E’ l’unico luogo di culto accertato archeologicamente
di tutta la Media Pustertal–Val Pusteria. I ritrovamenti dei resti delle
offerte votive, tra cui frammenti di ceramica ed una fibula bronzea a forma di
serpente, fanno supporre che il Sonnenburger Kopf, fu utilizzato in maniera
continuativa sino alla Prima e Media Età del Ferro, fra il VI ed il IV secolo
a.C. tra la Cultura di Hallstatt e la successiva Cultura di La Tène, ma gli scavi ci
parlano di insediamenti risalenti al III millennio a.C. in periodo eneolitico,
con testimonianza di attrezzi ed armi in pietra levigata, trovati in un
deposito, così da rendere il colle roccioso di Sonnenburg-Castelbadia, nella
frazione di Sankt Lorenzen–San Lorenzo di Sebato un insediamento continuo per
molti secoli, testimoniati da ritrovamenti numerosi, che riconducono anche al
periodo medievale.
Gli
undici cartelli esplicativi fanno parte del sentiero Archeo che corre lungo i
due versanti del colle
L’accesso al colle oggi è garantito da due passaggi, il
primo arrivando dall’Alta Valle e che corrisponde al Ponte Peintner, sulla
strada statale parallela al corso della Rienz-Rienza. Il secondo accesso è
invece concomitante con la zona dei massi coppellati, ubicati nella frazione di
Fassing-Fassine, il cui cartello esplicativo fa parte del sentiero tematico
che scorre da una salita all’altra, con partenza dal ponte Peintner con la
denominazione ‘ARCHEO’ e strutturato in undici cartelli illustrativi, legati ad
aree tematiche precise, fra cui: sorgente, coppelle, resti abitativi del Ferro,
area cultuale, resti del vallo di difesa, ma anche gli altri siti storico-archeologici
che si vedono da una data posizione. Il margine del terreno boschivo che
conduce alla cima è costituito da alberi di ciliegio degli uccelli, da betulle,
frassini, sorbi degli uccellatori e noccioli. Mentre salendo più in alto nel bosco
troviamo un albero dalla rapida crescita, l’abete rosso nonché pini silvestri e
larici. Il territorio è abitato oltre che da impronte e ricordi antichissimi
anche da sessanta specie di uccelli, oltre che da un innumerevole quantità di
altri animali.
Panorama
circostante all’inizio della salita dal ponte Peintner
La
Rienz-Rienza che scorre ai piedi del Sonnenburger Kopf
Kronplatz
– Plan de Corones visto lungo la salita al Sonnenburger Kopf
I ritrovamenti più importanti sono di epoca romana, costituiti
da un vallo, a protezione della cinta muraria che doveva fungere da tutela
delle incursioni barbariche, costruito in un’epoca a cavallo fra il III ed il
IV secolo d.C. , che secondo la ricostruzione probabile, doveva disporre anche
di una porta, come illustrato nell’immagine che ne ridisegna il probabile
aspetto.
E così questo luogo fortificato antico, fu luogo di difesa, fu
insediamento di altura (sono stati ritrovati cocci che fanno pensare a delle
abitazioni in epoca romana), ma soprattutto area cultuale che si inserì nel
quadro della cultura retica, a seguito delle scoperte degli anni ’80, e fra le
aree rituali a rogo votivo dell’Età del Ferro, che in Tedesco vengono
denominati Brandopferplätze,
testimoniati in loco dalla presenza di piccolissimi resti di ossa animali
(bovini, ovini e suini) bruciati a temperatura fra i 1300° ed i 1400°, che
costituivano l’offerta attraverso l’immolazione sacrificale prima ed il pasto
rituale successivo che coinvolgeva la comunità che partecipava alla ritualità.
L’area votiva doveva ergersi anche vicino ad una fonte, oggi prosciugata ma
presente sul sito dove un tempo doveva sorgere l’area sacrificale di offerta
agli Dei. L’usanza dei roghi votivi come offerta, trova riscontro e
manifestazione anche in Tirolo ed in Trentino ed avvenne non tanto come
evoluzione locale della modalità di offerta di epoca precedente, ma come
attestazione di un rapporto continuo ed alimentato fra la comunità e le
Divinità. E' nel Bronzo recente (1050-800 a.C) che si inserì la pratica del rogo
votivo con la peculiarità dell’altare sui cui cumuli di cenere per lo più di
forma piramidale, bruciavano appunto i cibi, il cui fumo nel disperdersi verso
il cielo deliziava e placava gli Dei, questa è una tradizione precedentemente
utilizzata in Israele, Asia Anteriore, Grecia e Penisola Italica.
Tale uso andò
avanti senza interruzione sino al II secolo d.C. Nel corso dei secoli si
assistette così alla stratificazione degli Dei romani e greci su quelli reti e
celtici o ancora precedenti e dato che le testimonianze e le narrazioni vengono
dal mondo classico è facile capire come il complesso delle divinità arrivate
sino a noi e di cui abbiamo racconto e riferimento appartengano fondamentalmente a quel
pantheon. Gli arcaici culti sacrificali in area centro alpina prevedevano la
disposizione di oggetti spesso defunzionalizzati, cioè ripiegati, rotti o
inceneriti presso luoghi come valichi e montagne, in fenditure della roccia ed
ancora prima nelle acque sacre: fiumi, laghi, paludi o anche alle sorgenti dei
corsi d’acqua. La defunzionalizzazione ne aumentava il valore simbolico e quindi
il valore dell’offerta stessa, scuri ed asce nel Neolitico, mentre nell’Età del
Bronzo (III-I millennio a.C.) e sino ai Urnenfelder – Campi d’Urne (1200-
800 a.C.) spade, punte di lancia e spilloni. Ma i reperti offerti alle acque, a
parte rari casi andarono via via estinguendosi fra il periodo di Hallstatt
(1200 – 475 a.C.) e quello di La Tène (475- 15 a.C). Solo nel Tardo La Tène le
offerte ad acque curative, ritornano in uso, sebbene si pensi più che una
pratica celto-retica fossero trofei di vittoria di qualche popolazione
germanica. La pratica dei doni offerti agli Dei spazia dal cibo alle bevande,
dai nastri colorati ai fiori ed erbe, in tal senso analisi paleobotaniche hanno
evidenziato una preminenza di cereali.
I cibi e le bevande furono sicuramente
offerti dal Bronzo Antico (2300-1500 a.C.) fino alla tarda epoca La Tène ,
sebbene non si conoscano, a parte i cereali di cui sopra, i particolari
alimenti e bevande offerte, ad esclusione anche di quelli deducibili dalle ossa
dei banchetti che si tenevano successivamente ai sacrifici, i cui cocci di
vasellame sono riconducibili e riferibili ad essi. Interessante vedere come oltre
a questo tipo di dono gli Dei fossero omaggiati non solo con fibule ma anche
lamine a cui veniva data forma umana o di scudo in miniatura, immagini
ritagliate da cinturoni o recipienti di bronzo. Il rogo votivo come pratica
cultuale fu acquisito attraverso l’importazione di tradizioni greche ed
etrusche fondamentalmente attraverso i Venetici che fungevano da cuscinetto fra
le culture alpine e quelle italiche ed egee. E le fonti attestate dagli
scrittori greci e latini come Pausania, Tacito , Livio o Plinio il Giovane, ci
mostrano come non solo la cultualità locale mutò ad opera di ritualità
importate ma anche come pur essendo lontane geograficamente le ritualità
sacrificali usassero ad esempio le stesse parti di animali da offrire agli Dei,
tanto quanto svilupparono peculiarità locali. Non solo il Sonnenburger Kopf fu
area per i roghi votivi, altre testimonianze archeologiche includono le
cosiddette ‘Frane del Diavolo’ presso il Karterer See-lago di Caldaro nella
zona dell’Überetsch-Oltradige, oppure nella zona sopra al laghetto di Wolfsgruben
am Ritten Hochplateau-Costalovara sull’Altopiano del Renon (1206 s.l.m.), dove
sono stati trovati monumenti megalitici (menhir) databili al II° millennio a.
C. e poi ancora sempre ad ovest della Provincia S. Walburg- S. Valburga in Ulten-Val
d‘Ultimo, il Ganglegg di Schluderns-Sluderno in Vinschgau-Val Venosta, il Rungger
Egg di Seis-Siusi, nelle vicinanze dello Schlern-Sciliar, sede dei roghi votivi
di Burgstall-Monte Castello (m. 2510 s.l.m.) e Plörg (m. 2530 s.l.m.) famosi
per l’altitudine a cui si ergono, ma anche lo
Schöllberg Göge-Alpe di Göge in Arnthal-Valle Aurina. Nonostante questi
numerosi ritrovamenti ad oggi mancano ancora parecchie tessere del puzzle che
riveli le ritualità come si svolgessero piuttosto di chi erano i partecipanti
oltre ad una chiara classe sacerdotale. Sinora ciò che sappiamo per certo è che
le aree dei roghi votivi erano costituite peculiarmente da tre parti: l’altare,
il bothros e un’area per le cerimonie. Il bothros termine di origine greca, è
costituito da una fossa, una cavità scavata nella terra o nella roccia, secondo
Omero vi si versava latte e miele o acqua e vino come offerta e cibo per gli
antenati e sempre nell’Odissea ci viene detto che sopra di essi veniva fatto
colare il sangue delle vittime sgozzate, come dono e nutrimento per Ade e
Persefone. La conca scavata nella terra riporta ad un concetto coppa-utero dove
tutto si fonde e che accoglie le offerte per la maggior parte liquide (latte e
sangue) atte ad omaggiare antenati, divinità o entità metafisiche. Fra le altre
offerte votive si annoverano anche le vesti specialmente da parte di donne, i
capi dissoltisi nel terreno ci hanno lasciato oggetti d’ornamento facilmente
databili e che ne costituivano il completamento dell’abbigliamento: le fibule.
I capi d’abbigliamento quindi consacrati ad una Divinità ed offerti ritualmente
acquisivano una funzione sacrale ed all’interno di questo tipo di offerta
troviamo la stessa ‘tradizione’ degli altri articoli in metallo che potevano
essere defunzionalizzati, così come le fibule potevano essere sottoposte a
bruciature o deformazioni, sempre al fine di aumentarne il valore rituale.
L’offerta votiva assume così il valore di comunicazione e vicinanza agli Dei,
del ringraziamento per un pericolo scampato ma anche il tentativo di
ingraziarsi le Divinità al fine di ottenere favori e protezione. Verso la fine
dell’Età del Ferro e l’epoca romana la tradizione dell’offerta variò e molti
oggetti furono sostituiti da monete, il cui uso accompagnò tutto il III e IV sec. d. C. Il rogo votivo, comunque come pratica cultuale sebbene riscontrabile
su un’ampia zona, si concentrò in area centro-orientale, raggiungendo un apice
fra due Culture quella di Laugen-Melaun/Luco-Meluno (metà del XIII-metà del
VI secolo a.C.) e quella di Fritzens-Sanzeno (metà del VI-I sec. a.C.).
Quindi se è oramai certo che i roghi votivi raggiunsero la loro diffusione
massima nel Bronzo Recente e Finale, il fenomeno sembra avere avuto inizio nel
Bronzo Medio se non Antico avanzato. Il principio secondo cui si ‘dava per
ricevere’ regolava la ritualità e l’offerta sacra. Il sacrificio acquisiva così
il valore intrinseco legato al suo vero significato, oggi travisato. Oggi la
parola sacrificio richiama alla mente rinuncia o privazione scelta o imposta,
ma la sua etimologia ci porta ad un senso che era ben lontano da quella
imposizione pesante ed onerosa che nell’immaginario collettivo di oggi la
parola evoca. Sacrificio deriva dal Latino da ‘sacrum’ azione sacra e ‘ficium’
da facere-fare. Quindi tutte le azioni che abbiano un valore, un’importanza
sono sacrifici come espresso nel sito ‘una
parola al giorno’, ‘...Quando si porta un mazzo di fiori alla persona
amata, è un fragrante sacrificio di fiori freschi. Quando si offre un giro di
bevute al pub, quello è un sacrificio in onore dei presenti. E così è un
sacrificio avere cura dell'ospite, esprimere i propri sentimenti con belle
parole al momento giusto - quasi fossero formule di una liturgia antica e
preziosa, ed è un sacrificio elevato alla propria salute non chiedere il bis di
dolce e rimettere la sigaretta nel pacchetto. ‘Quindi il fare un'azione
sacra corrispondeva ad offrire azioni, oggetti o esseri di valore, che li
rendeva proprietà, disponibilità degli Dei. Così i roghi votivi, seppur in una
lettura lontanissima da ciò che oggi è il nostro pensiero, venivano
offerti come il massimo bene di cui si disponeva, la vita, e soprattutto
attraverso il sangue, liquido che racchiude la forza vitale e il corpo che era
la maggior ricchezza di cui si potesse disporre. Quindi nulla era più esclusivo
e potente dell'agire il sacro, offrendo ciò che più di intoccabile esistesse,
il corpo e ciò che lo animava, la vita. In questo modo se analizziamo la
semantica della parola 'sacrificio' e volgiamo lo sguardo più indietro
dell'etimo a cui siamo abituati ad attingere, noteremo che la parola latina da
cui deriva, nasce da una lingua indoeuropea di origine artica, il sanscrito,
che a sua volta origina da un protosanscrito attraverso i cui fonemi si
esprimono concetti ben precisi. E così il ‘sacer ‘
latino inizia con la consonante ‘s‘ che in Indoeuropeo
indicava la vicinanza, l'unione fra persone e cose, una vicinanza fisica,
materiale ma anche mentale, e così il ‘fare sacro-sacrificio ‘ rafforza
la sacralità della vita-offerta-morte e dell'azione in una vicinanza fra gli
officianti, i presenti e le Divinità.
Vi
è un’oggettiva difficoltà a stabilire non solo il periodo storico di
appartenenza di un reperto di popoli senza scrittura, ma anche il contesto
sociale o cultuale in cui veniva usato e soprattutto la motivazione di tale
uso, ma questo ci approccia a tasselli di un puzzle che è in continuo
mutamento, perché fatti di chiaro-scuro che corrispondono alle decodificazioni
non solo degli oggetti ma anche di pratiche, di riti lontani dalla nostra
mentalità attuale ed ai quali dobbiamo guardare con molto rispetto, in quanto
fonte di quella conoscenza a cui aneliamo. Le tre parti costituenti il rilievo
del Sonnenburger Kopf e più in generale delle aree celebrative dei roghi votivi,
ci riportano ad una triade sacra anche nella fisicità del luogo rituale, l’area
della celebrazione appunto che accoglieva i presenti, l’altare rivolto verso il
cielo, ma prima la cavità-bothros che si rivolgeva alle profondità della terra,
il tutto delimitato dai partecipanti al rito, che in sé include l’aspetto duale
delle divinità a cui ci si riferiva, entrambe sacre, il rogo per il Cielo non
si sarebbe svolto senza onorare prima la Terra e le sue entità ctonie. Ancora
una volta ci viene riproposta chiaramente l’unione di aspetti che vanno oltre
l’apparente opposizione. Il Cielo non può ricevere il Dono, se prima non si è
onorata la Terra. Cielo e Terra sono contenuti all’interno di un cerchio di cui
l’ Umanità funge da Sacra Custode, a sua volta cinta dall’abbraccio della
Natura circostante. Attimi di eterno, che celati all’ombra della rigogliosa
foresta che oggi ricopre l’altura, scanditi da raggi di sole caldo o da brume
sinuose, sussurrano di antichi ricordi, che fra i passi silenziosi portano il
viandante in un luogo carico di mistero a cui con rispetto siamo chiamati ad
avvicinarci, perché custodisce nelle sue radici echi di sacralità lontana eppur
presente, arcaica ma ancora viva.
Note:
L’attribuzione dei periodi storici riferibili alle Età
dei Metalli, dove non esplicitamente indicata dalle fonti archeologiche e
storiche a cui ho attinto per questo scritto, viene inserita dalla sottoscritta
con riferimento alla Classificazione di Reinecke. Paul Reinecke (Berlino 1872- Herrsching am Ammersee 1958) divenne un
famoso archeologo per la sua datazione nell’area europea riferita all’Età del Bronzo
ed alla Cultura di Hallstatt. Tale sistema suddivide il Bronzo e Hallstatt in
periodi più brevi Bronzo (Bz) A-D e Hallstatt (Ha) A-D ed in cui il periodo
Hallstatt C segna il passaggio fra l’Età del Bronzo e l’Età del Ferro in Europa
centrale.
Immagini
*6, 10 Museo
Mansio Sebatum
*1,2,3,5,7,8,9,11,12,13 tratta dall’archivio personale
Bibliografia
*Comunità di lavoro regioni alpine
Kult der Vorzeit
in den Alpen. Opfergaben,
Opferplätze, Opferbrauchtum
Culti nella Preistoria delle Alpi. Le offerte, i
santuari, i riti, Athesia 2002
Teil 1- Parte 1
·
Hans Peter Uenze
Opfer in Mooren,
Seen, Quellen und Flüßen im Alpenraum
Offerte votive nelle paludi, laghi, fonti e nei fiumi
nell’area alpina Pag. 441
·
Lorenzo dal Ri e Umberto Tecchiati
I Gewässerfunde
nella preistoria e protostoria dell’area alpina
centromeridionale Pag. 457
·
Thomas Stöllner
Verloren, versteckt,
geopfert?Einzeldeponate der Eisenzeit in alpinen Extremlagen und ihre
bronzezeitlichen WurzelnPerduto,nascosto, offerto?Deposizioni singoledell'Età
del Ferro in ambienti alpini estremi e le loro radici nell'Età del Bronzo Pag.
567
·
Paul Gleirscher
Alpine Brandopferplätze
Roghi votivi alpini Pag.591
*Comunità di lavoro regioni alpine
Kult der Vorzeit in
den Alpen. Opfergaben,
Opferplätze, Opferbrauchtum
Culti nella Preistoria delle Alpi. Le offerte, i
santuari, i riti, Athesia 2002
Teil 2- Parte 2
·
Elisabeth Walde
Weihegaben im zentralen Alpenraum
Doni votivi nell’area centro alpina Pag. 895
·
Amei
Lang
Speise und
Trankopfer
Offerte di cibo e bevande Pag. 917
·
Felix Müller
Schmuck und Kleider als Opfergaben
Oggetti
d’ornamento e vesti come doni votivi Pag. 1087
·
Rupert Gebhard
Der
Gott in Tiergestalt
Le
divinità in forma di animale Pag. 1195
*Luisa
Righi Stefan Wallisch Ötzi, i Reti e i
Romani. Gite archeologiche in Alto Adige, Folio Editore 2009
* Franco Rendlich Dizionario etimologico comparato
delle lingue classiche indoeuropee. Indoeuropeo-Sanscrito-Greco-Latino, Palombi
Editore 2010 Pag. 421-428-429
Sitografia
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