La mattina del 17 gennaio — mentre lavoravo — mi arrivò una mail con le date del nuovo tour dei Faun, previsto per il 2025. Per un attimo, tutto si fermò. Era da anni che desideravo vederli dal vivo — io che li seguo dai tempi di Totem, nel 2007. La loro estate sarebbe trascorsa tra un lungo tour negli Stati Uniti e due date anche in Messico e Brasile, oltre a diverse partecipazioni a festival a tema pagano sparsi in tutta la Germania, prima di dare inizio ai concerti europei.
I miei pensieri tornarono presto all’attività lavorativa, lasciando sfumare quel momento in cui le loro melodie, per un istante, mi avevano fatta viaggiare. A pranzo, però, quel richiamo tornò. Riaprii la mail, iniziai a scorrere le date, erano comprese tra l’ultima decade di settembre e la fine di ottobre.
Scorsi
dall’alto in basso, e viceversa, la lista di località un paio di
volte, poi, mossa da un gesto istintivo, scelsi: 7 ottobre,
Lipsia.
Non sapevo cosa mi avrebbe riservato ottobre,  di solito i
miei viaggi vengono prenotati senza grandi tempi di preavviso, e
sapere con mesi di anticipo cosa sarebbe potuto succedere in autunno
non era affatto prevedibile.
Il
posto c’era! Poltrona 5, sezione centrale, proprio di fronte al
palco.
Faticavo a crederci. Riguardavo la schermata della
prenotazione. Il biglietto sarebbe arrivato per posta.
Sono
passati i mesi, e il 7 ottobre è finalmente arrivato.
Devo dire
che, nella scelta della città sede del concerto, non avevo
considerato — almeno non in modo consapevole — che proprio a
Lipsia, città sassone, è sepolto Johann Sebastian Bach, il
compositore classico che amo di più sin da quando ero giovanissima.
Quale
migliore occasione, allora, per conciliare la partecipazione al
concerto con una visita alla chiesa luterana di St. Thomas? Che
emozione, quando — una volta arrivata — fin da fuori delle
imponenti porte gotiche della chiesa, potevo udire un organo
suonare.
Solo in seguito ho scoperto che ogni giorno, nelle ore
centrali, vengono eseguiti brani di Bach.
Essendo andata la domenica successiva all’Erntedankfest, Festa del Ringraziamento per il Raccolto, ho trovato anche le offerte stagionali d’autunno. Ho così scoperto che questa Tradizione, celebrata anche in Provincia di Bolzano e di evidente origine pagana, non è stata tramandata solo nelle comunità cattoliche, ma anche in quelle protestanti.
Una volta individuata la struttura — erano circa le 17 — sono stata assalita da diverse perplessità: non c’era nessun manifesto che confermasse che il concerto dei Faun si tenesse davvero in quell’auditorium.
Le porte principali erano chiuse — il concerto era previsto per le 19:30 — così ho iniziato a girare attorno all’edificio, cercando un ingresso secondario o qualche cartello. Sono riuscita ad accedere al foyer del teatro, uno spazio dominato da geometrie essenziali, giochi di vetro, cemento e metallo. Un’architettura imponente e razionale. Ma ancora, nessuna traccia dei Faun.
Però, il primo indizio che mi ha fatto pensare di essere nel posto giusto è stato un grande bus nero a due piani, parcheggiato accanto all’ingresso secondario dove poco prima avevo cercato informazioni. Sul fianco c’era scritto Zeppelin, e altri due mezzi lo accompagnavano. Un Puffo, appoggiato sul cruscotto, davanti a due tendine tirate a coprire il vetro, mi ha strappato un sorriso e un sospiro di sollievo: qualcosa, in quel piccolo dettaglio, mi ha suggerito che ero nel posto giusto. Finalmente.
Mentre, lasciandomi alle spalle il bus nero con targa austriaca, camminavo con lo sguardo tipico di chi — non conoscendo il luogo — guarda verso un punto non meglio precisato, ero in cerca di... in questo caso, un posto dove mangiare un panino.
Diretta verso l’area dove poco prima avevo intravisto la scritta Alma Mater Universität, ho incrociato alcune persone che si muovevano con passo rapido, rendendomi conto, quasi subito, che, a pochi centimetri da me, erano passati Stephan e Adaja, affiancata da un bambino su cui il mio sguardo si era soffermato. Solo pochi istanti dopo ho realizzato di chi fosse il figlio. Così mi sono ritrovata a esclamare ad alta voce, mentre mi voltavo: Adaja!
Il
bambino, non lontano da me ma in direzione opposta, si è girato.
Lei — Adaja — insieme a Stephan, ha proseguito con andatura decisa verso l’interno
del teatro. Tutta felice per averli incrociati, ho ripreso il mio
cammino in direzione di un locale di cui avevo intravisto la
presenza. Un attimo prima di entrare, mi è passato davanti anche
Neil.
Lì mi sono girata a guardare i suoi lunghi dreadlocks
— le treccine rasta — che gli
arrivano fin alle gambe. Ora potevo cenare tranquilla e attendere di
entrare per godermi lo spettacolo.
Finalmente le porte del Gewandhaus si sono aperte, illuminando una struttura architettonicamente davvero singolare, con una vista spettacolare — attraverso le immense vetrate — sulla piazza antistante.
Una volta presa posizione, ero talmente incredula del posto in cui mi trovavo! Lì, di fronte a me, un grande palco allestito con strumenti medievali, tra cui la nyckelharpa — uno strumento cordofono di origine svedese — che sarebbe poi stato suonato proprio da Oliver, frontman e fondatore dei Faun.
Sul
fondo del palco, il drappo scenografico — chiamato in gergo tecnico
backdrop
— riportava l’immagine che è anche la copertina dell’ultimo
lavoro uscito il 5 settembre: HEX.
Dominano i toni freddi e nebbiosi, la scena evoca un’immagine
arcana quanto onirica. Al centro, un volto femminile emerge dalla
penombra: enigmatico, in estasi, sospeso tra sogno e rituale. Attorno
al capo si stagliano i cicli lunari — da luna nuova a piena. A
contornare questa immagine due profili di teste di cervo le cui corna
simili a rami contorti e spogli, si aprono a ventaglio, incorniciando
la figura e fondendosi con sagome arboree. Da queste corna si
diramano raggi di luce — ad evocare chiaramente l’appartenenza
della Strega ad un Culto luni—solare così come era nell’Europa
autoctona, così come fu anche per le popolazioni celto—germaniche.
Sopra,
campeggia il nome del gruppo, FAUN,
con un font spigoloso e gotico, mentre in basso il titolo HEX
trae
origine dal termine tedesco Hexe
ovvero “Strega” affrontando il tema da un’angolazione
completamente diversa rispetto alle consuete versioni stereotipate.
I Faun approcciano quindi l’argomento della Stregoneria
da un punto di vista musicale, dopo un’attenta ricerca sulla
materia, e soprattutto ponendosi una domanda cardine: perché,
ancora oggi, si teme la figura delle “Streghe cattive” più di
chi, storicamente, le ha mandate al rogo?
Dopo
essermi guardata intorno, la seconda cosa che mi ha colpita è stata
l’età del pubblico: pensavo di essere l’unica — o una delle
poche — “diversamente giovani” in sala.
E invece no: tra il
pubblico c’erano anche diverse signore e signori ben oltre i
settant’anni, a conferma che la musica dei Faun parla a tutte le
generazioni, dai più giovani ai meno giovani.
Si spengono le luci ed inizia il concerto. Che emozione!
Ben
presto mi rendo conto di essere, in effetti a “tre concerti” in
uno.          La prima band di supporto ai Faun non è stata solo una
scoperta, ma una vera e propria rivelazione.
I componenti del duo
Pettersson & Fredriksson si sono alternati in musiche della
tradizione pagana svedese, alternando suoni arcaici e atmosfere
incantate. Tra le loro esibizioni, ho scelto di condividere con voi
Vals, un
pezzo strumentale che compare anche in Hex.
Si
racconta che, prima di essere decapitate, le Streghe svedesi ne
chiedessero l’esecuzione come ultimo desiderio: quella melodia,
dicevano, evocava la libertà perduta e l’eco della natura che
portavano dentro.
Dopo l’intenso inizio del concerto, è salita sul palco una band decisamente fuori dal comune: Ye Banished Privateers, una formazione svedese numerosa e scenica, vestita da pirati del XVII secolo. Il loro stile è travolgente, con ritmi incalzanti; cantano di pirateria scandinava e irlandese. Pur non essendo nelle mie corde abituali, ho trovato la loro esibizione impeccabile e ricca di energia. Una menzione speciale va alla cantante, la cui voce — intensa, graffiante e ricca di sfumature — ha saputo dominare la scena con intensità.
Il video che vedrete è l’unico che ho registrato tra i vari brani proposti: è uno dei pochi pezzi soft della loro scaletta, che — come accennato — era per il resto decisamente scatenata.
Un
piccolo imprevisto tecnico, intorno al quinto minuto, ha fatto
partire per una trentina di secondi la base di un altro brano.
Ma
loro, con grande professionalità, hanno continuato a cantare,
riprendendo la strofa finale con naturalezza non appena il
fisarmonicista è riuscito a spegnere l’audio errato che stava
prendendo il sopravvento sul brano in esecuzione.
Quando si dice:
il bello della diretta!
Dopo
la seconda esibizione, le luci si sono abbassate e il teatro è
sprofondato in un silenzio denso, teso, come sospeso tra i
chiaroscuri del palco e l’attesa di qualcosa di antico e
potente.
Le porte del backstage si sono aperte lentamente. Da
quella soglia, come emersi da un altro tempo, sono apparsi i Faun:
Adaya sulla sinistra, Oliver al centro, Laura sulla destra. Alla
sinistra di Adaya, Stephan; alle loro spalle, in posizione rialzata,
Alex e Neil.
Tutti al loro posto, pronti a dare inizio a un
racconto in musica, tra ombre, magia e memorie perdute.
Quel
momento sospeso si è trasformato in suono: Adaya ha aperto il
concerto con Belladonna
dal
ritmo quasi ipnotico.
A seguire, tutta una serie di altri brani tratti dal loro ricco
repertorio — uno più coinvolgente dell’altro — tutti legati
dal filo conduttore della Stregoneria, trait
d’union
tra le diverse canzoni.
Belladonna,
ad esempio, non l’ho registrata, ma — essendo proprio lì, a
portata di palco — ho potuto filmare molte altre esibizioni
successive. Ne trovate alcuni estratti video: vi consiglio di
guardarli a schermo intero per lasciarvi
avvolgere meglio dalle atmosfere che quella sera si sono create.
Walpurgisnacht,
la Notte
di Santa Walpurga
celebrata il 30 aprile, affonda le sue radici nella Tradizione
germanica come la Notte delle Streghe per eccellenza. In questa data,
secondo il folklore, Streghe e forze arcane si radunavano sui monti —
come il Brocken nello Harz — per danzare intorno ai falò e
compiere antichi riti propiziatori.
La Walpurgisnacht
ha ispirato anche la letteratura. Compare, infatti, nel Faust
di Goethe, dove l’incontro tra Mephistophele e le Streghe avviene
proprio durante questa notte.
A questo immaginario si ispirano
anche i Faun, che le hanno dedicato un brano, evocando in musica
atmosfere rituali e visioni pagane, tra tamburi, flauti e voci che
sembrano provenire da un’altra epoca. 
Lament
è stato, senza dubbio, il momento più toccante e intimo dell’intero
concerto. Prima di iniziare a cantare è apparso un drappo con il
ritornello in gallese. Con un semplice gesto, Oliver ha invitato
l’intero teatro a unirsi nel canto, trasformando Lament
in un momento corale di grande coinvolgimento.
Il brano affonda le
sue radici in un antico canto funebre del nord
dell’Inghilterra —
Lyke
Wake Dirge.
Nei versi dei Faun
riecheggia il legame con Annwn,
l’Oltremondo della mitologia gallese.
Questo
Regno,
spesso descritto come un’isola immersa nella nebbia, è anche il
cuore simbolico del video ufficiale che accompagna il brano —
probabilmente il più suggestivo realizzato finora dai Faun.
Nel
video, la Morte non è però rappresentata dal Dio Arawn, come nel
mito gallese, ma da una figura femminile che evoca i tratti di Hel,
Dea gemanica legata alla Morte e alla Rinascita, figura centrale nella Tradizione
precristiana europea.
In
un’intervista, Adaya ha spiegato come la Morte sia un evento
ineluttabile per ogni essere umano; nella scena in cui l’uomo
l’abbraccia e si lascia cingere da Lei, emerge la potenza simbolica
dell’accettazione, che diviene passaggio e rinascita.
Molto
evocativa, nel video, anche l’immagine in cui, dalle sue mani, i fiori appassiti tornano a vivere.
Oltre alle strofe originali in gallese antico, i Faun hanno rielaborato il brano arricchendolo con cori, strumenti antichi e un’emotività profonda. Lament è stato dedicato a Jürgen Schneider, tecnico del suono e amico della band, scomparso tragicamente nel 2023 dopo oltre dieci anni di concerti e palchi condivisi.
This
ae nighte, this ae nighte
Every
nighte and alle
Fire
and fleet and candle-lighte
The
Gods receive thy saule
Traduzione:
Questa
sola notte, questa sola notte.
Ogni notte e per sempre.
Fuoco,
focolare e luce di candela.
Gli Dei accolgano la tua anima.
Quando
è stato il turno di Andro,
i ricordi mi hanno riportata a circa quindici anni fa, durante un
fine settimana di rievocazioni medievali a Sand in Taufers—Campo
Tures.
Fu lì che la ascoltai per la prima volta, suonata
all’interno di un programma musicale che fungeva da cornice
all’evento.
Il brano, ispirato a una ballata medievale bretone,
rimane uno dei più coinvolgenti che io abbia mai ascoltato.
Sempre
dalla letteratura gaelica nasce Gwydion,
ispirata al Mago della Tradizione celto—britannica: una canzone che
originariamente è stata incisa in collaborazione con il
gruppo svizzero Eluveitie.
In questo brano, come anche in Galdra,
la potenza e l’estensione vocale di Laura emergono forti e
cristalline.
Galdra,
la canzone dell’Incanto,
nella sua versione originale del 2021 aveva visto la partecipazione
di Lindy-Fay Hella, voce norvegese dei Wardruna.
Questo brano ha
richiesto uno studio approfondito dell’Edda,
come ha dichiarato Oliver, Magister
Artium
di letteratura medievale.
La ricerca si è concentrata su un
passaggio noto come Lokasenna,
in cui Loki insulta le Divinità — incluso Odino — accusandolo di
praticare arti magiche femminili.
Questo
elemento controverso viene reso in musica attraverso il ritmo
ipnotico dei tamburi, simbolo della trance estatica che accompagna il
gesto stregonico.
Nel video, una donna attraversa un bosco,
incontrando le forze primordiali della natura: un cammino iniziatico
che culmina in una rivelazione.
Alla fine del viaggio, lei
“ricorda” di essere Odino.
Una rappresentazione in chiave
femminile della Divinità, pensata non per sostituire il mito, ma per
riaffermare che le donne incarnano il potere della Stregoneria nella
sua forma più arcaica e profonda.
Iduna, la Dea del mito norreno citata anch'essa nell’Edda, è la custode delle mele dell’eterna giovinezza: nutrimento divino che assicura l’immortalità agli Dei.
Il brano a Lei dedicato si è aperto con potenza grazie alle voci di Adaya e Laura, per poi crescere grazie all’ingresso del duo Pettersson & Fredriksson, che si sono uniti a Oliver in un intreccio sonoro ricco e avvolgente.
Il grande palco ha permesso ai musicisti di avvicinarsi al pubblico, rendendo l’esperienza ancora più intensa e partecipata. La stessa scena si è verificata con Wind und Geige, rendendo la performance ancora più coinvolgente.
Dalle sue parole emerge la capacità
di trasformarsi in lepre per compiere incantesimi — un’immagine
fortemente radicata nella Tradizione folklorica nordica.
Nel brano
fa la sua comparsa anche la figura del Diavolo, riprendendo il cliché
ricorrente che ha segnato secoli di persecuzioni e processi in tutta
Europa.
Un
arcaico passato che riaffiora, evocato da suoni che dialogano con la
modernità. Tra cornamusa, flauto, ghironda, tamburo, nyckelharpa ed elettronica prende forma una musica che è collegamento tra epoche, tratto distintivo e
inconfondibile dei Faun.
Abili tessitori di ponti sonori, suonano
una musica che trae origine dallo studio di testi medievali che
riecheggiano di antiche Tradizioni e ritmi arcaici, capaci di
risvegliare reminescenze sopite nel profondo. 
Oggi e ieri si fondono così in un infinito fluire che chiamiamo Tempo ma che rappresenta solo una presenza continua di Sacro e Rituale che emerge da ogni nota, in melodie che portano fuori dai confini ordinari. Il loro non è stato solo un concerto da guardare ed ascoltare ma esperienza da attraversare con l’Anima: ogni nota ha vibrato come antica memoria. Il tempo si è dilatato, tornando circolare come in ogni autentico incanto. L’imponente voce di Laura è stata richiamo rituale; l’affascinante suono della cornamusa di Adaja ha evocato mondi remoti; insieme a Oliver, Stephan, Neil e Alex, i Faun hanno trasformato il palco in uno spazio sospeso di mistero e meraviglia nel quale la musica ci ha condotto in un viaggio di suoni, note e parole che hanno penetrato la dimensione oscura, ancestrale e spirituale della Stregoneria Europea.









