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giovedì 28 dicembre 2023

La Diala del Sesvenna (Kanton Graubünden-Cantone dei Grigioni, Svizzera)

 


La bellezza delle Diale era irresistibile tanto che, al loro passaggio, ogni ragazzo si innamorava perdutamente.

Vivevano nella Bassa Engadina ed in Val Monastero, nel Sursette ed in Sopraselva. Le loro dimore erano situate nelle profondità rocciose delle montagne, illuminate da gemme preziose e lucenti. La stessa lucentezza che faceva risplendere i loro abiti rosso scarlatto, bordati d’oro e guarniti di pietre rare e pregiate. Queste Donne, dotate di una bellezza celestiale e dai piedi caprini, erano benevole ed attente, sempre pronte a prodigarsi per i contadini durante la fienagione o la mietitura oppure a ricondurre sul giusto sentiero chi, perdutosi nel bosco, avesse smarrito la strada. Mai nessuna di esse, però, si era innamorata né tantomeno congiunta con un uomo.

Un giorno proprio a causa degli esseri umani, si allontanarono senza più fare ritorno. Forse era perché respingevano i loro spasimanti o forse perché abitavano antri che sembravano, ai più, inadatti a fanciulle così avvenenti e leggiadre; o forse ancora per quel loro aspetto di rara magnificenza dalla candida pelle e dai capelli del colore delle spighe dorate: fatto sta, che per taluni tutto ciò strideva tremendamente con quei loro piedi caprini. Senza contare quella curiosità mista ad invidia che portava tutto il paese a confabulare e fantasticare troppo spesso su di loro.

Loro, le affascinanti e misteriose Diale, che uscivano dalle loro spelonche al calar del Sole, nella zona boscosa della Clemgia in Bassa Engadina, scendevano giù sino ad una casetta di Vulpera e lì si sedevano a filare guardando agli ultimi raggi di luce prima del tramonto. Così facevano da tempo immemorabile e così filavano con rocca e fuso, da sempre, sedute sugli stessi massi. 

Un giorno, però, un giovanotto poco gentile le apostrofò in maniera pesante e questo le indispettì tanto che scomparvero e non si fecero più vedere da nessuno.

A Ramosc’, ogni volta che i contadini iniziavano a tagliare l’erba dei prati di Vallaina, le Diale sbucavano dalle loro caverne e si mettevano a lavorare alacremente. Inforcavano l’erba con i rastrelli ed i tridenti, la giravano e la rigiravano, permettendole così di asciugarsi ed essiccarsi. In questo modo gli uomini dovevano solo caricarsi i mucchi pronti e portarli nel fienile.

Quando i contadini si fermavano per la merenda nei campi, richiamati dalle spose che portavano loro un boccone per fare una pausa e rifocillarsi, le Diale si ritiravano, nascondendosi.

Nel Surtalai, dalla Fora (foro) da Tulai comparivano per la fienagione, guardando al Sole misuravano il tempo e a mezzogiorno preciso cessavano di lavorare. Una di loro fischiava a dare il tempo alle altre, che al richiamo recuperavano da anfratti imperscrutabili bianche e piccole tovaglie di forma quadrata sulle quali posavano focacce e frittelle profumatissime per i lavoratori dei campi, per i quali si premuravano pure di attingere acqua dalla vicina fonte.

A Sent un bovaro, dopo essersi ben cibato ed aver bevuto l’acqua fresca della fonte procurata dalle Diale, non volle ringraziare. La moglie intervenne subito: «Perché tratti così male chi ti ha aiutato nel duro lavoro, e chi si è preoccupato anche del tuo momento di riposo preparandoti cibi gustosi e nutrienti? »

L’uomo non rispose, anzi, ancor più indispettito, quasi che quel trattamento di favore gli fosse dovuto, se ne andò, irremovibile senza nemmeno una parola.

La donna, mortificata dall’accaduto, tentò di scusarsi per il marito, ma le Diale si ritennero profondamente toccate dall’accaduto tanto da non prestare più i loro servizi a nessuno. In certi giorni le si può vedere ancora nei pressi de la foura dellas Dialas, pronte ad eclissarsi non appena qualcuno tenti di avvicinarle.

Le Diale di Pratuor risiedevano fra le selve della Val Clozza, dove si sedevano su un grosso masso a detta di chi le aveva intraviste intente a cucire i loro vestiti di stoffa rossa ed a lavorare a maglia le calze per i loro piedi caprini. All’ora di pranzo il masso diveniva una grande tavola dove ristorarsi. Apparecchiavano con cura: prima la candida tovaglia di lino, poi le argentee posate. Quella tavola era offerta anche a chi, passando di lì, potesse manifestare appetito. Un giorno, però, un uomo ingrato, dopo aver pranzato, rubò uno dei cucchiai d’argento; ancora una volta le Diale si videro costrette, deluse da tanta irriconoscenza umana, a non mostrarsi più.

Presso Del nel Sursette, il crap del las Diolas ricorda l’antica dimora di queste preziose Vergini.

Sull’Alp da Munt, in Val Monastero, erano davvero molte le Diale, le quali vivevano in caverne denominate las foras dellas Diales. Durante la bella stagione aiutavano nel taglio del fieno ed in inverno uscivano al sole, sedendosi sulle rocce sgombre dalla neve per scaldarsi sotto i suoi raggi. Una mattina d’estate le Diale, visto il bel tempo che si presagiva per la giornata, si misero a fare il bucato: biancheria, lenzuola, tovaglie; tutto era candido e profumato di fresco. Stesero con cura tutta la teleria sugli ampi prati intorno alle loro grotte, ma due invidiose, gelose della loro bellezza, pensarono bene di rubare loro tutti i panni e nasconderli sotto i covoni di fieno.

Al tramonto le Diale smisero il duro lavoro nei campi (come ogni giorno si erano prodigate per dare una mano agli alpigiani) e avevano girato per ore l’ erba per farla essiccare per bene dopo che i contadini l’avevano tagliata. Tornarono, così, verso i prati di casa, dove erano sicure di avere steso i panni e dove pensavano di trovarli asciugati. Invece si accorsero che era sparito tutto e indignate dall’accaduto non fecero altro che rintanarsi nei loro anfratti, mentre il cielo si copriva di nubi minacciose, cariche di pioggia e scintillanti di fulmini. L’alpe si coprì così improvvisamente di un grigiore che anticipava una notte calata anzitempo. Una notte che vide scrosci d’acqua mossi da violente raffiche di vento come non se ne ricordavano, ma anche da tremiti sotterranei che pareva facessero crollare la montagna. Fu una notte che sembrava non finire mai. Il mattino seguente una pallida luce illuminò i prati intrisi d’acqua: le Diale erano scomparse, ma le crepe della roccia, ancor oggi visibili, ricordano gli anfratti attraverso i quali le Vergini scomparivano e dove, prima di lasciare l’alpe, colme d’ira, avevano richiamato quel terribile temporale.

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Secondo un’altra ipotesi le Diale non partirono dopo quella notte senza fine, ma per colpa di un giovane che si era perdutamente invaghito di una di esse.

Da quanto si racconta, il giovane non dava tregua alla sua amata, passava tutto il tempo sull’Alp da Munt, nei pressi del pertugio da cui la giovane dai piedi caprini usciva, la seguiva ovunque lei andasse e la richiamava con tutte le sue migliori intenzioni, ma ella non lo vedeva e non lo ascoltava. In tal modo sperava che il giovane si stancasse ed infine rivolgesse le sue attenzioni altrove. Invece lui non accennava a desistere, tanto che, su richiesta della stessa Vergine, tre sue amiche furono invitate a parlare al ragazzo per fargli capire che la giovane di cui si era innamorato non avrebbe mai contraccambiato il suo sentimento. Lui, però, accecato da quel che provava, non voleva sentire ragione: desiderava lei e solo lei, bramava di accarezzarle i capelli, di baciarne le rosee labbra; era disposto ad attenderla, per tutto il tempo necessario, anche per anni. Le tre Diale, però, inviate a dissuaderlo dal continuare a corteggiarla in maniera tanto pressante, non ottennero risultati fino a che non gli spiegarono chiaramente che non avrebbe mai avuto opportunità di conquistarla, perché semplicemente lei non lo amava e mai lo avrebbe amato.

Il cuore del ragazzo ricevette una tale delusione che la passione, il coinvolgimento, l’infatuazione, in un attimo si trasformarono in desiderio di vendetta. Le Diale amavano tutti gli animali della montagna: marmotte, tassi, caprioli, stambecchi, camosci, cervi che, richiamati dalle loro voci soavi, si avvicinavano con fiducia. I gatti, invece, incutevano in loro un senso di insicurezza e smarrimento che le terrificava, bastava vederne uno fin da lontano per metterle in fuga.

Sapendo questo, il ragazzo scese a valle, catturò un bel gatto rosso noto per la sua malvagità e risalì all’Alp de Munt con il gatto nel sacco, che tentava in tutti i modi di liberarsi da quella trappola.

Il giovane, lieto del fatto che il gatto fosse sempre più agitato e pronto a graffiare qualsiasi cosa o persona, lo incitò ad affilare le unghie per il momento giusto.

Giunto alla grotta delle Diale, con l’inganno di un regalo per tutte loro, aprì il sacco dentro la fenditura che portava all’interno della cavità e le Diale in un istante fuggirono lasciando il gatto prigioniero nelle profondità della terra. In alcune notti di luna piena è ancora possibile udire i suoi miagolii inferociti.

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Il pastore di capre, seduto lungo le rive di un lago, guardava l’anfiteatro montano illuminarsi istante dopo istante al sorgere del Sole, passando da un grigiore cupo a colori sempre più vivaci e luminosi. Il Sole toccò la vetta del Sesvenna che diventò d’oro.

In quel silenzio mattutino si udì un canto più soave di quello di un usignolo, di una bellezza che superava tutte le melodie del cielo e la terra. Si guardò intorno ed il suo sguardo incontrò quello di una Diala che sussultò alla sua presenza, fuggendo.

Ma oramai, come in un incanto, il cuore del giovane era stato rapito dalle rosee labbra, dai lineamenti delicati e pallidi, dai capelli lunghi e dorati; con un balzo tentò di raggiungerla mentre urlava cercando di rassicurarla, mentre la giovane spiccava salti che la portavano sempre più in alto.

I pastori di un alpeggio sul quale si saliva per l’estate avevano assistito alla scena e urlarono al ragazzo: «Non vedi che è una Diala? Non lo sai che non si innamorano mai di un uomo?»

Ma il ragazzo non voleva ascoltarli, il suo cuore colmo di amore per la ragazza dai capelli d’oro e dai piedi caprini non gli permetteva di arrendersi così.

La stessa cosa gli dissero gli uomini di un alpeggio più in alto. La situazione si stava facendo pericolosa anche perché la Diala non aveva problema a scalare le ripide vette con i suoi piedi caprini, mentre per il ragazzo mantenere equilibrio su quelle rocce scoscese stava diventando sempre più difficile e soprattutto pericoloso.

L’inseguimento era giunto sin sulla cima della montagna, dove la Regina delle Nevi aveva iniziato a muovere vorticosamente il suo manto tanto che si alzò un vento repentino che portò i primi fiocchi di neve a posarsi sulle rocce rendendo la rincorsa dei due giovani sempre più insidiosa.

Gli uomini degli ultimi pascoli assistevano a quella corsa con lo sguardo all’insù, seguendo il percorso della Diala che sulla cima saltava da una vetta all’altra, spingendosi ove possibile sempre più in alto, ed in quella che da sotto appariva quasi una danza, i corpi dei due giovani comparivano e scomparivano fra le nuvole che cingevano le creste.

Da sotto, i caprai scorsero ancora una volta la figura della Diala di rosso abbigliata sulla cima del Sesvenna, giunta oramai alle nevi perenni: poco distante, la sagoma bruna del giovane che l’aveva quasi raggiunta e poi finalmente abbracciata.

Un istante ancora e le nuvole cariche di neve si chiusero completamente, abbassandosi sui versanti rocciosi e oscurando tutto: era iniziata la tempesta.



Note

Il termine italianizzato Diala ha il suo plurale tedesco in Dialen, che può essere declinato sempre al singolare in Diela. Lo stesso termine ha la sua variante plurale in Dialas, Dielas, Dieuldas. L’origine del nome è retoromanza, Cultura alla quale appartiene questo Demone femminile, e deriva da Dealis, Dialis ovvero “creatura simile a una Divinità”.

Sono Spiriti fondamentalmente benevoli ma, se offese, oltraggiate, maltrattate, diventano irate e foriere di tempo infausto.

La loro natura è quindi duplice come i loro tratti “di bellezza celestiale e di piede caprino”: i due attributi le delineano come figure che, proprio in qualità di Demoni, si pongono in una dimensione a cavallo fra il Divino-Cielo, appunto, e l’Umano-Terra.

In loro, quindi, coesistono le fattezze di un aspetto e dell’altro: la bellezza divina, da una parte, il piede caprino, visceralmente ctonio, dall’altraQuesta loro natura si palesa anche nel fatto che non si innamorino mai, né tantomeno si uniscano mai ad un uomo.

Conoscono il lavoro della terra e la mietitura e sono lavoratrici instancabili, dedite anche al rifocillamento dei contadini. Sono molto discrete, tanto che quando le mogli degli alpigiani si avvicinano, loro si nascondono alla vista.

Apparecchiano “tavole” su massi sgombri dalla neve con candide tovaglie e posate o, in alternativa, piatti in argento; essere invitati ad un loro banchetto è sinonimo della grande disponibilità e benevolenza da parte loro.

In estate asciugano il loro bucato candido, stendendolo su alcuni altopiani solatii; aiutano chi ha smarrito la strada nel bosco a ritrovarla, e, in alcune versioni delle loro storie, regalano del carbone che poi si trasmuterà in oro.

Vivono in anfratti e spelonche che rivelano al loro interno ricchezza e magnificenza, la stessa che ritroviamo nei loro abiti adornati di gemme e pietre preziose. I loro colori sono il bianco ed il rosso.

Conoscono l’arte della filatura.

Le tre versioni della leggenda riguardante le Diale hanno sempre lo stesso finale, cioè le Diale che scompaiono per sempre, e sempre ad opera umana.

Il Sesvenna è montagna che sorge sul confine fra l’area del Cantone Graübunden-Grigioni e la Vinschgau-Val Venosta, motivo per cui questo Demone tocca anche la Tradizione sudtirolese.

Questa “Fata” viene segnalata anche nelle valli dolomitiche del Trentino.




Immagine

* Creata con A.I.

Bibliografia

* Garobbio Aurelio, Leggende dei Grigioni, Licinio Cappelli Editore-Bologna 1954

* Raffaelli Umberto, Leggende, fiabe e figure immaginarie delle Dolomiti, Editoriale Programma 2019

* Petzoldt Leander, Kleines Lexicon der Dämonen und Elementargeister, C.H.Beck 2014




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