Zanichelli 2021


Sitografia

*tommaseobellini.it

*etimo.it

*treccani.it