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domenica 15 aprile 2018

Roghi votivi. Il Sonnenburger Kopf il colle fra ritualità e celebrazioni






E’ l’unico luogo di culto accertato archeologicamente di tutta la Media Pustertal–Val Pusteria. I ritrovamenti dei resti delle offerte votive, tra cui frammenti di ceramica ed una fibula bronzea a forma di serpente, fanno supporre che il Sonnenburger Kopf, fu utilizzato in maniera continuativa sino alla Prima e Media Età del Ferro, fra il VI ed il IV secolo a.C. tra la Cultura di Hallstatt e la successiva Cultura di La Tène, ma gli scavi ci parlano di insediamenti risalenti al III millennio a.C. in periodo eneolitico, con testimonianza di attrezzi ed armi in pietra levigata, trovati in un deposito, così da rendere il colle roccioso di Sonnenburg-Castelbadia, nella frazione di Sankt Lorenzen–San Lorenzo di Sebato un insediamento continuo per molti secoli, testimoniati da ritrovamenti numerosi, che riconducono anche al periodo medievale. 


Gli undici cartelli esplicativi fanno parte del sentiero Archeo che corre lungo i due versanti del colle


L’accesso al colle oggi è garantito da due passaggi, il primo arrivando dall’Alta Valle e che corrisponde al Ponte Peintner, sulla strada statale parallela al corso della Rienz-Rienza. Il secondo accesso è invece concomitante con la zona dei massi coppellati, ubicati nella frazione di Fassing-Fassine, il cui cartello esplicativo fa parte del sentiero tematico che scorre da una salita all’altra, con partenza dal ponte Peintner con la denominazione ‘ARCHEO’ e strutturato in undici cartelli illustrativi, legati ad aree tematiche precise, fra cui: sorgente, coppelle, resti abitativi del Ferro, area cultuale, resti del vallo di difesa, ma anche gli altri siti storico-archeologici che si vedono da una data posizione. Il margine del terreno boschivo che conduce alla cima è costituito da alberi di ciliegio degli uccelli, da betulle, frassini, sorbi degli uccellatori e noccioli. Mentre salendo più in alto nel bosco troviamo un albero dalla rapida crescita, l’abete rosso nonché pini silvestri e larici. Il territorio è abitato oltre che da impronte e ricordi antichissimi anche da sessanta specie di uccelli, oltre che da un innumerevole quantità di altri animali. 



Panorama circostante all’inizio della salita dal ponte Peintner


La Rienz-Rienza che scorre ai piedi del Sonnenburger Kopf

Kronplatz – Plan de Corones visto lungo la salita al Sonnenburger Kopf


I ritrovamenti più importanti sono di epoca romana, costituiti da un vallo, a protezione della cinta muraria che doveva fungere da tutela delle incursioni barbariche, costruito in un’epoca a cavallo fra il III ed il IV secolo d.C. , che secondo la ricostruzione probabile, doveva disporre anche di una porta, come illustrato nell’immagine che ne ridisegna il probabile aspetto. 






E così questo luogo fortificato antico, fu luogo di difesa, fu insediamento di altura (sono stati ritrovati cocci che fanno pensare a delle abitazioni in epoca romana), ma soprattutto area cultuale che si inserì nel quadro della cultura retica, a seguito delle scoperte degli anni ’80, e fra le aree rituali a rogo votivo dell’Età del Ferro, che in Tedesco vengono denominati Brandopferplätze, testimoniati in loco dalla presenza di piccolissimi resti di ossa animali (bovini, ovini e suini) bruciati a temperatura fra i 1300° ed i 1400°, che costituivano l’offerta attraverso l’immolazione sacrificale prima ed il pasto rituale successivo che coinvolgeva la comunità che partecipava alla ritualità. L’area votiva doveva ergersi anche vicino ad una fonte, oggi prosciugata ma presente sul sito dove un tempo doveva sorgere l’area sacrificale di offerta agli Dei. L’usanza dei roghi votivi come offerta, trova riscontro e manifestazione anche in Tirolo ed in Trentino ed avvenne non tanto come evoluzione locale della modalità di offerta di epoca precedente, ma come attestazione di un rapporto continuo ed alimentato fra la comunità e le Divinità. E' nel Bronzo recente (1050-800 a.C) che si inserì la pratica del rogo votivo con la peculiarità dell’altare sui cui cumuli di cenere per lo più di forma piramidale, bruciavano appunto i cibi, il cui fumo nel disperdersi verso il cielo deliziava e placava gli Dei, questa è una tradizione precedentemente utilizzata in Israele, Asia Anteriore, Grecia e Penisola Italica. 








Tale uso andò avanti senza interruzione sino al II secolo d.C. Nel corso dei secoli si assistette così alla stratificazione degli Dei romani e greci su quelli reti e celtici o ancora precedenti e dato che le testimonianze e le narrazioni vengono dal mondo classico è facile capire come il complesso delle divinità arrivate sino a noi e di cui abbiamo racconto e riferimento appartengano fondamentalmente a quel pantheon. Gli arcaici culti sacrificali in area centro alpina prevedevano la disposizione di oggetti spesso defunzionalizzati, cioè ripiegati, rotti o inceneriti presso luoghi come valichi e montagne, in fenditure della roccia ed ancora prima nelle acque sacre: fiumi, laghi, paludi o anche alle sorgenti dei corsi d’acqua. La defunzionalizzazione ne aumentava il valore simbolico e quindi il valore dell’offerta stessa, scuri ed asce nel Neolitico, mentre nell’Età del Bronzo (III-I millennio a.C.) e sino ai Urnenfelder – Campi d’Urne (1200- 800 a.C.) spade, punte di lancia e spilloni. Ma i reperti offerti alle acque, a parte rari casi andarono via via estinguendosi fra il periodo di Hallstatt (1200 – 475 a.C.) e quello di La Tène (475- 15 a.C). Solo nel Tardo La Tène le offerte ad acque curative, ritornano in uso, sebbene si pensi più che una pratica celto-retica fossero trofei di vittoria di qualche popolazione germanica. La pratica dei doni offerti agli Dei spazia dal cibo alle bevande, dai nastri colorati ai fiori ed erbe, in tal senso analisi paleobotaniche hanno evidenziato una preminenza di cereali. 




I cibi e le bevande furono sicuramente offerti dal Bronzo Antico (2300-1500 a.C.) fino alla tarda epoca La Tène , sebbene non si conoscano, a parte i cereali di cui sopra, i particolari alimenti e bevande offerte, ad esclusione anche di quelli deducibili dalle ossa dei banchetti che si tenevano successivamente ai sacrifici, i cui cocci di vasellame sono riconducibili e riferibili ad essi. Interessante vedere come oltre a questo tipo di dono gli Dei fossero omaggiati non solo con fibule ma anche lamine a cui veniva data forma umana o di scudo in miniatura, immagini ritagliate da cinturoni o recipienti di bronzo. Il rogo votivo come pratica cultuale fu acquisito attraverso l’importazione di tradizioni greche ed etrusche fondamentalmente attraverso i Venetici che fungevano da cuscinetto fra le culture alpine e quelle italiche ed egee. E le fonti attestate dagli scrittori greci e latini come Pausania, Tacito , Livio o Plinio il Giovane, ci mostrano come non solo la cultualità locale mutò ad opera di ritualità importate ma anche come pur essendo lontane geograficamente le ritualità sacrificali usassero ad esempio le stesse parti di animali da offrire agli Dei, tanto quanto svilupparono peculiarità locali. Non solo il Sonnenburger Kopf fu area per i roghi votivi, altre testimonianze archeologiche includono le cosiddette ‘Frane del Diavolo’ presso il Karterer See-lago di Caldaro nella zona dell’Überetsch-Oltradige, oppure nella zona sopra al laghetto di Wolfsgruben am Ritten Hochplateau-Costalovara sull’Altopiano del Renon (1206 s.l.m.), dove sono stati trovati monumenti megalitici (menhir) databili al II° millennio a. C. e poi ancora sempre ad ovest della Provincia S. Walburg- S. Valburga in Ulten-Val d‘Ultimo, il Ganglegg di Schluderns-Sluderno in Vinschgau-Val Venosta, il Rungger Egg di Seis-Siusi, nelle vicinanze dello Schlern-Sciliar, sede dei roghi votivi di Burgstall-Monte Castello (m. 2510 s.l.m.) e Plörg (m. 2530 s.l.m.) famosi per l’altitudine a cui si ergono, ma anche lo  Schöllberg Göge-Alpe di Göge in Arnthal-Valle Aurina. Nonostante questi numerosi ritrovamenti ad oggi mancano ancora parecchie tessere del puzzle che riveli le ritualità come si svolgessero piuttosto di chi erano i partecipanti oltre ad una chiara classe sacerdotale. Sinora ciò che sappiamo per certo è che le aree dei roghi votivi erano costituite peculiarmente da tre parti: l’altare, il bothros e un’area per le cerimonie. Il bothros termine di origine greca, è costituito da una fossa, una cavità scavata nella terra o nella roccia, secondo Omero vi si versava latte e miele o acqua e vino come offerta e cibo per gli antenati e sempre nell’Odissea ci viene detto che sopra di essi veniva fatto colare il sangue delle vittime sgozzate, come dono e nutrimento per Ade e Persefone. La conca scavata nella terra riporta ad un concetto coppa-utero dove tutto si fonde e che accoglie le offerte per la maggior parte liquide (latte e sangue) atte ad omaggiare antenati, divinità o entità metafisiche. Fra le altre offerte votive si annoverano anche le vesti specialmente da parte di donne, i capi dissoltisi nel terreno ci hanno lasciato oggetti d’ornamento facilmente databili e che ne costituivano il completamento dell’abbigliamento: le fibule. I capi d’abbigliamento quindi consacrati ad una Divinità ed offerti ritualmente acquisivano una funzione sacrale ed all’interno di questo tipo di offerta troviamo la stessa ‘tradizione’ degli altri articoli in metallo che potevano essere defunzionalizzati, così come le fibule potevano essere sottoposte a bruciature o deformazioni, sempre al fine di aumentarne il valore rituale. L’offerta votiva assume così il valore di comunicazione e vicinanza agli Dei, del ringraziamento per un pericolo scampato ma anche il tentativo di ingraziarsi le Divinità al fine di ottenere favori e protezione. Verso la fine dell’Età del Ferro e l’epoca romana la tradizione dell’offerta variò e molti oggetti furono sostituiti da monete, il cui uso accompagnò tutto il III e IV sec. d. C. Il rogo votivo, comunque come pratica cultuale sebbene riscontrabile su un’ampia zona, si concentrò in area centro-orientale, raggiungendo un apice fra due Culture quella di Laugen-Melaun/Luco-Meluno (metà del XIII-metà del VI secolo a.C.) e quella di Fritzens-Sanzeno (metà del VI-I sec. a.C.). Quindi se è oramai certo che i roghi votivi raggiunsero la loro diffusione massima nel Bronzo Recente e Finale, il fenomeno sembra avere avuto inizio nel Bronzo Medio se non Antico avanzato. Il principio secondo cui si ‘dava per ricevere’ regolava la ritualità e l’offerta sacra. Il sacrificio acquisiva così il valore intrinseco legato al suo vero significato, oggi travisato. Oggi la parola sacrificio richiama alla mente rinuncia o privazione scelta o imposta, ma la sua etimologia ci porta ad un senso che era ben lontano da quella imposizione pesante ed onerosa che nell’immaginario collettivo di oggi la parola evoca. Sacrificio deriva dal Latino da ‘sacrum’ azione sacra e ‘ficium’ da facere-fare. Quindi tutte le azioni che abbiano un valore, un’importanza sono sacrifici come espresso nel sito ‘una parola al giorno’‘...Quando si porta un mazzo di fiori alla persona amata, è un fragrante sacrificio di fiori freschi. Quando si offre un giro di bevute al pub, quello è un sacrificio in onore dei presenti. E così è un sacrificio avere cura dell'ospite, esprimere i propri sentimenti con belle parole al momento giusto - quasi fossero formule di una liturgia antica e preziosa, ed è un sacrificio elevato alla propria salute non chiedere il bis di dolce e rimettere la sigaretta nel pacchetto. ‘Quindi il fare un'azione sacra corrispondeva ad offrire azioni, oggetti o esseri di valore, che li rendeva proprietà, disponibilità degli Dei. Così i roghi votivi, seppur in una lettura lontanissima da ciò che oggi è il nostro pensiero, venivano offerti come il massimo bene di cui si disponeva, la vita, e soprattutto attraverso il sangue, liquido che racchiude la forza vitale e il corpo che era la maggior ricchezza di cui si potesse disporre. Quindi nulla era più esclusivo e potente dell'agire il sacro, offrendo ciò che più di intoccabile esistesse, il corpo e ciò che lo animava, la vita. In questo modo se analizziamo la semantica della parola 'sacrificio' e volgiamo lo sguardo più indietro dell'etimo a cui siamo abituati ad attingere, noteremo che la parola latina da cui deriva, nasce da una lingua indoeuropea di origine artica, il sanscrito, che a sua volta origina da un protosanscrito attraverso i cui fonemi si esprimono concetti ben precisi. E così il ‘sacer ‘ latino inizia con la consonante ‘s‘ che in Indoeuropeo indicava la vicinanza, l'unione fra persone e cose, una vicinanza fisica, materiale ma anche mentale, e così il ‘fare sacro-sacrificio ‘ rafforza la sacralità della vita-offerta-morte e dell'azione in una vicinanza fra gli officianti, i presenti e le Divinità.
Vi è un’oggettiva difficoltà a stabilire non solo il periodo storico di appartenenza di un reperto di popoli senza scrittura, ma anche il contesto sociale o cultuale in cui veniva usato e soprattutto la motivazione di tale uso, ma questo ci approccia a tasselli di un puzzle che è in continuo mutamento, perché fatti di chiaro-scuro che corrispondono alle decodificazioni non solo degli oggetti ma anche di pratiche, di riti lontani dalla nostra mentalità attuale ed ai quali dobbiamo guardare con molto rispetto, in quanto fonte di quella conoscenza a cui aneliamo. Le tre parti costituenti il rilievo del Sonnenburger Kopf e più in generale delle aree celebrative dei roghi votivi, ci riportano ad una triade sacra anche nella fisicità del luogo rituale, l’area della celebrazione appunto che accoglieva i presenti, l’altare rivolto verso il cielo, ma prima la cavità-bothros che si rivolgeva alle profondità della terra, il tutto delimitato dai partecipanti al rito, che in sé include l’aspetto duale delle divinità a cui ci si riferiva, entrambe sacre, il rogo per il Cielo non si sarebbe svolto senza onorare prima la Terra e le sue entità ctonie. Ancora una volta ci viene riproposta chiaramente l’unione di aspetti che vanno oltre l’apparente opposizione. Il Cielo non può ricevere il Dono, se prima non si è onorata la Terra. Cielo e Terra sono contenuti all’interno di un cerchio di cui l’ Umanità funge da Sacra Custode, a sua volta cinta dall’abbraccio della Natura circostante. Attimi di eterno, che celati all’ombra della rigogliosa foresta che oggi ricopre l’altura, scanditi da raggi di sole caldo o da brume sinuose, sussurrano di antichi ricordi, che fra i passi silenziosi portano il viandante in un luogo carico di mistero a cui con rispetto siamo chiamati ad avvicinarci, perché custodisce nelle sue radici echi di sacralità lontana eppur presente, arcaica ma ancora viva.












Note:
L’attribuzione dei periodi storici riferibili alle Età dei Metalli, dove non esplicitamente indicata dalle fonti archeologiche e storiche a cui ho attinto per questo scritto, viene inserita dalla sottoscritta con riferimento alla Classificazione di Reinecke. Paul Reinecke (Berlino  1872- Herrsching am Ammersee 1958) divenne un famoso archeologo per la sua datazione nell’area europea riferita all’Età del Bronzo ed alla Cultura di Hallstatt. Tale sistema suddivide il Bronzo e Hallstatt in periodi più brevi Bronzo (Bz) A-D e Hallstatt (Ha) A-D ed in cui il periodo Hallstatt C segna il passaggio fra l’Età del Bronzo e l’Età del Ferro in Europa centrale.










Immagini
*6, 10  Museo Mansio Sebatum

*1,2,3,5,7,8,9,11,12,13 tratta dall’archivio personale


Bibliografia
*Comunità di lavoro regioni alpine
Kult der Vorzeit in den Alpen.  Opfergaben, Opferplätze, Opferbrauchtum
Culti nella Preistoria delle Alpi. Le offerte, i santuari, i riti, Athesia 2002
Teil 1- Parte 1
·        Hans Peter Uenze
Opfer in Mooren, Seen, Quellen und Flüßen im Alpenraum
Offerte votive nelle paludi, laghi, fonti e nei fiumi nell’area alpina Pag. 441
·        Lorenzo dal Ri e Umberto Tecchiati 
     I Gewässerfunde nella preistoria e protostoria dell’area alpina
centromeridionale Pag. 457
·        Thomas Stöllner
     Verloren, versteckt, geopfert?Einzeldeponate der Eisenzeit in alpinen Extremlagen und ihre bronzezeitlichen WurzelnPerduto,nascosto, offerto?Deposizioni singoledell'Età del Ferro in ambienti alpini estremi e le loro radici nell'Età del Bronzo Pag. 567                                                                
·        Paul Gleirscher 
    Alpine Brandopferplätze 
    Roghi votivi alpini Pag.591

*Comunità di lavoro regioni alpine
Kult der Vorzeit in den Alpen.  Opfergaben, Opferplätze, Opferbrauchtum
Culti nella Preistoria delle Alpi. Le offerte, i santuari, i riti, Athesia 2002
Teil 2- Parte 2
·        Elisabeth Walde
Weihegaben im zentralen Alpenraum
Doni votivi nell’area centro alpina Pag. 895
·        Amei Lang
Speise und Trankopfer
Offerte di cibo e bevande Pag. 917
·        Felix Müller
Schmuck und Kleider als Opfergaben
Oggetti d’ornamento e vesti come doni votivi Pag. 1087    
·        Rupert Gebhard
Der Gott in Tiergestalt
Le divinità in forma di animale Pag. 1195


*Luisa Righi Stefan Wallisch Ötzi, i Reti e i Romani. Gite archeologiche in Alto Adige, Folio Editore 2009


* Franco Rendlich Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee. Indoeuropeo-Sanscrito-Greco-Latino, Palombi Editore 2010  Pag. 421-428-429


Sitografia

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