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lunedì 3 novembre 2025

Sotto l’incantesimo di Hex: i Faun stregano Lipsia. Un concerto tra evocazione pagana, poesia nordica e magia musicale



 

La mattina del 17 gennaio — mentre lavoravo — mi arrivò una mail con le date del nuovo tour dei Faun, previsto per il 2025. Per un attimo, tutto si fermò. Era da anni che desideravo vederli dal vivo — io che li seguo dai tempi di Totem, nel 2007. La loro estate sarebbe trascorsa tra un lungo tour negli Stati Uniti e due date anche in Messico e Brasile, oltre a diverse partecipazioni a festival a tema pagano sparsi in tutta la Germania, prima di dare inizio ai concerti europei.

I miei pensieri tornarono presto all’attività lavorativa, lasciando sfumare quel momento in cui le loro melodie, per un istante, mi avevano fatta viaggiare. A pranzo, però, quel richiamo tornò. Riaprii la mail, iniziai a scorrere le date, erano comprese tra l’ultima decade di settembre e la fine di ottobre.

Scorsi dall’alto in basso, e viceversa, la lista di località un paio di volte, poi, mossa da un gesto istintivo, scelsi: 7 ottobre, Lipsia.
Non sapevo cosa mi avrebbe riservato ottobre, di solito i miei viaggi vengono prenotati senza grandi tempi di preavviso, e sapere con mesi di anticipo cosa sarebbe potuto succedere in autunno non era affatto prevedibile.

Il posto c’era! Poltrona 5, sezione centrale, proprio di fronte al palco.
Faticavo a crederci. Riguardavo la schermata della prenotazione. Il biglietto sarebbe arrivato per posta.

Sono passati i mesi, e il 7 ottobre è finalmente arrivato.
Devo dire che, nella scelta della città sede del concerto, non avevo considerato — almeno non in modo consapevole — che proprio a Lipsia, città sassone, è sepolto Johann Sebastian Bach, il compositore classico che amo di più sin da quando ero giovanissima.

Quale migliore occasione, allora, per conciliare la partecipazione al concerto con una visita alla chiesa luterana di St. Thomas? Che emozione, quando — una volta arrivata — fin da fuori delle imponenti porte gotiche della chiesa, potevo udire un organo suonare.
Solo in seguito ho scoperto che ogni giorno, nelle ore centrali, vengono eseguiti brani di Bach.





La chiesa è grande, e la tomba del compositore si trova nell’ampio coro, proprio di fronte all’altare.

Essendo andata la domenica successiva all’Erntedankfest, Festa del Ringraziamento per il Raccolto, ho trovato anche le offerte stagionali d’autunno. Ho così scoperto che questa Tradizione, celebrata anche in Provincia di Bolzano e di evidente origine pagana, non è stata tramandata solo nelle comunità cattoliche, ma anche in quelle protestanti.



Con il passare delle ore, ho sentito che era il momento di cercare il
Gewandhaus. Solo allora ho scoperto che è considerato un vero e proprio tempio della musica classica nel cuore di Lipsia.

Una volta individuata la struttura — erano circa le 17 — sono stata assalita da diverse perplessità: non c’era nessun manifesto che confermasse che il concerto dei Faun si tenesse davvero in quell’auditorium.

Le porte principali erano chiuse — il concerto era previsto per le 19:30 — così ho iniziato a girare attorno all’edificio, cercando un ingresso secondario o qualche cartello. Sono riuscita ad accedere al foyer del teatro, uno spazio dominato da geometrie essenziali, giochi di vetro, cemento e metallo. Un’architettura imponente e razionale. Ma ancora, nessuna traccia dei Faun.

Però, il primo indizio che mi ha fatto pensare di essere nel posto giusto è stato un grande bus nero a due piani, parcheggiato accanto all’ingresso secondario dove poco prima avevo cercato informazioni. Sul fianco c’era scritto Zeppelin, e altri due mezzi lo accompagnavano. Un Puffo, appoggiato sul cruscotto, davanti a due tendine tirate a coprire il vetro, mi ha strappato un sorriso e un sospiro di sollievo: qualcosa, in quel piccolo dettaglio, mi ha suggerito che ero nel posto giusto. Finalmente.





Potevo quindi cercare qualcosa da mangiare prima dell’evento.

Mentre, lasciandomi alle spalle il bus nero con targa austriaca, camminavo con lo sguardo tipico di chi — non conoscendo il luogo — guarda verso un punto non meglio precisato, ero in cerca di... in questo caso, un posto dove mangiare un panino.

Diretta verso l’area dove poco prima avevo intravisto la scritta Alma Mater Universität, ho incrociato alcune persone che si muovevano con passo rapido, rendendomi conto, quasi subito, che, a pochi centimetri da me, erano passati Stephan e Adaja, affiancata da un bambino su cui il mio sguardo si era soffermato. Solo pochi istanti dopo ho realizzato di chi fosse il figlio. Così mi sono ritrovata a esclamare ad alta voce, mentre mi voltavo: Adaja!

Il bambino, non lontano da me ma in direzione opposta, si è girato. Lei — Adaja — insieme a Stephan, ha proseguito con andatura decisa verso l’interno del teatro. Tutta felice per averli incrociati, ho ripreso il mio cammino in direzione di un locale di cui avevo intravisto la presenza. Un attimo prima di entrare, mi è passato davanti anche Neil.
Lì mi sono girata a guardare i suoi lunghi
dreadlocks — le treccine rasta — che gli arrivano fin alle gambe. Ora potevo cenare tranquilla e attendere di entrare per godermi lo spettacolo.

Finalmente le porte del Gewandhaus si sono aperte, illuminando una struttura architettonicamente davvero singolare, con una vista spettacolare — attraverso le immense vetrate — sulla piazza antistante.

Una volta presa posizione, ero talmente incredula del posto in cui mi trovavo! Lì, di fronte a me, un grande palco allestito con strumenti medievali, tra cui la nyckelharpa — uno strumento cordofono di origine svedese — che sarebbe poi stato suonato proprio da Oliver, frontman e fondatore dei Faun.

Sul fondo del palco, il drappo scenografico — chiamato in gergo tecnico backdrop — riportava l’immagine che è anche la copertina dell’ultimo lavoro uscito il 5 settembre: HEX. Dominano i toni freddi e nebbiosi, la scena evoca un’immagine arcana quanto onirica. Al centro, un volto femminile emerge dalla penombra: enigmatico, in estasi, sospeso tra sogno e rituale. Attorno al capo si stagliano i cicli lunari — da luna nuova a piena. A contornare questa immagine due profili di teste di cervo le cui corna simili a rami contorti e spogli, si aprono a ventaglio, incorniciando la figura e fondendosi con sagome arboree. Da queste corna si diramano raggi di luce — ad evocare chiaramente l’appartenenza della Strega ad un Culto luni—solare così come era nell’Europa autoctona, così come fu anche per le popolazioni celto—germaniche. Sopra, campeggia il nome del gruppo, FAUN, con un font spigoloso e gotico, mentre in basso il titolo HEX trae origine dal termine tedesco Hexe ovvero “Strega” affrontando il tema da un’angolazione completamente diversa rispetto alle consuete versioni stereotipate.
I Faun approcciano quindi l’argomento della Stregoneria da un punto di vista musicale, dopo un’attenta ricerca sulla materia, e soprattutto ponendosi una domanda cardine:
perché, ancora oggi, si teme la figura delle “Streghe cattive” più di chi, storicamente, le ha mandate al rogo?



Dopo essermi guardata intorno, la seconda cosa che mi ha colpita è stata l’età del pubblico: pensavo di essere l’unica — o una delle poche — “diversamente giovani” in sala.
E invece no: tra il pubblico c’erano anche diverse signore e signori ben oltre i settant’anni, a conferma che la musica dei Faun parla a tutte le generazioni, dai più giovani ai meno giovani.

Si spengono le luci ed inizia il concerto. Che emozione!

Ben presto mi rendo conto di essere, in effetti a “tre concerti” in uno. La prima band di supporto ai Faun non è stata solo una scoperta, ma una vera e propria rivelazione.
I componenti del duo Pettersson & Fredriksson si sono alternati in musiche della tradizione pagana svedese, alternando suoni arcaici e atmosfere incantate. Tra le loro esibizioni, ho scelto di condividere con voi
Vals, un pezzo strumentale che compare anche in Hex.
Si racconta che, prima di essere decapitate, le Streghe svedesi ne chiedessero l’esecuzione come ultimo desiderio: quella melodia, dicevano, evocava la libertà perduta e l’eco della natura che portavano dentro.



Dopo l’intenso inizio del concerto, è salita sul palco una band decisamente fuori dal comune: Ye Banished Privateers, una formazione svedese numerosa e scenica, vestita da pirati del XVII secolo. Il loro stile è travolgente, con ritmi incalzanti; cantano di pirateria scandinava e irlandese. Pur non essendo nelle mie corde abituali, ho trovato la loro esibizione impeccabile e ricca di energia. Una menzione speciale va alla cantante, la cui voce — intensa, graffiante e ricca di sfumature — ha saputo dominare la scena con intensità.

Il video che vedrete è l’unico che ho registrato tra i vari brani proposti: è uno dei pochi pezzi soft della loro scaletta, che — come accennato — era per il resto decisamente scatenata.

Un piccolo imprevisto tecnico, intorno al quinto minuto, ha fatto partire per una trentina di secondi la base di un altro brano.
Ma loro, con grande professionalità, hanno continuato a cantare, riprendendo la strofa finale con naturalezza non appena il fisarmonicista è riuscito a spegnere l’audio errato che stava prendendo il sopravvento sul brano in esecuzione.
Quando si dice: il bello della diretta!



Dopo la seconda esibizione, le luci si sono abbassate e il teatro è sprofondato in un silenzio denso, teso, come sospeso tra i chiaroscuri del palco e l’attesa di qualcosa di antico e potente.
Le porte del backstage si sono aperte lentamente. Da quella soglia, come emersi da un altro tempo, sono apparsi i Faun: Adaya sulla sinistra, Oliver al centro, Laura sulla destra. Alla sinistra di Adaya, Stephan; alle loro spalle, in posizione rialzata, Alex e Neil.
Tutti al loro posto, pronti a dare inizio a un racconto in musica, tra ombre, magia e memorie perdute.

Quel momento sospeso si è trasformato in suono: Adaya ha aperto il concerto con Belladonna dal ritmo quasi ipnotico. A seguire, tutta una serie di altri brani tratti dal loro ricco repertorio — uno più coinvolgente dell’altro — tutti legati dal filo conduttore della Stregoneria, trait d’union tra le diverse canzoni.
Belladonna, ad esempio, non l’ho registrata, ma — essendo proprio lì, a portata di palco — ho potuto filmare molte altre esibizioni successive. Ne trovate alcuni estratti video: vi consiglio di guardarli a schermo intero per lasciarvi avvolgere meglio dalle atmosfere che quella sera si sono create.

Walpurgisnacht, la Notte di Santa Walpurga celebrata il 30 aprile, affonda le sue radici nella Tradizione germanica come la Notte delle Streghe per eccellenza. In questa data, secondo il folklore, Streghe e forze arcane si radunavano sui monti — come il Brocken nello Harz — per danzare intorno ai falò e compiere antichi riti propiziatori.
La
Walpurgisnacht ha ispirato anche la letteratura. Compare, infatti, nel Faust di Goethe, dove l’incontro tra Mephistophele e le Streghe avviene proprio durante questa notte.
A questo immaginario si ispirano anche i Faun, che le hanno dedicato un brano, evocando in musica atmosfere rituali e visioni pagane, tra tamburi, flauti e voci che sembrano provenire da un’altra epoca.




Lament è stato, senza dubbio, il momento più toccante e intimo dell’intero concerto. Prima di iniziare a cantare è apparso un drappo con il ritornello in gallese. Con un semplice gesto, Oliver ha invitato l’intero teatro a unirsi nel canto, trasformando Lament in un momento corale di grande coinvolgimento.
Il brano affonda le sue radici in un antico canto funebre del nord dell’Inghilterra —
Lyke Wake Dirge. Nei versi dei Faun riecheggia il legame con Annwn, l’Oltremondo della mitologia gallese.

Questo Regno, spesso descritto come un’isola immersa nella nebbia, è anche il cuore simbolico del video ufficiale che accompagna il brano — probabilmente il più suggestivo realizzato finora dai Faun.
Nel video, la Morte non è però rappresentata dal Dio Arawn, come nel mito gallese, ma da una figura femminile che evoca i tratti di Hel, Dea gemanica legata alla Morte e alla Rinascita, figura centrale nella Tradizione precristiana europea.




In un’intervista, Adaya ha spiegato come la Morte sia un evento ineluttabile per ogni essere umano; nella scena in cui l’uomo l’abbraccia e si lascia cingere da Lei, emerge la potenza simbolica dell’accettazione, che diviene passaggio e rinascita.
Molto evocativa, nel video, anche l’immagine in cui, dalle sue mani, i fiori appassiti tornano a vivere.

Oltre alle strofe originali in gallese antico, i Faun hanno rielaborato il brano arricchendolo con cori, strumenti antichi e un’emotività profonda. Lament è stato dedicato a Jürgen Schneider, tecnico del suono e amico della band, scomparso tragicamente nel 2023 dopo oltre dieci anni di concerti e palchi condivisi.

This ae nighte, this ae nighte
Every nighte and alle
Fire and fleet and candle-lighte
The Gods receive thy saule

Traduzione:

Questa sola notte, questa sola notte.
Ogni notte e per sempre.
Fuoco, focolare e luce di candela.
Gli Dei accolgano la tua anima.




Quando è stato il turno di Andro, i ricordi mi hanno riportata a circa quindici anni fa, durante un fine settimana di rievocazioni medievali a Sand in Taufers—Campo Tures.
Fu lì che la ascoltai per la prima volta, suonata all’interno di un programma musicale che fungeva da cornice all’evento.
Il brano, ispirato a una ballata medievale bretone, rimane uno dei più coinvolgenti che io abbia mai ascoltato.




Sempre dalla letteratura gaelica nasce Gwydion, ispirata al Mago della Tradizione celto—britannica: una canzone che originariamente è stata incisa in collaborazione con il gruppo svizzero Eluveitie.
In questo brano, come anche in
Galdra, la potenza e l’estensione vocale di Laura emergono forti e cristalline.



Galdra, la canzone dell’Incanto, nella sua versione originale del 2021 aveva visto la partecipazione di Lindy-Fay Hella, voce norvegese dei Wardruna.
Questo brano ha richiesto uno studio approfondito dell’
Edda, come ha dichiarato Oliver, Magister Artium di letteratura medievale.
La ricerca si è concentrata su un passaggio
 noto come Lokasenna, in cui Loki insulta le Divinità — incluso Odino — accusandolo di praticare arti magiche femminili.

Questo elemento controverso viene reso in musica attraverso il ritmo ipnotico dei tamburi, simbolo della trance estatica che accompagna il gesto stregonico.
Nel video, una donna attraversa un bosco, incontrando le forze primordiali della natura: un cammino iniziatico che culmina in una rivelazione.
Alla fine del viaggio, lei “ricorda” di essere Odino.
Una rappresentazione in chiave femminile della Divinità, pensata non per sostituire il mito, ma per riaffermare che le donne incarnano il potere della Stregoneria nella sua forma più arcaica e profonda.



Iduna, la Dea del mito norreno citata anch'essa nell’Edda, è la custode delle mele dell’eterna giovinezza: nutrimento divino che assicura l’immortalità agli Dei.

Il brano a Lei dedicato si è aperto con potenza grazie alle voci di Adaya e Laura, per poi crescere grazie all’ingresso del duo Pettersson & Fredriksson, che si sono uniti a Oliver in un intreccio sonoro ricco e avvolgente.



Il grande palco ha permesso ai musicisti di avvicinarsi al pubblico, rendendo l’esperienza ancora più intensa e partecipata. La stessa scena si è verificata con Wind und Geige, rendendo la performance ancora più coinvolgente.



Hare Spell
, ovvero l’Incantesimo della Lepre, è la trasposizione musicale di una confessione di Stregoneria: quella di Isobel Gowdie, processata in Scozia nel 1662.

Dalle sue parole emerge la capacità di trasformarsi in lepre per compiere incantesimi — un’immagine fortemente radicata nella Tradizione folklorica nordica.
Nel brano fa la sua comparsa anche la figura del Diavolo, riprendendo il cliché ricorrente che ha segnato secoli di persecuzioni e processi in tutta Europa.




Un arcaico passato che riaffiora, evocato da suoni che dialogano con la modernità. Tra cornamusa, flauto, ghironda, tamburo, nyckelharpa ed elettronica prende forma una musica che è collegamento tra epoche, tratto distintivo e inconfondibile dei Faun.
Abili tessitori di ponti sonori, suonano una musica che trae origine dallo studio di testi medievali che riecheggiano di antiche Tradizioni e ritmi arcaici, capaci di risvegliare reminescenze sopite nel profondo.



Oggi e ieri si fondono così in un infinito fluire che chiamiamo Tempo ma che rappresenta solo una presenza continua di Sacro e Rituale che emerge da ogni nota, in melodie che portano fuori dai confini ordinari. Il loro non è stato solo un concerto da guardare ed ascoltare ma esperienza da attraversare con l’Anima: ogni nota ha vibrato come antica memoria. Il tempo si è dilatato, tornando circolare come in ogni autentico incanto. L’imponente voce di Laura è stata richiamo rituale; l’affascinante suono della cornamusa di Adaja ha evocato mondi remoti; insieme a Oliver, Stephan, Neil e Alex, i Faun hanno trasformato il palco in uno spazio sospeso di mistero e meraviglia nel quale la musica ci ha condotto in un viaggio di suoni, note e parole che hanno penetrato la dimensione oscura, ancestrale e spirituale della Stregoneria Europea.







Immagini e video

* Tratti dall'archivio personale

Sitografia

*Faun — Sito ufficiale