Prima nevicata della stagione avvenuta nella notte fra il 5 ed 6 novembre 2017
Welsberg-Monguelfo,
Pustertal-Val Pusteria (Bz)
Testo di Lujanta
Questa riflessione
nasce con la prima notte di neve, in un novembre che ci ha visti senza luce già
per ore, e dove, avvolti da un drappo di nebbia e da un bianco manto,
la percezione del buio della stagione in corso è amplificata proprio dal grigio
latteo che fa perdere orizzonti e confini. Ed è guardando in uno spazio che
appare ridurre lo sguardo esteriore ed entro il quale sembra perdersi quello
interiore, che ritrovo profondità. Questa stagione che sfronda il non
necessario e riporta all’essenzialità, mi ha fatto scaturire un pensiero
fondamentale: non puoi manifestare esteriormente, ciò con cui non riesci ad
entrare appieno in contatto interiormente. Gli aspetti che appaiono agli estremi,
sono eppur contigui della vita, nascita e morte, sorgono e tornano nel buio.
Nessuna stagione dell’anno come questa, ci permette di fare esperienza arcana
di noi stessi, di confrontarci con i nostri timori, incertezze, e con quelle
parti nascoste, spesso intenzionalmente neglette o non amate ma anche di
comprenderle o almeno osservarle e riscoprire le infinite potenzialità che
celano, nel silenzio della disgregazione. Perché questo Tempo di questo ci
parla, di ciò che lasciato andare, creerà spazio per qualcosa di nuovo e
soprattutto inaspettato. E’ che il tema Morte, in verità, nell’immaginario
collettivo, sembra sempre così ostile, alla Vita in sé, che se ne svilisce il
valore, trascurandolo o allontanandolo. Lo si vive tendenzialmente nei giorni
dedicati ai defunti, si esaurisce con un più o meno breve ricordo dei
trapassati, una visita al cimitero, un adempiere a tradizioni che sanno più di
pura formalità che altro, quando in tutto il mondo, il tempo del Buio, dagli
Antichi che ne riconoscevano le qualità catartiche era celebrato ed onorato. Come
Samhuinn unisce i due Mondi assottigliando i veli fra di essi, il Tempo che lo
segue, quello che per i Celti corrispondeva all’inizio dell’inverno, rappresenta
il tempo del fermarsi, tempo in cui
abbiamo l’opportunità di scoprire il vero che fa parte dell’esistenza di ognuno.
Samhuinn costituisce la fine e l’inizio, ma ci rammenta proprio che la Vita
della Natura, umana, animale e minerale inizia nel buio, ed esaltare solo la
Luce che alimenta la Vita e ne permette la crescita è rendere monca quell’esistenza
che diciamo spesso di amare. Viviamo un’epoca in cui ci definiamo molto liberi,
ma i clichés a cui siamo richiamati ad adeguarci, ci impongono di apparire in
un certo modo, ed anche di uniformarci ad un'idea, piuttosto che ad un' altra. Se seguire una linea, un filone può anche risultare interessante,
all’interno di esso credo sia sempre utile mantenere una propria indipendenza
di pensiero, e quell’indipendenza è direttamente proporzionale all’autenticità
che ognuno scopre in sé, anche confrontandosi con la propria Oscurità. In essa
il ricordo ci permette di riflettere, ma diventa anche seme del Nuovo, per
quello in nessuno come nel momento in cui siamo connessi agli avi, alle nostre
radici, custodiamo il seme di ciò che verrà, divenendo parte di un presente
importante e rigeneratore. Ciclicità che si intersecano, senza la piena
consapevolezza di una non vi è nemmeno la consapevolezza dell’altra.
Nei secoli, il
Tempo degli Antenati, è stato reso un qualcosa di infelice, e si è scambiata la
solennità di un periodo con la tristezza. Se perdere qualcuno che non è più nel
corpo può essere doloroso, attaccarsi a quel dolore come unica sfaccettatura
della morte è qualcosa di innaturale. Essendo nata il
Giorno dei Morti, sin da bambina, mi è sempre stata limitata l’opportunità di
festeggiare il mio compleanno, se non strettamente con la mia famiglia. Ne ricordo solo uno in cui invitai due amichette, ed il vociare allegro dei
nostri giochi, fece irrompere mia madre nella mia stanza, che ci invitò ad
abbassare i toni, in quanto in quel giorno vi era tristezza e quindi silenzio. Avevo
fra gli 8 ed i 10 anni, ricordo solo che, quando arrivò sera, chiesi perché
bisognava essere tristi, se coloro che non c’erano più ci avevano amati,
sarebbero stati solo felici di vedere la nostra gioia, anche e soprattutto nel
giorno che li ricordava, e se altrettanto vero era che chi ci lasciava non voleva
vederci amareggiati, perché avremmo dovuto esserlo? Fui guardata stranamente
per quel pensiero. Ma negli anni, ritornando periodicamente, nel paese delle mie origini
paterne, dove oggi è anche sepolto mio padre, oltre ai miei nonni e bisnonni,
ho capito che ciò che pensavo io lo pensavano anche altri. Camminando fra le
tombe specialmente gli anziani, ricordavano chi andavano a trovare ma non c’era
amarezza, c’era quell’emozione toccante, ma anche la gratitudine di essersi
potuti incontrare, di aver potuto prendere parte a momenti del percorso della
vita insieme; il cimitero diveniva così luogo di ricordo, condivisione, senza
quella necessità di tristezza che connotava gli stessi giorni del mondo
‘cittadino’. Quella gente nata fra la fine dell’800 ed il primo trentennio del
1900 alla quale assomigliavo per pensiero era gente molto legata alla terra,
alle sue stagioni, ed al suo ciclico susseguirsi, credo fosse quello che
facesse la differenza fra chi era cresciuto con e nella Natura e chi invece
spostandosi in città, o nascendoci, aveva perso la connessione con le
stagionalità della Vita tutta.
Negli ultimi anni,
con mia madre, lei vicina agli 80 oggi e gravemente malata, abbiamo affrontato
spesso il discorso del Buio rigeneratore e della sua naturalezza, non avversità
si badi bene. Devo dire che quest’anno per la prima volta, sentendomi parlare
di come avrei apparecchiato la tavola, di come avrei celebrato questo momento,
mi ha chiesto di aiutarla a ricordare come fare ad ‘accogliere’ i defunti. Così
ha preparato la tavola anche lei, mangiando al mattino ciò che la notte era
stato l’offerta del cibo dei Morti, lo ha fatto per tre sere, coinvolgendo
anche mia sorella, che da casa sua ha agito similmente nelle notti dal 31
ottobre al 2 novembre. E questa scelta è nata dalla sua nuova osservazione di
come tutte le stagioni abbiano un grande valore. Questa che rappresenta un
importante e unico passaggio probabilmente ancor di più. Mi ha fatto molto
riflettere questo, vedendo una tale variazione nell’atteggiamento, mi sono
domandata a cosa fosse legato, e la risposta è stata che da qualche anno mia
madre è tornata a vivere vicina alla natura, non più distratta o disturbata da
tanta alienazione che i grandi centri spesso offrono in termini di mancanza di
spazi verdi, smog ed aria irrespirabile, e proprio anche grazie all’età ed
all’aver l’aver dovuto rallentare le ha permesso di osservare e di risentire
una sorta di richiamo. La lentezza sino alla stasi trasformativa, sino alla
scintilla del Nuovo è quello che connota il Tempo Oscuro dell’Anno. Scenderemo
in esso sino al periodo del Solstizio d’Inverno. Ciò che coltiviamo come
atteggiamento mentale, il più possibile scevro da dogmi ed infarciture esterne
varie, permette anche la comprensione degli equilibri che regolano la Vita, ed
allora questa stessa Oscurità, perde
quell’accezione di male, al quale in generale siamo abituati, e assume una
veste nuova, quella della Rigenerazione. Nel nostro Buio, nel nostro
rallentare, nel nostro profondo abbiamo grandi opportunità, quella di metterci
in ascolto innanzitutto. Pensatevi in una grotta, i vostri sensi si acuiscono,
ed in quell’acuirsi sviluppano nuove percezioni, nuove potenzialità. Il
confrontarsi con il proprio silenzio, ci fa almeno osservare le nostre paure, e
con ciò che di esse proiettiamo sulle persone e sugli eventi che viviamo. Solo
nel silenzio ammantato di tinte fosche possiamo lasciare che la nostra anima
attinga a nuove energie, solo nel Buio possiamo incontrare il calderone di
Ceridwen e lasciare che tutto l’inutile sia fuso e rimescolato, a fare
scaturire ciò che sarà. Solo nel silenzio e nelle profondità non luminose
dell’anno possiamo permettere che il processo alchemico che va dalla Morte alla
Vita possa avere luogo, che la scintilla di rinnovamento possa accendersi. Non
si può fare consapevole esperienza del Tempo della Luce, se non facciamo
esperienza consapevole di quello del Buio, e non si può fare nemmeno questa
esperienza attraverso le sensazioni e le percezioni degli altri e questo ci
richiama ancora una volta a vivere intensamente quella capacità di lasciarsi
andare ed essere accolti fra le radici della Madre, fra le radici della nostra
stessa esistenza. Solo così possiamo ridare completezza a visioni ed
atteggiamenti che nell’esclusione del Tempo del freddo e dell’Oscurità, non ci
permettono di accedere a quell'Unicità fatta di aspetti complementari
che spesso invece vengono lasciati ad una visione duale nella quale
costringiamo le nostre vite.
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